Cultura

Figli di Giuseppe Bonito: uno spaccato ironico sulla genitorialità di oggi

Giuseppe Bonito, dopo L’Arminuta (2017) tratto dall’omonimo romanzo, torna sul grande schermo con Figli, uscito nelle sale il 23 gennaio.

Il lungometraggio affronta in modo leggero ed ironico l’essere genitori al giorno d’oggi, offrendo anche uno spaccato sociale e politico, che sottolinea la problematica de calo delle nascite, dovute alla precarietà lavorativa e alla mancanza di prospettive reali per il futuro di una coppia che decide di mettere al mondo una vita.

Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea

Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea

Figli: la trama

Nicola (Valerio Mastandrea) e Sara (Paola Cortellesi) hanno già una bambina, la loro vita procede tranquillamente tra i vari impegni lavorativi di entrambi finché non arriva la notizia di una seconda e inaspettata gravidanza.

La gestione familiare in teoria è divisa al 50 e 50 tra i due coniugi ma, come sempre, il carico mentale dell’organizzazione grava interamente sulle spalle di Sara. Con la nascita di Pietro le problematiche si acuiscono perché i genitori bis non riescono a farcela da soli, per la gestione del tempo e dei compiti da svolgere nella quotidianità lavorativa e familiare.

Cercando di trovare una soluzione, tra cartelle esattoriali e affitti da pagare, chiedono aiuto alle rispettive famiglie che appartengono a quell’epoca sessantottina che si è mangiata tutto quello che poteva, che godono di una pensione e che rappresentano la categoria degli ultimi privilegiati di quel sistema politico ed economico che, oggi, non garantisce neanche la metà di ciò che, in passato, è stato dato a loro.

L’unica soluzione che trovano idealmente Nicola e Sara, nei momenti più critici, è quella di scaraventarsi fuori dalla finestra della loro abitazione e di fuggire, cercando una quiete apparente.

Figli: il trailer

Vario Mastandrea e Paola Cortellesi sono i protagonisti di Figli

Figli: lo spaccato sociale di oggi

Giuseppe Bonito, oltre a mettere in evidenza la criticità economica, politica e sociale del nostro tempo, si sofferma sull’individualismo e sul forte egoismo, che anima la maggior parte delle nostre scelte. Un esempio lampante è dato dalla scena in cui Nicola chiede aiuto a Cabo (Giorgio Barchiesi), suo padre, per aiutarlo a tenere il piccolo Pietro quando lui e Sara sono a lavoro.

Cabo, alla richiesta di aiuto familiare, risponde al figlio di non essere in grado di poterlo fare per mancanza di energie ma, subito dopo questa risposta, Nicola viene a sapere che Cabo sta cercando di diventare padre con la sua nuova compagna, molto più giovane di lui.

Figli è un film che lascia un sorriso amaro perché esasperando alcune situazioni, ci porta a riflettere sulla criticità sociale di oggi perché ciascun aspetto della nostra vita, anche quello più privato, è strettamente connesso a tutto ciò che ci gravita intorno anche se, apparentemente,la società ci sembra lontana dalla nostra quotidianità.

Paola Cortellesi, dopo Ma cosa ci dice il cervello, torna a farci sorridere con l’ironia che la contraddistingue infatti ne consigliamo vivamente la visione.

Eugenia Galli e la poesia performativa della Monosportiva Galli Dal Pan

Eugenia Galli è una poetessa, che si è qualificata alle finali del Premio Alberto Dubito nel 2018 e nel 2019.

Il suo è un progetto che fonde poesia performativa e musica elettronica all’interno della Monosportiva Galli Dal Pan con cui ha registrato un Ep.

Eugenia Galli: video

Eugenia Galli e la Monosportiva Galli Dal Pan

Eugenia Galli: biografia artistica

Eugenia Galli entra nel circuito della poesia performativa nel 2015 attraverso l’esperienza di Slow Lapin, un collettivo di giovani autori e organizzatori di eventi che aveva base  a Rimini, la sua città.

