Uno dei più grandi filosofi e sociologi mai esistiti, Friedrich Engels, in una lettera al suo amico Karl Marx, espresse il suo disagio nell’ammettere che essendo lui un benestante, figlio di un grande imprenditore tessile tedesco, non riuscisse a cimentarsi perfettamente nel ruolo di chi avrebbe preso le difese della classe operaia o comunque meno abbiente.
Intanto fu grazie a lui e alle sue risorse, se alcune delle opere che conosciamo, come Il Manifesto del Partito Comunista o Il Capitale, riuscirono ad ottenere una pubblicazione, applicando cambiamenti radicali al mondo economico.
Non deve disturbare, dunque, la certezza che spesso, se facciamo un passo indietro nel tempo, è toccato alla borghesia applicare cambiamenti con scopo benefico per la società, sia nel campo dello sviluppo sociale, economico, nella filosofia e infine nell’arte. Questo perché chi aveva più facile accesso allo studio, quando quest’ultimo non era ancora un diritto per tutti, aveva oltremodo la possibilità di ottenere un ruolo importante nelle istituzioni, e tra i più fortunati c’erano animi più sensibili che avrebbero apportato evoluzioni a favore di tutta la società, contemporanea e futura.
Il giovane Fabrizio De André, nato a Genova nel 1940, era anch’egli figlio di una famiglia benestante: il padre Giuseppe era un imprenditore molto facoltoso; fu vicesindaco e presidente dell’Ente Fiera; anche la madre, Luisa, aveva origini nobili.
Fabrizio De André ebbe modo quindi di frequentare le migliori scuole, e nonostante i suoi risultati non fossero eccellenti, perché si definiva pigro, soprattutto nello studio, amava invece soltanto sostare tra i libri di suo gradimento, leggendo i classici della letteratura e della poesia. Di quest’ultimo campo amava François Villon, Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud e Bertolt Brecht.
Era un appassionato degli chansonnier francesi, tra cui Georges Brassens, Gilbert Bécaud, Charles Aznavour e Jacques Brel, e aveva un predilezione per le ballate medievali, a cui spesso si divertiva ad applicare della musica di sua invenzione, creandone delle melodie con quei versi antichi.
Era innanzitutto un ottimo chitarrista, anche se lui si era sempre considerato uno “alquanto scarso”, e si avvicinò giovanissimo al jazz, disciplina che abbandonò presto perché credendola troppo scolastica, preferendo ad esso qualcosa di più spontaneo, più libero.
Fu l’etichetta discografica Karim a scovarlo tra gli ambienti musicali già fiorenti dell’allora Genova dei cantautori più eccellenti, che facevano da scuola al panorama italiano, come Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Sergio Endrigo e Luigi Tenco, quest’ultimo grande amico di Fabrizio De André.
Quest’ultimo però si discosta come originalità dagli altri, e come ci dice Immanuel Kant:
La minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.
Sembra chiaro che il giovane cantautore voglia fortemente creare qualcosa che non si sposi né col contesto benestante da cui proviene, né con il panorama culturale-musicale a cui per diritto appartiene. Fin da subito Fabrizio De André, che già si è sposato giovanissimo ed ha un figlio, il piccolo Cristiano, è amministratore di tre istituti privati e studia giurisprudenza, ci tiene a separare la passione che ha per la musica –che definisce soprattutto un hobby-, dalle più importanti mansioni da uomo responsabile e padre di famiglia. Non cerca il successo e rifugge dalle interviste, perché egli la musica la definisce “una cosa serissima” e oltretutto non si concede facilmente alle masse, è schivo e taciturno, non timido ma risoluto nelle sue idee di spontanea reclusione tra le mura domestiche, e soprattutto si rifiuta nel suonare dal vivo, perché sostiene:
Io appartengo solo a me stesso.
A questa conclusione i Beatles ci sarebbero arrivati nel 1966, un anno prima che uscisse il primo LP di Fabrizio De André, mentre quest’ultimo prenderà la decisione di affrontare il palco soltanto nella seconda metà degli anni Settanta.
Tra il 1960 e il 1961, con la Karim, escono i primi 45 giri, che sottopongono gli ascoltatori a qualcosa di nobile, d’altri tempi quasi, e che sposa le tematiche dell’amato Georges Brassens, da cui spesso si cimenta nelle traduzioni dei testi o nei rifacimenti stessi con riarrangiamenti, che parlano d’amore (La canzone dell’amore perduto) ma anche di morte (La ballata del Michè), che abbracciano tematiche sociali drammatiche come la guerra (La guerra di Piero), che sottraggono le donne all’ingiusto giudizio di una società ancora troppo patriarcale (La canzone di Marinella).
