Cultura

Cultura e Identità,
l’editoriale di Alessandro Sansoni

 Chi la critica chi la difende non crede ad un’ Europa Sovrana

È curiosa la fortuna che a volte arride alle parole e il termine sovranismo è un caso emblematico. Non è chiara la sua origine, da cercare forse nella Francia degli anni ‘90. Anche Wikipedia, che ormai assolve le funzioni che un tempo erano del Devoto–Oli, non dà certezze. Sicuro è che in pochi anni è diventato il concetto attorno a cui ruota il dibattito pubblico planetario. Ma siccome nulla avviene a caso, ci deve essere una ragione che spiega questo successo.
E la ragione c’è: tra le tante crisi che angustiano il nostro tempo, la più grave di tutte è la crisi della politica, in pratica la sua scomparsa, in termini di uomini, idee, risorse, effettiva capacità di determinare il corso degli eventi.
E siccome quello di sovranità è il principio politico per antonomasia, ecco spiegata la fortuna di un lemma che indica chi va alla ricerca di ciò che sembra perduto.
La sovranità è fondamento di ogni compagine politica consapevole, formalizzata e in grado di autodeterminarsi, di cui lo Stato moderno, quello nato in Europa dopo la Guerra dei Trent’anni e codificato con lo jus publicum europaeum, è la quintessenza. Uno Stato è sovrano se possiede un territorio, batte moneta ed è in grado di garantire sicurezza interna ed esterna alla popolazione. In quanto sovrano, lo Stato non ammette nulla al di sopra di sé stesso: tutt’al più può confrontarsi con suoi simili e pari, gli altri Stati.
Chi è sovrano, infine, può esercitare ciò che poi è l’obiettivo dell’agire politico, ovvero il potere di decidere e determinare secondo la propria volontà conseguenze concrete e fattuali. Soprattutto, ci spiega Carl Schmitt, esso decide nello stato d’eccezione, cioè nei momenti supremi, quando la situazione è così grave che il sovrano non può sottrarsi alla responsabilità di avocare a sé ogni potere, anche le porzioni delegate, per decidere arbitrariamente come scongiurare un pericolo.
Proprio il dovere/potere di assumersi responsabilità decisive, impone a colui che svolge le funzioni sovrane di essere riconoscibile da sudditi e/o cittadini, si tratti di un monarca per diritto divino, o di un governo democratico. Ciò è indispensabile, affinchè la comunità politica possa eventualmente reclamare l’esercizio del potere in circostanze eccezionali. La crisi della politica, non a caso, si fa sentire in particolare per l’assenza di interlocutori, di soggetti a cui appellarsi. Nessuno più decide davvero e le scelte, soprattutto quelle impopolari, sono sempre colpa di qualcun altro: e la cosa più grave è che spesso è davvero così.
La crisi della politica non significa che non ci sia chi comandi. Significa che chi comanda veramente oggi non è visibile, non cerca legittimazioni né divine né popolari, esercita il potere nell’ombra, de–responsabilizzato ed apolide, sia che operi nei circuiti dell’alta finanza, sia che diriga un burocratico tecnoapparato.
Questo processo di espropriazione della sovranità degli Stati e dei popoli, non è recente. Ha raggiunto il culmine con la fine della Guerra Fredda e la globalizzazione, ma viene da lontano: comincia con la fine della Grande Guerra e le prime istituzioni sovranazionali fondate sul formalismo giuridico ed imposte dalle potenze globali marittime anglosassoni in nome del libero commercio, come dimostrato dallo stesso Schmitt e più recentemente da Danilo Zolo.
Di fronte, dunque, a un potere globale sempre più lontano e inavvicinabile, in un’epoca che propone scenari futuri pericolosi e indecifrabili, istintivamente l’uomo comune reagisce e reclama sovranità, politica, nazione, un ordine. E forse la crisi dell’UE, di cui in questo mese rinnoveremo il parlamento, sta nel fatto che nessuno, né chi la critica, né chi la difende acriticamente, sia disposto a pensarla Sovrana.