Alla fine del 2015 Eugenia si trasferisce a Bologna, per iniziare l’università e scopre che non esiste una vera e propria “scena” orale bolognese. In compenso nota dei poetry slam condotti da Nicolò Gugliuzza, all’epoca coordinatore regionale dell’Emilia-Romagna per il campionato della LIPS (Lega Italiana Poetry Slam). Nel gennaio del 2016 da uno di questi eventi e dall’idea di creare anche a Bologna uno spazio comunitario li bera espressione intorno alla poesia, ha preso le mosse il progetto di Zoopalco, un’associazione culturale che si occupa di ricerca e produzione nell’ambito della poesia multimediale.

L’attività artistica di Eugenia Galli è strettamente connessa al lavoro di operatrice culturale che svolge per Zoopalco: ogni progetto nasce all’interno di riflessioni collettive e di uno spazio condiviso, DAS (Dispositivo Arti Sperimentali), sede di eventi pubblici ma, soprattutto, di incontri quotidiani con i membri del collettivo.

Tra le ricerche poetiche individuali dei membri del collettivo bolognese è parsa, fin da subito, una certa vocazione narrativa di tutti i testi. Eugenia Galli, seguendo questa inclinazione, inizia a comporre i testi per il progetto di spoken music Monosportiva Galli Dal Pan, un duo che vede lei  alla voce (in versi) e Lorenzo Dal Pan alla musica elettronica.

Monosportiva Galli Dal Pan

Eugenia Galli e Lorenzo Dal Pan

Il primo Ep della Monosportiva Galli Dal Pan, è uscito a maggio 2019 per Zoopalco, un concept imperniato sulla figura di un personaggio: Gilda.

Ecco Il corso di ginnastica, un brano tratto dall’Ep della Monosportiva Galli Dal Pan.

Con questo progetto della Monosportiva Galli Dal Pan nel 2018 e nel 2019 Eugenia Galli si qualifica alle finali del Premio Alberto Dubito di poesia con musica senza però mai riuscire a conquistare il primo posto.

La poetessa però non si arrende e continuerà a partecipare finché non otterrà un premio alla carriera per la perseveranza.

Eugenia Galli

Eugenia Galli

Eugenia Galli: intervista

Qual è la differenza che intercorre tra poetry slam e poesia performativa?

Il poetry slam è uno spettacolo, un format fintamente competitivo che rende la poesia avvincente e “digeribile” per un pubblico di non addetti ai lavori. Per chi sale sul palco funziona come palestra o laboratorio: serve a testare la messa in voce delle proprie composizioni ottenendo una reazione immediata. Si tratta, insomma, di un gioco, di un’occasione per incontrarsi e ascoltarsi a vicenda.

Spesso lo slam è il primo passo nella costituzione di un personale corpus di testi pensati per essere detti ad alta voce. Gli autori più interessanti non si limitano ad esibirsi nel breve spazio di tre minuti concesso dal format, ma decidono spesso di organizzare questo ed altro materiale in un personale spettacolo unitario. Così sono nati alcuni degli spettacoli di poesia performativa più interessanti della “scena” slam italiana: penso a DIXIT di Matteo Di Genova o a “Black in / Black out” di Nicolas Cunial.

Molta altra poesia performativa nasce da premesse diverse da quelle dello slam, spesso in relazione con altri supporti, in una dimensione multimediale. Zoopalco sta sperimentando in questa direzione, per esempio con il live di poesia e beatbox del trio Mezzopalco (Riccardo Iachini, Toi Giordani, Jonny aka Ninjo) o col progetto Guide Percettive.

Eugenia, secondo te la poesia performativa in cosa si differenzia dalla poesia tradizionale?

Le definizioni in questo senso sono un trabocchetto. La poesia è stata storicamente l’unica arte in grado di cambiare continuamente supporti: è nata orale, dunque performativa e “collettiva”, ma ha abitato e abita la scrittura, è tipografica, può essere visiva, sonora…

Per un approfondimento, consiglio la lettura all’Avviso ai naviganti, scritto da Gabriele Frasca e Lello Voce.

