Pier Paolo Pasolini

Pasolini l’origine e il sacro. Laboratorio teatrale e non solo

Il progetto Pasolini l’origine e il sacro. Laboratorio teatrale e non solo, realizzato presso il Museo irpino, a cura del Teatro d’Europa e promosso dalla Provincia di Avellino con il Coordinamento tecnico scientifico del Museo Irpino e della Biblioteca Capone, giunge al termine.

Pasolini l’origine e il sacro
A conclusione del programma svoltosi da novembre 2022 a maggio 2023, Sabato 20 maggio alle ore 19.30, i protagonisti del corso, insieme ai ‘’maestri di teatro’’,
metteranno in scena uno spettacolo conclusivo dal titolo “Tacer cantando. Poesie e monologhi di Pier Paolo Pasolini’’.

I visitatori assisteranno ad un’insolita rappresentazione teatrale itinerante che coinvolgerà le diverse sezioni del Museo Irpino all’interno del Complesso monumentale
del Carcere borbonico.

Durante lo spettacolo i ragazzi, partecipanti al progetto, reciteranno poesie, accompagnando i maestri, che si esibiranno in monologhi a due, celebrando l’amore impossibile tra Maria Callas ed il regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo romano, Pier Paolo Pasolini.
Questa performance finale è frutto di un percorso di sperimentazione, ricerca e teatralizzazione, con l’obiettivo di far conoscere, e al tempo stesso celebrare, il genio artistico di Pasolini.

Claudia Gerini e Mauro Gioia rendono omaggio a Pasolini

Per rendere omaggio a Pier Paolo Pasolini, a cento anni dalla nascita, Mauro Gioia e Francesco Saponaro puntano i riflettori su uno degli aspetti della sua produzione un pò meno indagato ma decisamente interessante, quello legato al profondo rapporto che ebbe con la musica. Intorno agli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini si dedicò alla scrittura di testi per canzoni che lo portarono a intrecciare relazioni con artisti quali Piero Umiliani, Ennio Morricone, Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Laura Betti, Grazia De Marchi, Gabriella Ferri.

Canzoni che sono storie a tutti gli effetti, con personaggi veri, ironici, coraggiosi, ribelli, forti ma soprattutto pieni di vita come quelli dei suoi romanzi.

Claudia Gerini e Mauro Gioia rendono omaggio a Pasolini

Le canzoni del poeta di Casarsa sono stelle di una galassia che sta al corpus dell’intera opera pasoliniana come una predella alla sua pala d’altare. Più che canzoni d’autore, sono Lieder sbocciati dall’inguaribile spleen di un Tiresia nostro contemporaneo. Piccole storie in cui riverberano i temi più cari allo scrittore corsaro, al cineasta assetato di realtà, di mito e poiesis, in cui si innesta la disperata vitalità dei suoi versi al piglio giocoso del fanciullo friulano dallo sguardo malinconico.

Per cantare Pasolini bisogna attraversarne il corpo narrativo e poetico, crearsi uno spazio tra gli anfratti e far scorrere musica e parole, come nell’alveo di un fiume.

Nelle sue canzoni soffia il vento della protesta, perché il mondo è ancora preda braccata dalla furia consumistica e la fatica di vivere resta la stessa. Non suonano datate le musiche perché nei versi che le accompagnano Pasolini seppe immaginare i mali che affliggono la nostra società; e perché i compositori che si prestarono a metterle in musica erano parte di una comunità di artisti e intellettuali molto attenta ai contenuti e che mai avrebbe preferito la forma del semplice consumo ‘melodico’. Si chiamavano Giovanni Fusco, Sergio Endrigo, Domenico Modugno che in quel capolavoro per immagini che è Che cosa sono le nuvole? canta di due patetiche marionette agonizzanti, finite in una discarica a guardare il cielo, “straziante, meravigliosa bellezza del creato”.

Pasolini l’origine e il sacro

Al via da oggi le iscrizioni per il Laboratorio Pasolini l’origine e il sacro.

Pasolini l’origine e il sacro: il progetto

Dalla collaborazione di registi e attori irpini e del Museo Irpino nasce l’idea di creare un’area permanente presso il museo dedicata a Pierpaolo Pasolini, intesa come luogo di sperimentazione, ricerca teatro e non solo.

Lo spazio riservato al poeta vuole essere “un luogo di incontro per le giovani generazioni”, che attraverso una rilettura delle opere teatrali di Pasolini, è volto a coinvolgere i giovani in un lavoro di approfondimento e appropriazione critica che approdi a una creazione originale, attraverso la scrittura e l’interpretazione laboratoriale.

Pasolini l’origine e il sacro

Pasolini l’origine e il sacro: obiettivi

Una rilettura delle opere classiche di Pasolini: Medea, Edipo, Pilade, Il Vantone che saranno oggetto di lettura, analisi e dibattito con particolare interesse per l’Antigone che sarà oggetto di una originale messa in scena che vedrà coinvolti tutti i partecipanti al corso con attori professionisti.

Il 2022 è l’anno in cui ricorre il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), anniversario che ha ottenuto la candidatura italiana nell’ambito del programma Anniversari UNESCO 2022-2023. Intellettuale e artista eclettico, figura tra le più dibattute ed emblematiche del suo tempo, Pasolini ha dispiegato la sua attività tra cinema, letteratura, dibattito pubblico e impegno politico e, grazie alla sua capacità di leggere e anticipare le trasformazioni della società, la sua opera è di grande attualità.

