Fabrizio De André

Visionnaire22: narrazioni tra cinema documentario e teatro

Dopo gli eventi del 25 e 28 agosto (la masterclass con il  M° Aurelio Canonici dal titolo “Ennio Morricone: una lezione in musica” e la proiezione del docu-film Ennio del regista Giuseppe Tornatore) continua  – fino al 18 settembre – Visionnaire22, la rassegna dell’audiovisivo che giunge alla seconda edizione nata dalla sinergia tra il Museo FRaC-Baronissi(Fondo Regionale d’Arte Contemporanea) diretto da Massimo Bignardi, e l’associazione Tutti Suonati, con il patrocinio e il contributo del Comune di Baronissi. La direzione artistica è di Andrea Avagliano, la consulenza cinematografica di Massimiliano Palmese.

I prossimi due appuntamenti sono un focus su Fabrizio De Andrè e la rinomata scuola cantautorale genovese:
Giovedì 1° settembre dalle ore 19:00 (ingresso libero) ci sarà in esclusiva regionale la proiezione del docu-film  DeAndrè #DeAndrè Storia di un impiegato” già presentato alla 78° Mostra Internazionale denl Cinema di Venezia. Ospite della serata la regista Roberta Lena che dialogherà con la giornalista Erminia Pellecchia. A seguire il concerto dei Litteitaly duo che faranno un omaggio a Farizio De Andrè

Il cantautore italiano Fabrizio De AndrÈ con il figlio Cristiano seduti su una spiaggia mentre suonano e cantano insieme. Italia, Sardegna, 1978


L’opera ripercorre il concerto di Cristiano, il figlio di Faber, che ha portato sul palco il concept album del padre riarrangiato. Un tour, quello di Cristiano, della durata di due anni che ha omaggiato Fabrizio De André con le sue stesse note. Cristiano è uno dei volti, insieme a quelli di Dori Ghezzi e Filippo De André, a raccontare Faber, scavando nella memoria alla ricerca dei ricordi con questo uomo divenuto una leggenda della musica italiana.
Si approfondisce De André non solo come cantautore, ma anche come padre addentrandosi nella sua sfera più privata, e vengono raccontate anche vicende note, ma dalla versione del figlio e da una prospettiva più familiare.

Cristiano ricorda i giorni trascorsi nella casa sarda di Portobello, dove Fabrizio dava vita a quell’album, circondato dagli amici e colleghi. Quello che ne viene fuori è un ritratto esclusivo di De André, che si sofferma sul legame tra padre e figlio, accomunati dall’amore per la musiva e dal pensiero sociale, cose che hanno permesso un passaggio di testimone, che non è semplicemente il nome illustre, ma un’eredità artistica e politica importante.

Venerdì 2 settembre dalle ore 19:00 (ingresso libero) “La Nuova Scuola Genovese” di Yvan Dellacasa e Paolo Fossati.
Introduce e coordina il talk il Prof. Lello Savonardo (Coordinatore del corso di Laurea in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica – Università di Napoli Federico II).

La Nuova Scuola Genovese

Il documentario incentrato sulla “scuola genovese”, movimento culturale nato negli anni ’60 e attivo in particolare nel capoluogo ligure e nel cantautorato italiano. Di questa corrente fanno parte grande nomi, come quelli di Gino Paoli, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Fabrizio De André, ma accanto a loro si stanno facendo conoscere nuove leve della canzone d’autore, come Tedua, Izi, Bresh, Vaz Tè, Nader, Guesan, Demo.

Noti solamente con uno pseudonimo, questi artisti, per lo più rapper, stanno applicando alla musica contemporanea e alle sue recenti evoluzioni gli insegnamenti ricevuti da quei padri che hanno portato in alto lo stendardo della scuola genovese.
È così che due generazioni, apparentemente lontane tra loro, si incontrano e si incrociano, mostrando come, nonostante la forma possa sembrare diversa, rimanga la voglia di esprimersi con parole profonde e di denunciare le mutazioni della società.

Visionnaire22

Visionnaire22: prossimi appuntamenti

Giovedì 8 settembre Donne in musica con Giovanna. Storie di una voce. (Italia, 2021), ospite la regista Chiara Ronchini. Presenta Stefano Valanzuolo (RAI Radio 3 Suite).
Domenica 11 settembre  Donne in musica con Senza Fine (Italia, 2021) di Elisa Fuksas. Ospite Alfonso Amendola (UniSa).
Giovedì 15 settembre Via con Me (Italia, 2020) ospite il regista Giorgio Verdelli con Pasquale Scialò che presenta i libri Paolo Conte (Sperling & Kupfer) e Storia della canzone napoletana vol.II (Neri pozza). Modera il giornalista e autore televisivo Gino Aveta.
Venerdì 16 settembre Omaggio a Pier Paolo Pasolini con “LA GIAGUARA – inseguendo Laura Betti e Pasolini” di e con Elena Bucci (produzione Le belle bandiere). Renzo Paris presenta il libro “Pasolini Moravia” (Einaudi)
Domenica 18 settembre PREMIO ALLA CARRIERA all’attrice napoletana Marina Confalone.