Di recente stiamo assistendo a un ritorno della poesia alla sua dimensione orale e performativa, e dobbiamo quindi munirci di strumenti adeguati tanto per produrla quanto per interpretarla. Le tecniche della composizione in versi non sono sufficienti per allestire uno spettacolo del genere a cui accennavo: bisogna associarvi un uso consapevole della voce e del corpo, oltreché progettare una “regia”.

Quali sono i temi di cui tratti principalmente nei tuo testi?

Uno dei temi centrali della mia scrittura è proprio il corpo.

Il mio mi è sempre parso inadeguato, e anche sul palco lo porto come un fardello. I live della Monosportiva Galli Dal Pan mi offrono un’occasione di catarsi: racconto questo disagio proprio nel momento in cui lo vivo.

Eugenia Galli presenta un brano inedito: Atlantide

Da dove prendi spunto prima di scrivere un testo?

Per i testi della Monosportiva Galli Dal Pan traggo sempre ispirazione da storie reali, anche se non necessariamente autobiografiche.

Nel periodo in cui abbiamo iniziato a scrivere l’Ep ero affascinata dalla storia di una ragazza che, in una situazione di grande stress (derivato forse dal fatto di non corrispondere alle aspettative che la sua famiglia aveva su di lei), era stata ricoverata per un’amnesia, e una volta ristabilitasi aveva cambiato radicalmente vita. Ho immaginato che Gilda, la protagonista dell’Ep, decidesse a un certo punto – con il preciso scopo di cambiare vita – di procurarsi volontariamente questa amnesia.

In alcuni testi parli della perfezione di un apparire che contrasta con un vuoto interiore e ciò sembra voler denunciare una società, quella odierna, che basa tutto su valori dettati dall’estetica e dalla paura di affrontare se stessi e dalla fobica paura di accettare lo scorrere, inevitabile, del tempo.

Credo che dovremmo rivoluzionare completamente il modo in cui pensiamo, in senso estetico, ai nostri corpi. Combatto l’idea che un corpo nudo, magari bello, debba essere per forza sessualizzato e quindi censurato; allo stesso modo combatto l’idea che i corpi che la società tende a celare (i corpi delle persone anziane o malate, per esempio, come nel testo di “Ta Ta Ta”) debbano essere sempre raccontati tagliando fuori la sfera del desiderio e del piacere.

Monosportiva Galli Dal Pan: video di Ta Ta Ta

Quanto c’è di Gilda in te?

Gilda è una sorta di mio ambiguo alter ego.

Le premesse della sua storia ricordano le mie (l’attività fisica e il rapporto con la madre, per esempio), ma le scelte che compie sono autonome, non mi riguardano.

Monosportiva Galli Dal Pan: audio di Corpo contraffatto

In Corpo contraffatto riemerge il binomio tra essere e apparire. Mi riferisco a: “che i volumi non sono solo libri, che fare volume ha a che fare con le ripetizioni di una serie.”

Molte strofe mettono a confronto due dei miei interessi principali: i pesi e la poesia. Per me l’attività estetica, tra le due, è quella poetica, ma ovviamente il testo di Corpo contraffatto ha molte sfumature di ironia, non presenta il mondo per come lo vedo io.

Le peggiori paure: una feroce riflessione sul matrimonio

Le peggiori paure è un romanzo di Fay Weldon, edito da Fazi Editore, che uscirà nelle librerie il prossimo 30 gennaio.

Protagonista del romanzo è Alexandra Ludd, un’attrice affermata, che diventa inaspettamente vedova. Ned noto critico teatrale nonché marito della donna viene colto improvvisamente da un infarto mentre la donna si trova a Londra per lavoro.

La vita coniugale di Alexandra Ludd e Ned sembrava essere felice e priva di lati oscuri ma una serie di eventi e dettagli strani, dopo la morte del marito la portano a porsi delle domande che la mettono in discussione sul suo ruolo di donna, di madre e di artista.