Fu proprio nel 1964, con La canzone di Marinella, affidata alla voce di Mina, che Fabrizio De Andrè ottenne il successo di cui però avrebbe fatto a meno, ma il pubblico approvò, anche grazie al supporto di una cantante straordinaria, e i dischi piovvero ostinatamente, ancor prima di oltrepassare il traguardo di un primo vero long playing, che a dir la verità arrivò presto, ma fu dapprima una raccolta di tutti i singoli che la Karim mise insieme per dar vita al primo disco, Tutto Fabrizio De André.
La svolta però si associa anche con un evento davvero scomodo: la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers fu messa sotto sequestro dal Procuratore della Repubblica di Milano, considerandola oscena e dai toni pornografici. Questa traccia, scritta a due mani con l’amico Paolo Villaggio, parla dell’avventura del re Carlo, condottiero che nelle località di Poitiers fermò l’avanzata degli arabi, nel 732, che avrebbero messo in pericolo il mondo cristiano, oltre tutta la civiltà occidentale. Carlo Martello, nel testo, più che combattente, viene presentato anzitutto come un uomo, con tutte le sue debolezze, prima fra tutte quelle che della carne, e tornando da vincitore, credendo di ottenere tutto e subito per le sue voglie ardenti, resta poi spiazzato quando una concubina gli presenta la parcella alla fine dell’atto sessuale.
Dichiarò Fabrizio De André al Messaggero, nel dicembre del 1965:
Noi siamo perseguitati da personaggi come lo sterminatore degli arabi, tanto che finiamo per dimenticarci che sono uomini. Ebbene, io ho voluto ricordare che Carlo Martello era un uomo con il suo meraviglioso coraggio, ma anche con il peso della sua carne vogliosa. Che cosa c’è di male in tutto ciò? Forse perché nella canzone c’è la parola puttana per giustificare un sequestro?
La canzone sopracitata sarà, per volontà stessa dell’artista in accordo coi discografici , l’unica edita in una raccolta di canzoni inedite che faranno parte del primo disco, Volume 1, pubblicato dall’etichetta Bluebell nel 1967. La causa, i cui imputati sono lo stesso cantautore e i due titolari della Karim (ma non il coautore Paolo Villaggio), si concluderà nel luglio del 1968, quando si pronuncerà la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Nello stesso tempo la separazione con la Karim non avviene nel migliore dei modi, dato che il cantautore viene denunciato dai suoi titolari perché Fabrizio De André si sarebbe accordato con una nuova etichetta discografica e con essa avrebbe iniziato le sessioni di registrazione per il primo LP ufficiale di inediti. La separazione avviene però quando ci sono dei dubbi del musicista sulla corrispondenza esatta dei diritti d’autore su tutti i dischi venduti.
La definizione che si possa dare al primo periodo di Fabrizio De André è quella di considerarsi, soprattutto, un uomo ancor prima di auto dichiararsi artista, affermazione che gli fu scomoda.
La svolta che avvenne, neanche molto presto, col grande pubblico fu una causale del tutto giustificata, in quanto egli si presentò con un’originalità che in Italia, allora come oggi, non aveva eguali, con la sua ostentata cultura, con le passioni per le ballate d’altri tempi e gli chansonnier francesi, con la dichiarazione di un mondo ora ironico, ora ingiusto e ipocrita, accompagnato da una musica nobile, seppur leggera, con dei testi poetici che ricalcano la sua smisurata devozione agli autori che ha amato e che lo hanno inebriato, aiutandolo nella giusta direzione che si sarebbe presto definita, con la quale sarebbe stato riconosciuto come un personaggio storico che non avrebbe mai perso di vista le sue smaniose volontà di sentirsi innanzitutto un essere pensante filo anarchico, lontano da ogni direzione politica, e solo infine, come un cantautore.
I tempi difficili che stiamo vivendo ci insegneranno a definirci dapprima come esseri messi a nudo, con le nostre debolezze (come Carlo Martello) e le nostre giustificate incapacità, messe di fronte a emergenze di una portata epocale impressionante. L’importanza di considerarci dapprima nella pienezza delle nostre risorse umane (come in Marcia Nuziale) ci aiuterà nella scalata complicata per la riconquista di una più miserevole dignità, ancor prima di considerarsi importanti, indistinguibili o addirittura inarrivabili. In questo momento, l’ascolto di un artista che ha cantato l’uomo, anzitutto perdente, può essere di un’importanza fondamentale per la riuscita di una società che rinasca migliore di prima, e si faccia forza con la rivalutazione di sentimenti più importanti.
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