Tra gli eventi speciali sulla magnifica Terrazza degli Aranci, situata nell’antico Convento Francescano di Baronissi oggi sede del Museo FRaC: Simona Boo in concerto l’11 settembre nella serata intitolata “Donne in musica” e il 15 settembre Roberto Colella (La Maschera).

Inoltre nell’ambito di VISIONNAIRE22 è allestita la mostra di “ARMANDO CERZOSIMO – Appunti per un’iconografia della canzone” che inizia venerdì 2 settembre (alle ore 18.30).
Curata da Massimo Bignardi direttore del Museo-FRaC, la mostra propone un repertorio di immagini tratte dall’archivio del fotografo Armando Cerzosimo: un repertorio che attraversa i luoghi della musica, ovvero che si fa da guida immaginativa ai personaggi, alle scene, alle trame dei docufilm proiettati nel suggestivo scenario della Terrazza degli aranci.
In mostra, sedici fotografie di grande formato disegnano le tracce di un viaggio tra luoghi che sollecitano la memoria, accompagnandola, nello spazio dei ricordi con la silenziosa armonia di una melodia francese, del suono delle elettriche londinesi, del canto che sale dal Tago.

Osserva Prof. Massimo Bignardi Direttore del Museo FRaC:

Sono immagini, “che ripropongono nella nostra mente luoghi che fanno da scenografia alle tante canzoni a’stipate’ nella memoria; vere e proprie ‘colonne sonore’ della nostra vita. Cerzosimo ha incontrato, nel corso degli anni, la Londra dei Beatles, la Parigi con le strade che ascendono a Montmartre fino a Place du Tertre con l’aria bohemien di Aznavoir oppure il lungo Senna avvertendo l’eco delle canzoni della Piaf. Vale anche per la Roma di Moriconi, di Venditti con ‘il Cupolone’, la Genova di De André e dei cantautori della nostra generazione, oppure la Sicilia, Nicosia, Siracusa fermando spazi e figure, come fossero un solo luogo. Inoltre, la rapida discesa dal Bairro Alto, da Chiado della vecchia Lisbona, inseguendo la malinconia del ‘fado’. La fotografia di Cerzosimo, in particolare quella in bianco e nero, lascia trasparire la sua innata capacità di guardare oltre la dimensione delle cose reali, di lasciare lo sguardo libero di incontrare la ‘visione’, vale a dire quel connubio tra l’emozione, sensazione propria di un incontro improvviso e, al tempo stesso, il trasporto del ricordo che la memoria ci consegna.

Fabrizio De André Volume I. Spirito libero e spiritualità

Il primo LP di Fabrizio De André, il nuovo poeta e cantore della scuola genovese, fu realizzato inizialmente nel 1966, quando era ancora legato al contratto con l’etichetta discografica Karim, che qualche anno prima lo aveva scoperto e lo aveva introdotto nel panorama musicale già dal 1961, con la produzione di diversi 45 giri, tra cui La guerra di Piero o La canzone di Marinella, quest’ultimo brano reso in realtà famoso da Mina, che lo aiutò a raggiungere il successo.

Tale obiettivo non interessava granché Faber, appellativo a cui pensò l’amico d’infanzia Paolo Villaggio (dalle matite Faber-Castell), con cui nel 1963 firmò la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers. Il cantautore continuava con tranquillità a curare l’amministrazione di tre scuole private a Genova, eredità trasmessagli dal padre Giuseppe, imprenditore e personaggio politico di spicco.

Fabrizio De André considerava la musica “una cosa serissima”, talmente seria da rifiutare le esibizioni dal vivo e un’assidua pubblicità ai lavori discografici, tra cui le interviste, che erano così rare che di lui emergeva davvero poco, se non le sue creazioni sublimi.
Il primo vero LP, dicevamo, uscì con la Karim, sotto il nome di Tutto De André, e includeva dieci brani, nulla di nuovo, dato che avevano già visto la luce in formato da 45 giri fino al 1966, quindi in quell’anno stesso.

Faber, nel frattempo, non si era fermato, anzi, considerando la sua diatriba con la suddetta etichetta, che era stata accusata dal musicista di mancata corrispondenza dei diritti d’autore ricavati dalle vendite, aveva già cominciato a lavorare a nuove canzoni, ammaliato dalla Bluebell Records, che gli aveva proposto un nuovo contratto.

Peccato però che quello vecchio non fosse ancora terminato, e tale circostanza aumentò le tensioni tra le due parti, e indusse una nuova causa, questa volta da parte della Karim, che accusò il cantautore di non aver rispettato i termini fino alla fine dell’accordo.