La morte di Ned pone Alexandra in una fase di stallo, in cui i ricordi della vita coniugale si confondono con visioni di una vita altra, il dolore e la perdita sono condizioni difficili da accettare per la donna.

Era un cordone ombelicale a tenerli uniti – reciprocamente- che con il tempo avrebbe riportato indietro lui, oppure sarebbe stata lei a seguire lui? Presto avrebbe forse avuto un’altra visione: Ned sarebbe riapparso sulla spiaggia per aspettarla, l’ombra si sarebbe dissolta e lei l’avrebbe raggiunto sulla battigia alla luce del sole. Insieme sarebbero entrati in un’altra forma di vita. Così andavano le cose. Lei non riusciva ad accettare l’essenza definitiva della morte. Ci sei, e poi, di colpo, non ci sei più. Impossibile. Il confine fra le due condizioni era troppo marcato e definito per essere accettabile.

 

L'ultimo romanzo di Fay Weldon

Le peggiori paure di Fay Weldon

Fay Weldon realizza un libro estremo in cui emergono complicità e competizioni femminili che si scontrano inevitabilmente con l’ambiguo universo maschile. Per scoprire il resto non vi resta che leggere il libro!

La stella di Andra e Tati: un corto animato sulla Shoah

La stella di Andra e Tati (2018) è un corto animato diretto da Rosalba Vitellaro e prodotto da Rai Ragazzi insieme al Miur e a Larcadarte che ha come tema la Shoah.

Il corto animato racconta la vera storia di Andra e Tati Bucci, due sorelle italiane sopravvissute allo sterminio nazista.

La stella di Andra e Tati è un lavoro coraggioso e che, nonostante l’uso dell’animazione, non fa omissioni e sconti nel trattare in modo diretto questa tematica.

La stella di Andra e Tati: corto animato

Il corto animato che parla dell’olocausto

La storia di Andra e Tatiana Bucci

Tatiana (1937) e Andra (1939) nascono a Fiume e sono figlie di Giovanni Bucci, un fiumano cattolico e di Mira Perlow, originaria della Bielorussia ed ebrea.

Mira Perlow si era trasferita a Fiume nei primi anni del ‘900, per sfuggire dai pogrom zaristi (attacchi nei confronti della minoranza ebrea attuati tra il 1881 e il 1921).

La scelta di vivere a Fiume sembrava essere la migliore perché avendo, la città, uno sbocco sul mare, poteva permettere una via di fuga in caso di pericolo.

Purtroppo, dopo l’8 settembre del 1943, a Fiume vengono applicate le leggi razziali tedesche che danno il via alle deportazioni.

Il 28 marzo del 1944, dopo una denuncia fatta dall’ebreo Plech, Anna, Tatiana, la madre, il cugino e la zia vengono arrestati e trasportati a Susak per giungere il 4 aprile del 1944 ad Auschwitz.

Andra e Tati Bucci

Il corto animato che racconta l’olocausto

La legge di Auschwitz prevedeva che donne e bambini venissero uccisi, appena arrivati al campo di concentramento, per chi avesse più di sessant’anni e meno di quindici.

Andra e Tatiana, probabilmente scambiate per sorelle gemelle, vengono mandate nel Kinderblock, una baracca dove c’erano i bambini destinati ad esperimenti.

Le sorelle sono riuscite a  sopravvivere per circostanze del tutto eccezionali perché, generalmente i bambini venivano immediatamente mandati alle camere a gas e uccisi, fatta eccezione per gemelli o bambini giudicati interessanti per esperimenti medici o per altre mansioni particolari nel campo.

Andra e Tatiana vengono liberate nel 1945 e oggi sono tra le più importanti testimoni dello sterminio degli Ebrei.