Alessandro Sansoni

Canova in mostra a Napoli fino al 30 giugno

Canova, definito l’ultimo degli antichi e il primo dei moderni, è in mostra al MANN di Napoli fino al 30 giugno.

La personale, infatti, valorizza il rapporto artistico che lo lega da sempre al mondo classico. La mostra si sviluppa su due piani in cui è possibile ammirare bozzetti, dipinti e sculture.

Canova: la mostra a Napoli

Canova

Antonio Canova

Nato a Possagno nel 1757 è stato un artista e scultore neoclassico geniale, nelle sue opere c’è una ricerca e un’imitazione dell’arte classica ma rivisitata in modo personale.

Canova si trasferisce a Venezia, (città dove morirà nel 1822) da ragazzo e qui inizia la sua formazione, seguendo la scuola di nudo all’Accademia e iniziando a disegnare calchi in gesso di statue antiche.

Già nelle sculture del primo periodo, pensiamo a Dedalo e Icaro, si nota la caratteristica fondamentale di Canova che è rappresentata dalla fusione di naturalismo e idealizzazione.

Il naturalismo lo si evince dalla fattura dei corpi mentre l’idealizzazione è generata dalla disposizione reciproca e dall’equilibrio dei pesi.

Antonio Canova: Icaro e Dedalo

Dedalo e Icaro di Canova

Altro tema ricorrente nelle opere di Canova è quello funebre: se per la fede cristiana la morte è la fase di passaggio  dalla vita terrena a quella eterna, per il razionalismo settecentesco rappresenta la fine di tutto.

Le Grazie di Antonio Canova

Le Grazie

Le Grazie si raggruppano, formando quasi una piramide, in un abbraccio reciproco.

La figura centrale è ferma mentre le altre due sono in una posizione di moto, attraverso questo gioco Canova sottolinea la morbidezza dei corpi femminili, da cui scaturisce un gioco di luci e ombre che trasmettono una sorta di movimento nella staticità.

L’espressione dell’arte nelle varie epoche: la mostra

L’arte rappresenta la testimonianza di un determinato periodo storico, è un modo di cogliere, rappresentare e parlare di un tempo ben definito tramandandolo ai posteri.

Com’è cambiata l’arte nelle varie epoche che ci hanno portati fino ad oggi? È questo lo scopo della mostra intitolata L’espressione dell’arte, che si terrà fino al 26 aprile presso il Circolo della stampa di Avellino.

Il visitatore della collettiva osserverà non solo opere pittoriche ma anche oggetti d’epoca che hanno caratterizzato gli usi e i costumi di un tempo, che oggi sono stati sostituiti con altri o che perdurano ma sotto altre sembianze.

L'espressione dell'arte nelle varie epoche: la mostra

L’espressione dell’arte nelle varie epoche

La mostra rappresenta un dialogo tra storia e contemporaneità, evidenziando l’importanza dell’arte in tutte le sue forme e manifestazioni.

Le difficoltà delle donne sul lavoro raccontate da Purl, il corto animato Pixar

Purl è il nuovo corto animato diretto da Kristen Lester, firmato Pixar, realizzato all’interno del progetto SparkShort, che nasce come canale per scoprire nuovi talenti e sperimentare nuove tecniche nel campo dell’animazione.

Purl, un gomitolo animato di soffice lana rosa, viene assunta in un’azienda in cui lei è l’unica presenza femminile. Il primo giorno di lavoro, nonostante sia propositiva verso i suoi colleghi, viene guardata con circospezione o non presa in considerazione. Il sorriso e l’entusiasmo per il nuovo lavoro, in breve tempo, si tramutano in tristezza e solitudine.

Come può riuscire ad integrarsi con i colleghi? Come può essere presa seriamente in considerazione quando parla di lavoro o semplicemente ascoltata?

La risposta è diventare come loro e quindi omologarsi al contesto.