Molto probabilmente già abituato a tali circostanze scomode,senza dubbio aiutato dalla sua notevole posizione economica, in quanto c’era una terza denuncia in corso, e riguardava proprio il brano scritto a quattro mani con Paolo Villaggio, che il Tribunale Penale di Milano aveva dichiarato offensivo per la morale, e che addirittura si raccontava che contenesse fini pornografici.

Volume I (1967), il primo vero album di inediti di Fabrizio De André, vide la luce nel 1967 e fu anticipato dall’uscita dei singoli Preghiera in gennaio e Si chiamava Gesù, ambedue incluse in un formato da 45 giri.

L’unica canzone inedita, l’ultima della tracklist, fu proprio Carlo Martello, che aveva scatenato le accuse da parte delle autorità giuridiche, e fu inclusa nella scaletta di proposito, in accordo con la nuova etichetta discografica, la Bluebell Records.

La copertina, all’inizio, era di color marrone, ed aveva il volto del cantautore assorto, di lato, quasi come se non si vedesse. La registrazione, inoltre era in mono. La seconda e definitiva copertina, infine, con l’inciso in stereo, era bianca, con gli angoli smussati e un bel primo piano di Fabrizio De André, un po’ spettinato ma fiero. Anche la tracklist, con gli anni, cambia. La canzone Caro amore viene sostituita nel 1970 da La stagione del tuo amore, questo perché la prima citata, pur avendo chiare referenze al Concerto di Rodrigo per Aranjurez, non fu accettata dagli intestatari dei diritti.

La struttura del disco è di per sé molto semplice all’ascolto: in primo piano c’è una voce calda e baritonale, accompagnata da una chitarra classica, e ci sono alcune rare incursioni di altri strumenti. La sezione ritmica spesso è assente e non si presenta che con la destrezza sulla sei corde di Fabrizio De André, che paradossalmente si definiva come uno “alquanto scarso”, e con il supporto Gian Piero Reverberi, arrangiatore già nella Karim, e fedele collaboratore, arricchì le parti che figuravano strutturalmente più complicate.

Volume I e la filosofia degli emarginati

Luigi Tenco, volto iconico della scuola genovese, si suicidò a Sanremo nel gennaio del 1967, in seguito a un suo personale disaccordo con la giuria del festival, che non aveva apprezzato il suo brano in gara.

Fabrizio De André, caro amico ed estimatore di Luigi Tenco (si diceva che per avere successo con le ragazze si spacciasse proprio per il cantante di “Ciao amore, ciao”), apre il suo primo disco con una canzone che ricorda i drammatici momenti di Sanremo, Preghiera in gennaio, e tale intenso momento sarà subito coniato, e ricordato ai posteri, come il ricordo e l’omaggio più struggenti e giusti che si sarebbero potuti dedicare.

Il brano, oltre ad esprimere una reale ottica del suicidio, questo atto molto spesso accusato di pregiudizi e di critiche nonostante l’azione drammatica stessa, racconta, con la poesia intensa di Faber, la più giusta visione, che funge anche da filosofia decadente di carattere rimbaudiano.

Il significato dell’estremo atto assume un’espressione talmente notevole, da risultare come la tappa finale di una vita che ha espresso troppo spesso elevati disgusti sociali, che vittima di un’incomprensione a tutto spiano, figlia d’ignoranze e cattiverie, si oppone alle barriere di attuazioni ingiuste secondo la propria ottica, e soccombe al dono della vita, quest’ultima vista però più come un ostacolo che come un percorso:

Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza
preferirono la morte

La seconda traccia, Marcia Nuziale, neanche si discosta dalle passioni del giovane cantautore. Questa, difatti, non è altro che il rifacimento di “La marche nuptiale” di Georges Brassens, chanteur francese da cui Faber prende e prenderà sempre spunto. Qui viene descritta, quasi in maniera distopica, la cerimonia nuziale di chi canta, che racconta di essere stato testimone di quei momenti memorabili, seppur essendo il figlio della coppia descritta in questione, che addirittura suona l’armonica, per accompagnarne i lieti momenti, che però purtroppo vengono disturbarti da un vento che porta con sè una tempesta imminente, che quasi non vuol far più celebrare nulla. La scena, a dispetto delle intemperie, che rischiano di far saltare tutto, descrive un amore fatto di gesti semplici come non se ne vedevano, “durato tanti anni da chiamarlo ormai d’argento”. Un amore che coniato innanzitutto da un affetto, si descrive come un’identità sincera a tutto spiano, a differenza di un qualsiasi matrimonio della borghesia, che viene celebrato per inerzia, guidato solo da interessi familiari. Qui è di casa la sincerità di una natura casta:

Matrimoni per amore, matrimoni per forza
Ne ho visti di ogni tipo, di gente d’ogni sorta
Di poveri straccioni e di grandi signori
Di pretesi notai, di falsi professori
Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo
Io sempre serberò il ricordo contento
Delle povere nozze di mio padre e mia madre
Decisi a regolare il loro amore sull’altare