Il corto animato sulla Shoah

La stella di Andra e Tati

Concludiamo e ricordiamo il Giorno della Memoria con le parole del filosofo Emmanuel Lévinas, che ha basato la sua filosofia ispirandosi a temi biblici ed ebraici e muovendo da una contestazione della tradizione ontologica del pensiero occidentale come ricerca di una teoria generale dell’essere, dominata dal principio della totalità.

Per noi la crisi dell’ideale umano – greco o romano – si annuncia nell’antisemitismo, che è nella sua essenza odio dell’uomo altro, vale a dire odio dell’altro uomo.

Donne e scuole contro il Festival di Sanremo: nasce l’hashtag #iononguardoSanremo

La partecipazione del rapper Junior Cally al prossimo Festival di Sanremo sta creando non poche polemiche perché alcuni testi, del passato, del cantante contengono messaggi che inneggiano alla misoginia e alla violenza.

Il Coordinamento Donne insieme al sindacato Cisl hanno lanciato un’iniziativa, attraverso la creazione dell’hashtag #iononguardoSanremo, che vorrebbe invitare quante più persone possibili a non guardare la prossima edizione del Festival di Sanremo.

L’iniziativa lanciata è stata accolta anche da docenti e presidi di varie scuole che trovando diseducativo il personaggio controverso di Junior Cally, hanno deciso di fare una petizione.

Angela Rosauro, dirigente scolastico dell’Istituto Donizetti di Pollena Trocchia, ha indetto una petizione che ha già raccolto più di 21mila firme.

Nel testo della petizione viene riportato un brano misogino del rapper, che mira a sottolineare in che modo il cantante possa essere di cattivo esempio per le giovani generazioni.

Junior Cally

Junior Cally

Ecco il testo integrale della petizione:

Spett.le Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

commvigilanzarai@pec.senato.it

I sottoscritti dirigenti scolastici, docenti di scuola dell’infanzia, di scuola primaria, di scuola di primo e secondo grado, assistenti amministrativi, collaboratori scolastici, genitori degli alunni di ogni ordine e grado delle scuole pubbliche d’Italia,

a nome di tutti i bambini e le bambine e di tutti i ragazzi e le ragazze a  cui ci rivolgiamo ogni giorno affinché costruiscano un armonico progetto di vita personale e sociale,

ritengono che sia vergognoso nonché pericolosissimo, in termini educativi e formativi, che sia concessa la partecipazione al Festival della canzone italiana di Sanremo, al rapper Junior Cally che non disdegna nelle sue canzoni definire le donne e il rapporto con esse attraverso i seguenti “versi”:

Lei si chiama Gioia, beve e poi ingoia.

Balla mezza nuda, dopo te la da.

Si chiam Gioia, perché fa la tro.., sì, per la gioia di mamma e papà.

Questa non sa  cosa dice, porca tro.., quanto chiaccchiera? L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa, c’ho rivestito la maschera.

State buoni, a queste donne alzo le minigonne

me la chi… di brutto mentre legge Nietzsche

Ci sco….. Giusy Ferreri (la cantante)

lo sai che fot….. Greta Menchi (influencer)

lo sai voglio fot…. con la Canalis (conduttrice)

queste put…. con le Lelly Kelly non sanno che fot…. con Junior Cally.

I sottoscritti ritengono che la Rai in quanto servizio pubblico non debba consentire che questo tipo di massaggi possano raggiungere e nemmeno sfiorare il Festival della canzone italiana, pena un’accusa infamante di complicità e favoreggiamento della violenza sulle donne.

Nel convincimento di un’immediata e chiara presa di posizione si porgono distinti saluti,

Angela Rosauro dirigente scolastico IC Donizetti Pollena Trocchia.

Voi cosa ne pensate? Scrivetecelo nei commenti.

Francesco Amato ci racconta la vera storia di Elisa Girotto

18 regali è l’ultimo film di Francesco Amato, che porta sul grande schermo la triste storia di Francesca Girotto, una giovane madre trevigiana che, durante la gravidanza, scopre di avere un tumore al seno in stadio avanzato, che le strapperà la vita, impedendole di veder crescere sua figlia.