Purl:il trailer

Il corto animato Pixar

Di punto in bianco Purl decide di cambiare: abbandona l’accogliente gomitolo e indossa un completo spigoloso e rigido, abbandona il sorriso e lo tramuta in ghigno, la sua simpatia diventa cinismo e quando deve esprimere un pensiero diventa prepotente e aggressiva. Purl in questo modo diventa parte integrante del suo team lavorativo, diventando una leader.

Purl: il corto animato Pixar

Purl in versione maschile

Purl cosa vuole insegnarci?

Il corto nella sua semplicità affronta un tema delicato: la differenza di genere all’interno di ambienti lavorativi, in cui la percentuale maschile è maggiore rispetto a quella femminile. Purl è costretta ad omologarsi e quindi a diventare altro da ciò che è, per poter essere accettata da suoi collegli. Questa forzatura racchiude tutte le difficoltà che una donna è costretta ad affrontare in alcuni ambienti.

La pellicola animata porta lo spettatore a porsi delle domande, riflettendo su determinate condizioni e su taluni stereotipi che perdurano nonostante la modernità e l’apertura mentale che dovremmo avere tutti, indistintamente.

Purl, che incarna il mondo femminile, per essere accettata si modifica. Questo comportamento, visto da un’altra prospettiva, potrebbe essere un invito volto a far riflettere le donne: le prime ad orientarsi in modo diverso dovrebbero essere proprio loro che, invece di piegarsi e snaturarsi, dovrebbero far accettare la loro diversità, qualora vi fosse.

Avellino: Teatri Aperti vi aspetta il 5 maggio
per un’intera giornata dedicata alla cultura

Teatri Aperti è una manifestazione curata e organizzata dal Consorzio Teatro Irpino, in memoria di Don Ferdinando Renzulli, gli spettacoli inizieranno il 5 maggio alle ore 10:oo e proseguiranno fino alle 24:oo.

Le esibizioni, i dibattiti e le rappresentazioni teatrali avranno luogo presso il Teatro Europa.

L’ingresso è libero.

Scopo di Teatri Aperti è quello di diffondere la cultura come un momento di condivisione che esula le divergenze sociali e politiche tra persone, spesso, frenate o poco propense nei confronti di uno scambio fine a se stesso.

Gianni Di Nardo: la cultura è ovunque

Teatri Aperti: programma completo 5 maggio 2019

Luigi Frasca: intervista

The Box è il corto animato che mostra la guerra con gli occhi dei bambini

The Box è un corto animato che mostra la storia di uno dei tanti milioni di bambini che subiscono la guerra.

Il progetto nasce dalla University of the Arts di Londra. La pellicola animata è stata proiettata in oltre 225 festival e in 52 paesi diversi, vincendo 41 premi in tutto il mondo.

The Box inizia mostrando la vita felice di un bambino, che gioca con il suo gatto, immaginando che uno scatolone di carta sia la sua casa.

Pian piano l’immagine serena si tramuta e lo scatolone inizia a prendere varie forme che non sono più quelle della casa rassicurante ma diventa un posto per rifugiarsi e per difendersi dalla guerra, dalle sue brutture e dalla paura di non saper identificare bene ciò che sta accadendo.

Lo scatolone, infine, diventa una barca che naviga verso una destinazione ignota perché non è importante la meta ma la speranza di poter vivere meglio o semplicemente quella di poter guardare il mondo con l’incanto che tutti i bambini dovrebbero fare.

The Box: il trailer

Il corto animato The Box

The Box è corto animato delicato, semplice e diretto, non gioca sul sentimento della compassione, che lascia il tempo che trova a livello emozionale. L’intento del lavoro è quello di far riflettere, ponendo l’attenzione su un punto di vista che, molto spesso, dimentichiamo o che non vogliamo vedere.

Michele Vietri spiega i punti chiave di Tenk iù Globalizescion

Tenk iù Globalizescion è il docufilm di Michele Vietri che ci spiega i punti chiave del suo lungometraggio, i temi trattati e le conseguenze derivanti dal dilagare della globalizzazione che stanno cambiando la società e il modo in cui osserviamo il mondo.