Spiritual, la terza canzone, che presenta sprazzi di una combriccola canora di voci briose che si alternano al cantato principale, con una base inaspettata di un organo da chiesa che sostituisce la chitarra, rappresenta, dopo il primo brano in scaletta, la prima testimonianza di una spiritualità, oltre alla volontà di credere o meno alla religione cristiana, che si enuncia nelle parole che inducono a pensare ad una vera e propria preghiera, rivolta al “Dio del Cielo”; che quest’ultimo possa regalare una parentesi, seppur spicciola, di felicità, a chi ne sta cantando le lodi, in funzione di un contraccambio di un interesse del tutto casto ma essenziale:

le chiavi del cielo non ti voglio rubare
ma un attimo di gioia me lo puoi regalare

Si entra poi nel vivo della devozione, seppur dedicata più ad un’entità fatta uomo che ad una santità ineccepibile. Qui chi canta tesse le lodi di un uomo che ha coniato la storia con le sue gesta.
Si chiamava Gesù è la narrazione che va al di fuori di ogni Vangelo, che sfida le agiografie, che smorza le preghiere, come quella della canzone antecedente, e mette a nudo un essere umano debole, che è stato assediato dal male del genere umano, nonostante egli abbia portato in Terra la gioia di saper trasmettere una bontà che molto raramente sarà emulata in seguito. Ci spiega Mauro Pesce, biblista, nella lunga intervista di Corrado Augias per il libro Inchiesta su Gesù(2016 – Mondadori), che “Gesù è un uomo ebreo che non si sente identico a Dio. Non si prega Dio se si pensa di essere Dio”. Difatti ci canta Fabrizio De André:

Non intendo cantar la gloria
Né invocar la grazia e il perdono
Di chi penso non fu altri che un uomo
Come Dio passato alla storia
Ma inumano è pur sempre l’amore
Di chi rantola senza rancore
Perdonando con l’ultima voce
Chi lo uccide fra le braccia di una croce

È la volta di La canzone di Barbara.

Dal sacro, dunque, al profano. Il cantautore e poeta genovese qui ci porta nel tempio delle avventure amorose proibite, dell’incesto e addirittura dell’adulterio, e non sarà la prima volta nel lungo repertorio quasi trentennale che ne seguirà.
Barbara è una donna libera, che non cede all’amor comodo, e preferisce abbandonarsi ad avventure di un attimo, e forse già che celano un addio, dopo un atto consumato per sfuggire alla noia quotidiana, sia di uomini che inseguono un’avventura, oltre l’obbligata scia matrimoniale, sia di favorevoli concubini, che invece non trovano che un ostacolo, nonostante un lieto benvenuto:

Lei sa che ogni letto di sposa
È fatto di ortiche e mimosa
Per questo ad un’altra età, Barbara
L’amore vero rimanderà, Barbara

Via del Campo, nelle note di Cesare G. Romana, nell’ultima e definitiva versione del primo album, viene descritta così:

Così la graziosa Via del Campo, la bambina ai cui piedi nascono i fiori, ma che vende a tutti la stessa rosa: la puttana che non potrà mai offrir altro che un paradiso provvisorio e, tutto sommato, inutile incantesimo di un quarto d’ora.

Di sicuro anche qui ne nasce una preghiera, in quanto la divinità prende le sembianze una “graziosa”, una fanciulla che vende le proprie bontà a chi la sceglierà per godere di quell’attimo in cui dimentica la bramosia del denaro, dei diamanti da cui “non nasce niente”, mentre dal “letame nascono i fior”

E ti sembra di andar lontano
Lei ti guarda con un sorriso
Non credevi che il paradiso
Fosse solo lì al primo piano

Curiosità: Via del Campo prende palesemente spunto da La mia amorosa la va alla fonte di Enzo Jannacci.
La stagione del tuo amore è una delle parentesi più dolci di questo disco incantato.
Si narra la sovente vicenda di un amore che tarda ad arrivare, e la rassicurazione del suo autore è designata “nella luce di un’ora”, che può nascondere in essa sia una gioia che un dolore, e quando però quest’ultimo viene sopraffatto da un momento di goduria e libertà sensoriale, allora l’attesa ne sarà a pieno ricompensata:

Passa il tempo sopra il tempo
Ma non devi aver paura
Sembra correre come il vento
Però il tempo non ha premura
Piangi e ridi come allora
Ridi e piangi e ridi ancora
Ogni gioia ogni dolore
Poi ritrovarli nella luce di un’ora

Bocca di rosa, è senza alcun dubbio l’apoteosi tematico dell’album.
L’amore innanzitutto, e soprattutto lì dove l’amore è visto meglio nell’attimo di un momento, anziché nella penosa lungimiranza di una prospettiva a lungo termine, dove i fuochi iniziali vanno a perdersi nella quotidianità dei difetti e delle complicanze reciproche. La protagonista della storia/canzone è una donna che, come Barbara, si lega “per passione”, e fa all’amore con chi semplicemente lo cerca, e non importa se già impegnato, perché ella ha come un compito: regalar sogni, seppur di un attimo e lasciar un ricordo inossidabile. Solo che l’ira delle donne del paese (Sant’Ilario) riesce a scacciar via la donna che ha sottratto, finanche con l’immaginazione, la libertà dei propri consorti:

Alla stazione c’erano tutti
Con gli occhi rossi e il cappello in mano
A salutare chi per un poco
Senza pretese, senza pretese
A salutare chi per un poco
Portò l’amore nel paese
C’era un cartello giallo
Con una scritta nera
Diceva addio bocca di rosa
Con te se ne parte la primavera

La morte, penultima canzone, che conserva un tema che sarà – ed era già stato ricorrente- nella poesia di Fabrizio De André, è una sorta di consolazione per l’animo fragile, e allo stesso tempo una nemica brutale per l’uomo che attinge le proprie gesta al successo tanto agognato. Eppure questo estremo saluto al mondo terreno comporta un’equità che dapprima non si era definita. Una A Livella di Totò che viene riproposta in una forma canora che racchiude la stessa giustizia emblematica, che mette sullo stesso piano l’essere umano forte e quello debole, che nonostante l’estremo trapasso, accusano il nuovo misterioso viaggio in maniera differente, così come hanno vissuto le loro vite.

L’unica differenza sta nel chi li vede morire:

Straccioni che senza vergogna
Portaste il cilicio o la gogna
Partirvene non fu fatica
Perché la morte vi fu amica
Guerriero che in punta di lancia
(…)
Di fronte all’estrema nemica
Non vale coraggio o fatica
Non serve colpirla nel cuore
Perché la morte mai non muore

Carlo Martello, infine (vero titolo era Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers), è l’unico brano già edito, e con una musica che sa di Medioevo, battaglie e vittorie, narra la vicenda di Re Carlo che ritorna vincitore dopo aver sconfitto gli arabi, fermandone l’avanzata proprio in Francia e salvando il mondo occidentale. Il re, molto fiero del suo ritorno vittorioso, non ha di certo dimenticato le voglie smaniose di un uomo che è fatto innanzitutto di carne, e che quindi non dimentica le sue debolezze, come tutti. Adopera dunque, o comunque crede di farlo, le proprie gesta eroiche, per abbandonarsi con più facilità tra le braccia di una graziosa fanciulla, che nel frattempo fa il bagno in una fontana. Quest’ultima però non cede all’eroica vittoria del suo sire, e alla fine, quando l’atto viene consumato, ne presenta la parcella.

Re Carlo, dunque, non è altro che uno di noi, che paga con moneta la sua lussuria, che ha ottenebrato tutta la grazia della sua vittoria.

Con Volume I, prezioso documento musicale d’inestimabile morale poetica di spiriti liberi e spiritualismi, Fabrizio De André spianò per il futuro la sua elegante e anarchica dialettica incisa su note, che sottolineò per sempre le costanti e sempre più crescenti tematiche di un uomo più privato di beni preziosi, nonostante il rango sociale, a cui viene meno la bramosia, nell’esposizione delle proprie debolezze come fattore di perdita, o di morte.

Carmine Maffei

Fabrizio De André: le origini e la scoperta dell’uomo ancor prima dell’artista

Uno dei più grandi filosofi e sociologi mai esistiti, Friedrich Engels, in una lettera al suo amico Karl Marx, espresse il suo disagio nell’ammettere che essendo lui un benestante, figlio di un grande imprenditore tessile tedesco, non riuscisse a cimentarsi perfettamente nel ruolo di chi avrebbe preso le difese della classe operaia o comunque meno abbiente.

Intanto fu grazie a lui e alle sue risorse, se alcune delle opere che conosciamo, come Il Manifesto del Partito Comunista o Il Capitale, riuscirono ad ottenere una pubblicazione, applicando cambiamenti radicali al mondo economico.

Non deve disturbare, dunque, la certezza che spesso, se facciamo un passo indietro nel tempo, è toccato alla borghesia applicare cambiamenti con scopo benefico per la società, sia nel campo dello sviluppo sociale, economico, nella filosofia e infine nell’arte. Questo perché chi aveva più facile accesso allo studio, quando quest’ultimo non era ancora un diritto per tutti, aveva oltremodo la possibilità di ottenere un ruolo importante nelle istituzioni, e tra i più fortunati c’erano animi più sensibili che avrebbero apportato evoluzioni a favore di tutta la società, contemporanea e futura.

Fabrizio De André

Fabrizio De André

Il giovane Fabrizio De André, nato a Genova nel 1940, era anch’egli figlio di una famiglia  benestante: il padre Giuseppe era un imprenditore molto facoltoso; fu vicesindaco e presidente dell’Ente Fiera; anche la madre, Luisa, aveva origini nobili.