Francesca decide di colmare la sua assenza, preparando, prima della sua morte, 18 regali per sua figlia affinché l’accompagnino durante la sua crescita. La scelta di Francesca nasce dal desiderio d’amore che vorrebbe dare una madre ad una figlia, dal desiderio di essere presente nei momenti cruciali della sua vita e dalla voglia di farsi conoscere come donna e come persona familiare, nonostante tutto e nonostante l’impossibilità della presenza fisica e quotidiana.

18 regali

Vittoria Puccini e Benedetta Porcaroli

18 regali: la trama

Elisa (Vittoria Puccini) ha quarant’anni, lavora in un’agenzia interinale ed ha un compagno: Alessio (Edoardo Leo), un trainer calcistico da cui aspetta un figlio. La loro vita familiare procede tranquillamente fino a quando la donna scopre di avere un tumore avanzato, che le impedirà di vivere e di godersi sua figlia. Elisa, infatti, muore lo stesso giorno in cui mette alla luce Anna (Benedetta Porcaroli), la bambina che porta in grembo.

Anna cresce e, ad ogni suo compleanno, scarta il regalo della mamma ma non si spiega il motivo per cui non è la mamma stessa a darglieli e perché non l’ha mai vista. Alessio è costretto a spiegare l’assenza della madre, accompagnandola al cimitero.

Andando avanti negli anni, Anna trova fastidioso aprire i regali della madre e nel giorno del suo 18esimo compleanno decide di non aprire l’ultimo regalo di Elisa e di non partecipare alla festa che Alessio e i suoi nonni hanno organizzato per lei, fuggendo di casa.

La ragazza decide di scappare di casa ma, durante la fuga, viene investita ed entra in coma.

Locandina 18 regali

Locandina dell’ultimo film di Francesco Amato

Attraverso l’espediente del coma Francesco Amato trova un filo conduttore straziante che mette in contatto Elisa e Anna. La ragazza, infatti, conosce la madre e rivive con lei quel tempo in cui Elisa scopre di avere un tumore e decide di prepararle i 18 regali.

18 regali è un film che, oltre a farci riflettere sull’importanza della vita, pone lo spettatore davanti l’importanza della comprensione all’interno di un nucleo familiare perché Anna, durante il viaggio temporale che le permette d’ incontrare la madre, conosce anche il padre e ne scopre lati che fino a quel momento non aveva compreso.

Il lungometraggio di Francesco Amato parla di quei legami visibili e invisibili, che si riassumono con il termine di legami familiari, e ci porta a riflettere sull’importanza che ha il donare senza remore e senza confini temporali.

Avellino: ritrovata una tela del ‘500 in una casa privata

Ettore Cesta, antiquario e titolare dell’esercizio commerciale La Gatta Cenerentola di Avellino, lo scorso ottobre durante una ricognizione di materiali custoditi all’interno di un deposito di un’abitazione privata, sita nel centro storico di Avellino, ha reperito un quadro raffigurante un ritratto di donna.

Tela del '500 ritrovata ad Avellino

Dettaglio di una tela del’500

L’antiquario avellinese spiega così il ritrovamento del dipinto e le sue caratteristiche:

Incuriosito anche dalla particolarità del ritrovamento, il quadro si trovava in un seminterrato privo di corrente elettrica ma una luce da una apertura sembrava indicare proprio quell’oggetto, ho deciso quindi di compiere delle ricerche in merito all’autore e al soggetto raffigurato. Il proprietario del deposito mi aveva riferito di ricordare che la tela proveniva dall’abitazione di una vicina di sua nonna e che la signora in questione raccontava, a supporto di presunte discendenze nobiliari, che quel quadro raffigurava una sua ava che era stata gran signora di Avellino. La tela, priva di firma o di indicazioni dell’autore, raffigura una nobildonna di profilo, in abiti rinascimentali, che regge tra le mani tre fiori di cardo. La riverniciatura sembra ricalcare il disegno e i colori originali.