Tutto parte dalla storia di una merlettaia di Burano che oggi ha difficoltà nel portare avanti il suo lavoro basato su tradizioni secolari. Il regista partendo dal particolare di questa storia individuale arriva all’universalità di una problematica sociale basata sul consumismo turistico.

Michele Vietri: il video

Michele Vietri

Tenk iù Globalizescion nasce con il desiderio di far soffermare lo spettatore sulla mancanza di poesia che oggi c’è nel mondo perché attraverso la produzione seriale a discapito di quella artigianale si dimentica un pezzo di storia. Il lavoro artigianale, fatto d’imperfezioni, perché l’uomo non è una macchina oltre a rendere unico un qualsiasi prodotto gli trasmette umanità e tutto ciò la globalizzazione non lo consente.

Michele Vietri parla del suo docufilm

Tenk iù Globalizescion

La merlettaia di Burano racconta una poesia triste perché la sua difficoltà lavorativa si scontra con un colosso come la globalizzazione e dunque è una lotta impari e dal tragico epilogo.

L’importanza di un padre e del suo ruolo nei testi di Fabrizio Moro

Quanto la consapevolezza di un padre determina e poi legittima la consapevolezza del proprio figlio? Dalla comparazione dei testi musicali di un’artista, quale Fabrizio Moro, e prendendo spunti da essi ci chiediamo come e quando è necessario identificarsi nel e per il bene del proprio figlio.

Lungi dal voler produrre considerazioni psicoanalitiche circa lo stato emozionale di Fabrizio Moro, un padre come tanti, un padre come pochi.

Nel 2017 il cantautore dedica alla figlia il singolo Portami via mentre nel 2019 scrive Filo d’erba, dedicato al secondogenito. Da qui le labili differenziazioni che, forse, ogni padre dal proprio canto fa.

Fabrizio Moro: la paura di essere padre in Portami via

Fabrizio Moro, neopapà nel 2017, è un genitore impaurito dalla vita che chiede e prende la mano della figlia, adducendole la comprensione del “silenzio che determina il confine tra i dubbi e la realtà”, in breve l’incipit a non arrendersi.

La sua è una gioia intrisa di paura per un futuro misconosciuto che pesa all’uomo e all’essere umano. L’interscambio, il miracolo della vita e il peso della responsabilità sono capaci di guarire dalle ferite vissute.

Il Fabrizio Moro del 2019, partendo dal proprio senso di colpa per la separazione dalla sua compagna nonché madre, nel testo Filo d’erba vede il figlio stanco, silenzioso e debole. Sembra quasi che l’artista proietti l’introspezione di se stesso nella descrizione del figlio, come se volesse svuotare lo zaino e liberarsi di un peso che non è dipeso da lui e che potrà essere trasformato, forse un giorno, dallo stesso figlio.

Per dirlo con le parole del testo:

Spiegare ciò che oggi sta imparando…

È un padre che è consapevole che il proprio figlio è più grande della sua età anagrafica perché sta vivendo un momento difficile quello della separazione dei suoi genitori e ciò probabilmente gli sta insegnando che crescere non è semplice.

Come si fa a spiegare ad un figlio il significato di mancanza o a dargli una spiegazione che non sia dolorosa? Quanto e cosa un bambino impara dalla mancanza quotidiana di una figura genitoriale? E ancora padre e figlio come possono aderire al terreno della vita? Se l’evolversi implica un ruolo, chi deve determinarlo il bambino-adulto o il bambino-bambino?

Ci sono processi non solo di mistificazione dei ruoli ma veri e propri processi legati al senso di mistificazione delle responsabilità. Il bambino che arriva per salvare tutti e il padre che invece non è capace di salvare se stesso, nascondendosi dietro le fragilità del momento.

Il figlio che comprende il silenzio e il papà adulto che non sa ascoltare realmente il silenzio e il mutismo del figlio.