Fabrizio De André ebbe modo quindi di frequentare le migliori scuole, e nonostante i suoi risultati non fossero eccellenti, perché si definiva pigro, soprattutto nello studio, amava invece soltanto sostare tra i libri di suo gradimento, leggendo i classici della letteratura e della poesia. Di quest’ultimo campo amava François Villon, Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud e Bertolt Brecht.

Era un appassionato degli chansonnier francesi, tra cui Georges Brassens, Gilbert Bécaud, Charles Aznavour e Jacques Brel, e aveva un predilezione per le ballate medievali, a cui spesso si divertiva ad applicare della musica di sua invenzione, creandone delle melodie con quei versi antichi.

Era innanzitutto un ottimo chitarrista, anche se lui si era sempre considerato uno “alquanto scarso”, e si avvicinò giovanissimo al jazz, disciplina che abbandonò presto perché credendola troppo scolastica, preferendo ad esso qualcosa di più spontaneo, più libero.

Fu l’etichetta discografica Karim a scovarlo tra gli ambienti musicali già fiorenti dell’allora Genova dei cantautori più eccellenti, che facevano da scuola al panorama italiano, come Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Sergio Endrigo e Luigi Tenco, quest’ultimo grande amico di Fabrizio De André.

Quest’ultimo però si discosta come originalità dagli altri, e come ci dice Immanuel Kant:

La minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.

Sembra chiaro che il giovane cantautore voglia fortemente creare qualcosa che non si sposi né col contesto benestante da cui proviene, né con il panorama culturale-musicale a cui per diritto appartiene. Fin da subito Fabrizio De André, che già si è sposato giovanissimo ed ha un figlio, il piccolo Cristiano, è amministratore di tre istituti privati e studia giurisprudenza, ci tiene a separare la passione che ha per la musica –che definisce soprattutto un hobby-, dalle più importanti mansioni da uomo responsabile e padre di famiglia. Non cerca il successo e rifugge dalle interviste, perché egli la musica la definisce “una cosa serissima” e oltretutto non si concede facilmente alle masse, è schivo e taciturno, non timido ma risoluto nelle sue idee di spontanea reclusione tra le mura domestiche, e soprattutto si rifiuta nel suonare dal vivo, perché sostiene:

Io appartengo solo a me stesso.

A questa conclusione i Beatles ci sarebbero arrivati nel 1966, un anno prima che uscisse il primo LP di Fabrizio De André, mentre quest’ultimo prenderà la decisione di affrontare il palco soltanto nella seconda metà degli anni Settanta.

Tra il 1960 e il 1961, con la Karim, escono i primi 45 giri, che sottopongono gli ascoltatori a qualcosa di nobile, d’altri tempi quasi, e che sposa le tematiche dell’amato Georges Brassens, da cui spesso si cimenta nelle traduzioni dei testi o nei rifacimenti stessi con riarrangiamenti, che parlano d’amore (La canzone dell’amore perduto) ma anche di morte (La ballata del Michè), che abbracciano tematiche sociali drammatiche come la guerra (La guerra di Piero), che sottraggono le donne all’ingiusto giudizio di una società ancora troppo patriarcale (La canzone di Marinella).

Fu proprio nel 1964, con La canzone di Marinella, affidata alla voce di Mina, che Fabrizio De Andrè ottenne il successo di cui però avrebbe fatto a meno, ma il pubblico approvò, anche grazie al supporto di una cantante straordinaria, e i dischi piovvero ostinatamente, ancor prima di oltrepassare il traguardo di un primo vero long playing, che a dir la verità arrivò presto, ma fu dapprima una raccolta di tutti i singoli che la Karim mise insieme per dar vita al primo disco, Tutto Fabrizio De André.

La svolta però si associa anche con un evento davvero scomodo: la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers fu messa sotto sequestro dal Procuratore della Repubblica di Milano, considerandola oscena e dai toni pornografici. Questa traccia, scritta a due mani con l’amico Paolo Villaggio, parla dell’avventura del re Carlo, condottiero che nelle località di Poitiers fermò l’avanzata degli arabi, nel 732, che avrebbero messo in pericolo il mondo cristiano, oltre tutta la civiltà occidentale. Carlo Martello, nel testo, più che combattente, viene presentato anzitutto come un uomo, con tutte le sue debolezze, prima fra tutte quelle che della carne, e tornando da vincitore, credendo di ottenere tutto e subito per le sue voglie ardenti, resta poi spiazzato quando una concubina gli presenta la parcella alla fine dell’atto sessuale.

Dichiarò Fabrizio De André al Messaggero, nel dicembre del 1965:

Noi siamo perseguitati da personaggi come lo sterminatore degli arabi, tanto che finiamo per dimenticarci che sono uomini. Ebbene, io ho voluto ricordare che Carlo Martello era un uomo con il suo meraviglioso coraggio, ma anche con il peso della sua carne vogliosa. Che cosa c’è di male in tutto ciò? Forse perché nella canzone c’è la parola puttana per giustificare un sequestro?