Ettore Cesta ha iniziato a fare delle ricerche sul fiore di cardo, raffigurato nel dipinto, e sul suo significato allegorico, ricercando tra gli stemmi nobiliari che raffigurano fiori di cardo ha scoperto lo stemma nobiliare dei De Cardona, signori di Avellino e che, probabilmente, la donna raffigurata potrebbe essere Maria de Cardona.

Per quanto riguarda l’autore del dipinto, Ettore Cesta ha ritrovato una lettere di Ortensio Landi indirizzata a Bartolomeo Panciatichi, in cui il mittente chiede di avere un ritratto della Marchesa Maria De Cardona.

Bartolomeo Panciatichi, è stato un politico potente della Firenze rinascimentale, che aveva già commissionato ritratti di donne importanti e quando aveva deciso di chiedere un ritratto di Lucrezia, sua moglie, si era rivolto ad Agnolo Bronzino, dipinto che oggi è custodito nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

Lucrezia Panciatichi

Dipinto del ‘500 di Agnolo Bronzino

Il quadro ritrovato ad Avellino verrà esposto il 25 gennaio alle ore 16:30 presso il Casino del Principe, in occasione del Convegno Il Castello e le sue prospettive, organizzato dall’Associazione Terrafuoco.

Avellino: Opera senza autore in programmazione al Cinema Partenio

Parte ufficialmente la programmazione dello Zia Lidia Social Club con la proiezione al Cinema Partenio del film Opera senza autore di Florian Henckel von Donnersmarck (2018), prevista il 23 gennaio alle ore 20.00.

Opera senza autore è un biopic ispirato alla storia di Gerhard Richter (1932), noto artista tedesco.

Opera senza autore: trailer

Opera senza autore di Florian Henckel von Donnersmarck

Florian Henckel von Donnersmarck ci conduce nel 1938 a Dresda, Kurt Barnert, è ancora un bambino, ed è segretamente innamorato di sua zia Elizabeth, una ragazza dall’animo delicato e sensibile, con una forte passione per il mondo dell’arte, dei musei e della musica.

In Germania, durante il nazismo, non c’è posto per persone sensibili come lei e viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Elizabeth chiede al medico di non essere sterilizzata perché non sa che, in realtà, ciò che le riserva il futuro è ben più brutale.

Kurt Barnet, intanto, è sopravvissuto al bombardamento di Dresda e ha scoperto di avere un’innata propensione per il disegno e la pittura astratta. Il giovane artista si invaghisce di Ellie, figlia del ginecologo nazista che ha condannato la zia.

Una serie di eventi cambieranno il destino del giovane artista, riportando a galla ricordi della sua infanzia che aveva rimosso.

Opera senza autore

Florian Henckel von Donnersmarck regista

Opera senza autore tratta i lati oscuri del nazismo e il regista, per non rendere scontata l’argomentazione, procede con un parallelismo che affronta le stagioni della vita del protagonista del film, che vanno di pari passo con la storia, gli eventi e le correnti di pensiero di questi anni.

Per scoprire il resto non vi resta guardare Opera senza autore!

In Her Shoes di Maria Iovine: un cortometraggio sul femminismo

In Her Shoes (2019), è un cortometraggio di Maria Iovine, che parla della disparità tra uomo e donna e lo fa in un modo del tutto nuovo, ribaltandone i rispettivi status sociali. La regista si muove attraverso un paradosso che ci mostra un mondo capovolto, in cui le donne ricoprono ruoli di potere mentre gli uomini si occupano della casa e della famiglia.

Come sarebbe stata la reazione degli uomini se si fossero trovati in una condizione subordinata rispetto a quella della donna? Come avrebbero vissuto il dover ricoprire alcuni ruoli, imposti dalla società, sacrificando le proprie ambizioni personali?