Altra questione è la diversità di genere dei figli che trasmette al cantante sentimenti diversi: in Portami Via la figlia rappresenta la speranza di un padre che protegge, lauda e a cui lui chiede, forse, di più per preservarla dalle brutture del mondo e cercare di renderla autonoma rispetto al figlio maschio che, invece, il più delle volte vive il suo tempo per come vuole e con meno responsabilità morali.

Fabrizio Moro: il cantante italiano

Fabrizio Moro

Quest’ultima osservazione è lungi dal voler essere un discorso sessista o sulla differenza di genere ma vuole sottolineare un’implicazione sentimentale che oggi è interferenza e non più un atto d’impegno verso una condizione di evoluzione di se stessi e della specie.

Il propendere dell’essere umano verso le proprie paure potrebbe giustificare il tutto ma, spesso, le paure individuali che un genitore riversa sui propri figli, se non spiegate, dosate e centellinate, rischiano di limitare e bloccare i molteplici strumenti conoscitivi che esistono ed appartengono all’essere umano. Camminare in questa direzione significa generare caos e turbamento in quelle creature che si desidera proteggere, educare e formare.

La vita non è semplice nel suo modo di manifestarsi e, forse, limitarsi nel dire che è sacra potrebbe bastare come presupposto per tentare una sovversione degli schemi, per quanto un dogma implichi la sua mistificazione.

Se si è non credenti basterà essere liberi nelle intenzioni e determinati sul carico di responsabilità che, però, non implicano stati emozionali legati allo sconforto.

Il coraggio di una vita può bastare a se stesso per rimediare al conformismo di una società che ci vuole, per soggiogarci. Critiche, giudizio, rabbia, disapprovazione e paura vanno attutite o dissolte per quel seme nato o che è in procinto di arrivare.

La mente duale nell’infanzia, può generare rancore o tradimento verso uno dei propri genitori. Spesso uno dei due genitori viene considerato il buono perché è colui che appaga ma, ad un certo punto o se i due genitori decidono di separarsi, il buono diventa traditore. In che modo? Alleandosi con l’altro genitore, allontanandosi dal nucleo familiare, volendo essere super protettivo non giustificando i suoi no, togliendo la possibilità di dialogare costruttivamente. Tutti questi fattori generano il tradimento (la mancanza).

Condannare comportamenti assenti, condonare comportamenti deficitari si può attraverso la ferma convizione di voler elevarsi, soprattutto, attraverso la cultura e la flessibilità mentale. La cultura diventa un elemento vitale perché ossigena la mente di un figlio nei primi anni di vita ed è in grado di fornire feedback utili per ricercare il lato positivo dell’esistenza.

Il sogno di un genitore non sarà mai il sogno di un figlio. Incoraggiare un figlio rappresenta l’iniziazione  verso il processo di crescita condiviso.

padri e figli: problematiche genitorialità

padri e figli

L’uno che eleva l’altro in uno scambio emozionale quantico.

Sponz Fest: cos’è cambiato a Calitri?

Recuperare la memoria e la ritualità dello sposalizio, analizzare le usanze in chiave antropologica e religiosa: questi i propositi della prima edizione dello Sponz Fest di Calitri, nella quale attraverso balli, incontri, dibattiti e musiche la comunità calitrana, nell’agosto 2013, riscopre sé ripartendo da sé. Da quelle costumanze che, malgrado, il fascino della propria vetustà, sono ormai avviate all’estinzione, avvolte dalla bramosìa del capitale e della globalizzazione.

Grazie al genio di Vinicio Capossela, all’entusiasmo della comunità, alla sapienza dei veri etnomusicologi, antropologi e storici della religione e grazie alla regia di tutti coloro i quali lo hanno reso possibile, lo Sponz Fest supera ampiamente le aspettative e si rivela un successo, consacrando (per tutta la durata) Calitri quale anfizionia di spiritualità e cultura dell’intero Meridione.

L’eco del successo giunge marginalmente anche ad avere rilevanza nazionale, l’entusiasmo spinge a ripetere anche negli anni seguenti, fino ad arrivare al 2018, in cui si è tenuta (per ora) l’ultima edizione.