La canzone sopracitata sarà, per volontà stessa dell’artista in accordo coi discografici , l’unica edita in una raccolta di canzoni inedite che faranno parte del primo disco, Volume 1, pubblicato dall’etichetta Bluebell nel 1967. La causa, i cui imputati sono lo stesso cantautore e i due titolari della Karim (ma non il coautore Paolo Villaggio), si concluderà nel luglio del 1968, quando si pronuncerà la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.

Nello stesso tempo la separazione con la Karim non avviene nel migliore dei modi, dato che il cantautore viene denunciato dai suoi titolari perché Fabrizio De André si sarebbe accordato con una nuova etichetta discografica e con essa avrebbe iniziato le sessioni di registrazione per il primo LP ufficiale di inediti. La separazione avviene però quando ci sono dei dubbi del musicista sulla corrispondenza esatta dei diritti d’autore su tutti i dischi venduti.

La definizione che si possa dare al primo periodo di Fabrizio De André è quella di considerarsi, soprattutto, un uomo ancor prima di auto dichiararsi artista, affermazione che gli fu scomoda.

La svolta che avvenne, neanche molto presto, col grande pubblico fu una causale del tutto giustificata, in quanto egli si presentò con un’originalità che in Italia, allora come oggi, non aveva eguali, con la sua ostentata cultura, con le passioni per le ballate d’altri tempi e gli chansonnier francesi, con la dichiarazione di un mondo ora ironico, ora ingiusto e ipocrita, accompagnato da una musica nobile, seppur leggera, con dei testi poetici che ricalcano la sua smisurata devozione agli autori che ha amato e che lo hanno inebriato, aiutandolo nella giusta direzione che si sarebbe presto definita, con la quale sarebbe stato riconosciuto come un personaggio storico che non avrebbe mai perso di vista le sue smaniose volontà di sentirsi innanzitutto un essere pensante filo anarchico, lontano da ogni direzione politica,  e solo infine, come un cantautore.

I tempi difficili che stiamo vivendo ci insegneranno a definirci dapprima come esseri messi a nudo, con le nostre debolezze (come Carlo Martello) e le nostre giustificate incapacità, messe di fronte a emergenze di una portata epocale impressionante. L’importanza di considerarci dapprima nella pienezza delle nostre risorse umane (come in Marcia Nuziale) ci aiuterà nella scalata complicata per la riconquista di una più miserevole dignità, ancor prima di considerarsi importanti, indistinguibili o addirittura inarrivabili. In questo momento, l’ascolto di un artista che ha cantato l’uomo, anzitutto perdente, può essere di un’importanza fondamentale per la riuscita di una società che rinasca migliore di prima, e si faccia forza con la rivalutazione di sentimenti più importanti.

Carmine Maffei

Brama di Ilaria Palomba: un romanzo dove anche l’alba diventa sera

In Brama di Ilaria Palomba c’è Fabrizio De Andrè ma c’è anche Antonio Vivaldi, c’è Emil Cioran, ma ci sono anche Amelia Rosselli ed Antonia Pozzi e ancora c’è la psicanalisi, ovviamente c’è Sigmund Freud, e poi c’è il Libro Rosso di Carl Gustav Jung…

Fabrizio De André nel 1968, scriveva, a proposito della sua canzone Inverno:

Un ipotetico lui che cerca di salvare un amore che sta per morire: fa di tutto per salvarlo e, alla fine, si accorge che anche l’amore, come tanti altri sentimenti umani, come per esempio l’odio, è deperibile, deve anche lui morire…

 

Tutto ciò che può arricchirci nella gioia della scoperta, ammansita però nella catarsi di un dolore allucinato, tremendo, suicida, tutto ciò e altro ancora è presente nell’ultimo romanzo di Ilaria Palomba, Brama (Giulio Perrone Editore), che è appunto dedicato all’inverno, stagione che ancora attualmente viviamo, nella sua fattispecie asettica, spesso sconfortante, piena di un nulla che sta lì lì per essere colmato con la nostra voglia di fare, di conoscere, di capire, nel freddo respiro di un vento che minaccia or ora di portar via tutto.

Ci si ritrova sempre nelle opere di Ilaria Palomba, giovane autrice, scrittrice e poetessa, che studia le debolezze umane attraverso i suoi personaggi, che forse non sono altro che lo specchio di una qualche assopita incoscienza, di un qualche alter ego che si enuncia nell’ammiccante sfolgorio di pagine e pagine lette di autori poeti, scrittori o filosofi brillanti, che facciano luce sulla sua condotta.

Brama, che richiama molto Disturbi di Luminosità, sempre di Ilaria Palomba, pubblicato nel 2018, continua a narrare la storia tormentata di una donna di trent’anni, Bianca, che affronta nel pieno le sue facoltà intellettive, e lo fa in maniera così intensa, che alla fine scopre di conoscerne tutti i punti deboli, che finiscono per ingigantirsi, forse a causa di una dirompente intelligenza, un senso acuto di quanto limitata può essere la capacità di soffrire effetti di una vita sacrificata all’impeto esterno.