In Her Shoes di Maria Iovine

Il cortometraggio femminista di Maria Iovine

La voce narrante e il protagonista di In Her Shoes è Domenico, un uomo che si racconta alla figlia come marito e come padre e rivive tutte le tappe più significative della sua vita: dall’incontro con la moglie, all’amore vissuto con lei, alla nascita della figlia e a quei momenti determinanti che, per lui, hanno rappresentato rinunce e sogni spezzati.

Domenico è un uomo che ha sacrificato tutto per la sua famiglia e che, in alcune circostanze come quella dei tradimenti della moglie, ha fatto finta di non accorgersi di nulla per paura di non poter più rivedere sua figlia.

L’idea di Maria Iovine è originale perché capovolgendo i ruoli conduce lo spettatore direttamente nel mondo stereotipato, cui siamo abituati.

Nell’osservare l’uomo casalingo che si rapporta alla moglie in carriera, la prima reazione è quella di sorridere perché sono situazioni che, nella maggior parte dei casi, esulano dai classici canoni sociali e lo sappiamo bene tutti.

La seconda reazione è quella della riflessione che ci porta a porci delle domande del tipo: perchè troviamo assurda l’idea di poter vivere in una società all’opposto? Come avrebbero reagito gli uomini davanti ad una disparità così ingiusta?

In Her Shoes di Maria Iovine

In Her Shoes di Maria Iovine

Partendo da In Her Shoes abbiamo posto delle domande, direttamente a Maria Iovine, sul femminismo di ieri, quello degli anni di Simone De Beauvoir, e su quello di oggi.

Le risposte della regista le potrete ascoltare nell’intervista video.

Bruno Misefari: il filosofo anarchico di Palizzi

Bruno Misefari, noto con lo pseudonimo di Furio Sbarnemi, è stato un filosofo, poeta e ingegnere italiano ma, soprattutto, un anarco-individualista nato il 17 gennaio del 1892.

L’anarco-individualismo si deve a Max Stirner che, benché abbia rifiutato questa etichetta, è stato il fondatore di questa corrente di pensiero.

L’anarco-individualismo sostiene e difende l’individuo dalle problematiche della società contemporanea, non contemplando l’isolamento, rapportandosi alla società attraverso le regole, partecipandone alla stesura o al cambiamento, qualora ve ne fosse bisogno.

Bruno Misefari

Bruno Misefari

Per descrivere meglio il suo concetto di anarchia individualista vi riportiamo le sue stesse parole:

Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante del comunismo. L’anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. Esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come domani.

Nel 1915 si rifiuta d’intraprendere la carriera militare e viene arrestato per quattro mesi nel carcere militare di Benevento, da dove riesce a fuggire. Viene di nuovo fermato in Calabria con l’accusa di aver tenuto un discorso pacifista durante una manifestazione a favore della guerra e ricondotto a Benevento.

Nel 1920, nel periodo che trascorre a Napoli, realizza il giornale L’Anarchia con il dentista anarchico Giuseppe Imondi. aveva come titolo, L’Anarchia.

. Nel 1922 vive tra Napoli e la Calabria e termina gli studi, laureandosi in ingegneria al Politecnico di Napoli e si iscrive, successivamente, alla facoltà di filosofia.

Nel 1931 Bruno Misefari viene condannato all’esilio a Ponza ma due anni dopo ottiene la libertà. Nel 1933 il filosofo scopre di avere un tumore al cervello che lo porterà alla morte nel suo 44esimo anno di vita.

Nel 1926 il filosofo viene segnalato alle autorità fasciste perché considerato un fervente e irriducibile anarchico e viene invitato ad astenersi dal portare avanti qualsiasi tipo di azione politica diretta a sovvertire l’ordine dello Stato.

Il suo operato influisce molto nell’opposizione al regime fascista.

Bruno Misefari è stato nemico di ogni religione, da lui considerata come la più pericolosa alleata dell’ignoranza e del male sociale.

La religione è il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell’ignoranza e del male.

Tra i suoi scritti ricordiamo: Utopia? No! Scritti scelti di Bruno Misefari (1975), Prosa e poesie. Tutto è vero (1978) e Ruota del mondo (1965).

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