Sponz Fest: barrodromo

Barrodromo

Con il susseguirsi delle edizioni (che ha visto estendere la dimensione dell’evento da Calitri all’Alta Irpinia) si è avuto, proporzionalmente, anche un accrescimento della fama e con esso l’affluenza di persone che da ogni angolo dell’Italia (e non) si riuniscono a Calitri e nei paesi limitrofi per partecipare a questo evento e toccarlo con mano e spiritualità artistica.

Lo Sponz Fest mosso dall’ambizione di migliorarsi e rinnovarsi, è diventato più grande tanto che l’evento ha iniziato a sorreggersi economicamente, oltre che su sponsor e merchandising soprattutto sul contributo della Regione Campania, per cifre gravitanti intorno alle centinaia di migliaia di euro.

A giustificare tali spese c’è sempre una duplice ragione, motivo d’orgoglio e vanto per l’evento: l’importante offerta culturale al territorio ed il ritorno economico per i comuni aderenti.

A sentir parlare qualcuno tra i più fervidi sostenitori, addirittura si profetizzava un incredibile ritorno d’immagine e popolare a lungo termine. Eppure, al rapporto di proporzionalità diretta tra fama e il susseguirsi delle edizioni, si contrappone un rapporto di proporzionalità inversa: quello tra crescita (o successo) e qualità dello Sponz Fest in relazione al quale potrebbero venir meno le duplici ragioni di cui sopra.

Riproduzione artistica in cartapesta

Sponz Festival

Sponz Fest: cos’è cambiato culturalmente?

Se nella prima edizione viene proposta una straordinaria mostra fotografica sullo sposalizio (resa possibile anche con l’ausilio dell’archivio del centro studi Calitrano), all’ultima si assiste ad un “corso di controaddomesticamento” dal titolo I sanniti irpini: la libertà dei selvaggi contro l’imperium romano. Nel primo caso, ci troviamo di fronte ad una raccolta di materiale fotografico di inestimabile valore culturale, testimonianza dei tempi che furono motivo di riscoperta e rivalorizzazione delle proprie radici. Nel secondo caso, mi riferisco al corso di controaddomesticamento, ci troviamo a mio avviso davanti una clamorosa strumentalizzazione della storia perché come è evidente dal titolo, assurge i sanniti e gli irpini a pacifici abitatori della propria terra e li contrappone ai “cattivi” romani, colonizzatori e conquistatori.

Ma così come i Sanniti non furono né degli imbelli (nell’accezione autentica del termine di non bellicosi), in quanto si spinsero all’offensiva contro i popoli della zona costiera campana né, tantomeno, dei selvaggi perché vissero in articolate e complesse strutture sociali. Allo stesso modo neanche i Romani furono dei vili colonizzatori di terre altrui, poiché ben lungi dall’essere stati degli spagnoli del’600 o degli inglesi dell’800 ante litteram, essi donarono forme di diritto migliori, infrastrutture, servizi e sicurezza a tutti i popoli da loro assoggettati.

Altro esempio: se nella prima edizione viene organizzato un suggestivo evento dal titolo Musiche, danze e riflessioni, incentrato sulla civiltà contadina dei due secoli passati, offerti dall’etnomusicologo Giovanni Vacca e dall’antropologo Erberto Petoia, in cui vengono spiegati i significati impliciti e inconsci che si celano dietro determinati riti, usanze o simbologie in auge ai tempi dei nostri nonni, bisnonni e trisavoli; nell’ultima edizione ci troviamo davanti ad un incontro intitolato Tra sindacati di comunità che non hanno avuto paura, dove spicca il celebre Mimmo Lucano, sindaco di Riace, indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Sponz Fest: il festival

Sponz Fest di Calitri

Calitri ha guadagnato un ritorno d’immagine con lo Sponz Fest?