Ne Il Cantico dei Drogati Fabrizio De André recita:

Le parole che dico

Non han più forma né accento

Si trasformano i suoni

In un sordo lamento.

L’amore può salvare questa mistura di malcapitata esperienza nichilista, annientatrice di elementi circostanti che strozzano, che soffocano, e la speranza di una rinascita ricade su Carlo Brama, filosofo, di parecchi anni più di lei, uomo affascinante e misterioso, ricco di sapere, con un certo successo alle porte in quanto autore. Inizia con lui una relazione complicata e dedita al possesso, alla gelosia, alla paura di perdersi, all’impeto sessuale nel ritrovarsi, alla gioia del conoscere le sue smanie di sapere e di elargire, ma anche al timore di ritrovarsi ingarbugliati in una scarsa preparazione umanistica, in confronto all’immensa mole di conoscenze che il filosofo non esita ad esporre.

Ilaria Palomba

Ilaria Palomba

Un’autentica crescita morale improvvisa, quella di Bianca, che confrontandosi con Carlo Brama, capisce di avere accanto a sé la ragione più ovvia del suo divenire, che forse ha tardato ad arrivare perché priva di una vera e propria reminiscenza formativa, forse offuscata da sentimenti strozzati, storie di sesso e di droga, un incontrastabile tensione nei confronti dei suoi genitori, soprattutto del padre, psicanalista, professionista dotto e preparato, verso il quale sin da ragazzina soffre di un confronto smisurato.

Carlo ora è tutto, è il suo riconoscersi nelle idee mitologiche che l’hanno formata negli anni.

Ancora Fabrizio De André in Leggenda di Natale:

Coprì le tue spalle d’argento e di lana

di perle e smeraldi intrecciò una collana

e mentre incantata lo stavi a guardare

dai piedi ai capelli ti volle baciare…

Bianca però è stata, e lo è tutt’ora, vittima di tentati suicidi. Ha subìto una violenza sessuale a dodici anni, a venti ha invischiato la sua esistenza nei rischi delle incoscienze da rave party, ed è una continua bomba ad orologeria che aspetta l’epilogo; ed ora, senza Carlo, dopo mesi di una passione sfrenata, ma anche spesso frenata dalla paura di poter possedere per forza, ora è vittima della bramosia, e spesso tale sentimento, forte, smanioso, rimbombante, riguarda il desiderio di ritrovarsi per forza con gli occhi negli occhi della persona che si ama, anche se quest’ultima è fuggita, anche se si sa per certo di averla persa.

Non importa quanto tempo ancora si possa attendere, lieto o drammatico fine qual sia, Bianca si cala nella vasca e inghiotte l’impossibile, e nel caso sia ancora cosciente, il phon è lì accanto, acceso, pronto per la resa finale…

Qualcuno però è pronto lì per salvarla.

Carlo? La sua amica Francesca? Elena, l’amica di Carlo e sua confidente? Giorgio, pronto a soccorrerla con un manto di petali di rose?

Bianca vuole uccidere sé stessa per il troppo danno che le infliggono tutti. Bianca potrebbe solo così sopprimere tutti.

Prendo in prestito i versi di Fabrizio De André contenuti all’interno di Ballata degli Impiccati:

Prima che fosse finita

ricordammo a chi vice ancora

che il prezzo fu la vita

per il male fatto in un’ora.

Poi scivolammo nel gelo

di una morte senza abbandono

recitando l’antico credo

di chi muore senza perdono…

Carlo però è Bianca, e Bianca è Carlo, e ambedue cercandosi, è come se volessero ritrovare quell’esistenza che appartiene ad entrambi; essi si colmano l’un l’altra e si compensano.

Forse nell’immaginario di Ilaria Palomba Carlo e Bianca formano insieme il protagonista di Finestra segreta, giardino segreto di Stephen King, un’identità nello specchio dell’altra, dove forse ambedue esistono, o forse dove nessuno dei due esiste davvero, o forse ancora dove in un’unica persona essi coesistono e si aggrappano alla speranza che l’altro ci sia sempre.

Perché sappiatelo: Carlo Brama non è l’uomo irremovibile che vuol sembrare. Nasconde segreti nel suo giardino incantato, che sta a rimirare dalla sua finestra segreta e Bianca alla fine lo sa, se ne accorge e quando sarà lui a cercare lei, dopo una pausa fatta di rancori, sopraggiungeranno Eros e Thanatos e il finale sarà l’esplosione della bravura di Ilaria Palomba, un’autrice che non deluderà mai.

Da Recitativo di Fabrizio De André:

Uomini, poiché all’ultimo minuto

non vi assalga il rimorso ormai tardivo

per non aver pietà giammai avuto

e non diventi rantolo il respiro:

sappiate che la morte vi sorveglia

gioir nei prati e fa i muri di calce,

come crescere il gran guarda il villano

finché non sia maturo per la falce…

Carmine Maffei

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