Calitri, purtroppo, non ha guadagnato un ritorno d’immagine dallo Sponz Fest come taluni profetizzavano. Difatti, per tutta la durata dell’anno in cui ho svolto volontariato presso la Pro Loco di Calitri, ho chiesto come avessero conosciuto Calitri a tutti i visitatori cui offrivo visite guidate per il centro storico durante il fine settimana. Tra le risposte principali c’erano: internet, il servizio dedicato a Calitri offerto dal noto programma Linea Verde, riviste di turimo ed altre fonti. Pochi, pochissimi sono ritornati dopo averlo conosciuto per lo Sponz Fest.

Se esiste un pavido fenomeno turistico nel borgo di Calitri, lo dobbiamo alla suggestiva bellezza dell’agglomerato urbano antico, ai programmi televisivi e ad una rivista britannica in cui il paese veniva menzionato tra i migliori posti al mondo per godersi la pensione e ad altre simili cause esterne allo Sponz Fest.

Risulta evidente che la maggior parte dei partecipanti dello Sponz Fest sia interessata prevalentemente all’evento e non ha alcun interesse a scoprire il nostro splendido borgo, per ragioni culturali o architettoniche.

L’evento di per sé è sicuramente un momento d’importanti entrate economiche per coloro che hanno attività commerciali come: pizzerie, bar, tabacchi e simili ma anche per alberghi e punti vari di ristoro. Ciò sicuramente va riconosciuto come merito allo Sponz Fest. Tuttavia, ciò che non è mai stato (malgrado in molti, agli albori, lo avessero fatto passar per tale), è il grande evento che avrebbe ridato a Calitri e all’Irpinia un rinnovato slancio, una rinnovata crescita e un nuovo inizio.

Durante questi 5 anni il calo demografico è spaventosamente aumentato, ci sono sempre meno giovani a Calitri che popolano le strade del paese, escludendo le festività ovvio. L’emorragia sociale e culturale s’è acuita e non attutita.

Rispetto a tutto ciò lo Sponz Fest non ha interferito né in negativo né invertendo la tendenza come molti di noi, i più ingenui, hanno creduto e continuano a credere.

il festival di Calitri

Sponz Calitri

Lo Sponz Fest è da condannare?

No, non è certo questo ciò che voglio dire: ben vengano altri 100 Sponz Fest! Ciò che questo articolo ha l’ambizione di essere è semplicemente un invito a ripensare seriamente alle sorti del nostro splendido paese, altrimenti destinato a diventare un paese fantasma, senza crogiolarsi troppo del boom e del successo che si ha in quella settimana all’anno di Sponz Fest, che dovrebbe rappresentare un di più e non l’unica cosa che abbiamo, pena l’estinzione.

Avellino: L’arte della pace in mostra all’ex Carcere Borbonico

L’arte della pace è il nome della mostra in esposizione presso l’ex Carcere Borbonico di Avellino fino al 25 aprile.

La collettiva, organizzata dall’associazione Arteuropa e curata da Enzo Angiuoni e Nicola Guarino, ha come intento quello di diffondere un messaggio di pace individuale e collettivo interpretato come bisogno intrinseco dell’uomo e della comunità.

L’Arte della pace si avvale dell’estro creativo di oltre 100 artisti, ciascuno a suo modo e secondo i propri occhi, ha realizzato opere che racchiudono il personale significato di pace.

La collettiva può essere visitata dal martedì al sabato dalle ore 09:00 alle ore 13:00 o il venerdì anche dalle ore 15:30 alle ore 17:15.

L’ingresso è libero.

L'arte della pace in mostra ad Avellino

L’arte della pace mostra

L’arte della pace: gli artisti in mostra

La realizzazione della collettiva racchiude le opere di: Lamberto Correggiari, Antonio Crivellari, Roberto Di Giampaolo, Michele Di Martino, Claudio Mario Feruglio, Ado Furlanetto, Dorotea Li Causi, Cristina Mantisi, Enrico Meo Patrizia Matera.

E ancora: Gianfranco Zazzeroni, Svetlana Boyarkina, Giorgio Celiberti, Francesco Girarldi, Remo Stasi, Luigi Gatto, Giuliano Caporali, Pippo Spina, Enrica Belloni e molti altri ancora.

 

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