Il teatro e il cinema di Pasolini si caratterizzano per il rapporto con i miti greci, la letteratura latina, i classici della tradizione italiana ed europea.

Fin dalla seconda metà degli anni ’60 Pasolini coglie il problema del destinatario: al «popolo» subentra la «massa», e questo mette in crisi anche il teatro tradizionale.

Pasolini teorizza un «teatro di parola» che rinuncia all’intero apparato naturalistico (scenografie, costumi, musiche, azione scenica) per concentrarsi sul logos. La rilettura delle opere teatrali di Pasolini ha l’obiettivo di coinvolgere i giovani in un lavoro di approfondimento e appropriazione critica che approdi a una creazione originale, attraverso laboratori di scrittura e interpretazione teatrale.

Pasolini l’origine e il sacro: i docenti 

Luigi FRASCA, direttore artistico del progetto e aiuto regista

Antonio JATA, regista

Angela CATERINA, attrice

Paolo CAPOZZO, attore

Maurizio PICARIELLO, attore

Pasolini l’origine e il sacro: il laboratorio

Il laboratorio sarà aperto ad un numero massimo di 25 persone, che a seguito di candidatura verranno selezionate per poter partecipare gratuitamente alle attività.

Avrà una durata di 80 ore a partire dal mese di novembre 2022 fino a maggio 2023, gli incontri si terranno ogni mercoledì e venerdì dalle 16.00 alle 18.00, presso la sede del museo Irpino del Carcere Borbonico di Avellino.

Gi incontri

  • Per un nuovo e originale allestimento dell’Antigone,

30 ore a cura di Luigi FRASCA

  • Dal silenzio alla parola di Pasolini e analisi dell’Antigone,

20 ore a cura di Angela CATERINA

  • Tecniche di recitazione e analisi della Medea,

15 ore a cura di Paolo CAPOZZO

  • Improvvisazioni e giochi di ruolo e analisi di Edipo,

15 ore a cura di Maurizio PICARIELLO

  • Regia spettacolo a cura di Antonio JATA.

A chi è rivolto

Il laboratorio è rivolto a tutti i giovani irpini compresi fra i 16 e 35 anni di età.

 Come candidarsi

Sarà possibile inoltrare la propria candidatura all’indirizzo e-mail all’indirizzo info@museoirpino.it, compilando il modulo per la candidatura disponibile sul sito del museo.

Per informazioni cellulare 331.5481067 telefono 0825.790733.

In un futuro aprile: il docufilm sugli anni giovanili di Pasolini

Sono terminate le riprese di In un futuro aprile, nuovo docufilm su Pier Paolo Pasolini diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto, che verrà presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival 2020 di Bologna che si svolgerà dal 5 al 15 giugno.

Il docufilm è ambientato negli anni ’40 ed è girato a Casarsa e nei luoghi del Friuli in cui Pier Paolo Pasolini viene travolto dal fascino del paesaggio e del mondo contadino friulano, intriso di tradizioni.

La voce narrante all’interno di In un futuro aprile è quella di Nico Naldini, poeta, scrittore e cugino di Pier Paolo Pasolini.

Gli anni giovanili sono formativi per il regista perché lo avvicinano alle prime avventure amorose con alcuni giovani del posto e inizia ad avvicinarsi al Partito Comunista.

Nel 1955 Pier Paolo Pasolini scrive la poesia Quadri friulani che, in qualche modo, accenna il periodo su cui si sono soffermati i registi di In un futuro aprile.

Vi riportiamo uno stralcio della poesia per anticiparvi i luoghi, l’ambientazione e il sentire del regista durante questi anni.

In un futuro aprile: trailer

Il docufilm sugli anni giovanili di Pier Paolo Pasolini

Quadri friulani di Pier Paolo Pasolini

Senza cappotto, nell’aria di gelsomino

mi perdo nella passeggiata serale,

respirando – avido e prostrato, fino

 

a non esistere, a essere febbre nell’aria

la pioggia che germoglia e il sereno

che incombe arido su asfalti, fanali,

cantieri, mandrie di grattacieli, piene

di sterri e di fabbriche, incrostati

di buoio e di miseria…

 

Sordido fango indurito, pesto, e rasento

tuguri recenti e decrepiti, ai limiti

di calde aree erbose… Spesso l’esperienza

 

espande intorno più allegria, più vita,

che l’innocenza: ma questo muto vento risale dalla regione aprica

dell’inncenza… L’odore precoce e stento

di primavera che spande, scioglie

ogni difesa nel cuore che ho redento

 

con la sola chiarezza: antiche voglie,

smanie, sperdute tenerezze, riconosco

in questo smosso mondo di foglie.

 

Le foglie dei sambuchi, che sulle rogge

sbucano dai caldi e tondi rami,

tra le reti sanguigne, tra le logge

 

giallognole e ranciate dei friulani

venchi, allineati in spoglie prospettive

contro gli spogli crinali montani,

 

o in dolci curve lungo le festive

chine delle prodaie… Le foglie

dei ragnati pioppi senza un brivido

 

ammassati in silenziose folle

in fondo ai deserti campi di medica;

le foglie degli umili alni, lungo le zolle

 

spente dove le ardenti pianticine lievita

il frumento con tremolii già lieti;

le foglie della dolcetta che copre tiepida

 

l’argine sugli arazzi d’oro dei vigneti.

Decameron: tra pandemie, Pasolini e Napoli

Eppure qualcosa ne verrà fuori.

Sapremo presto se questa costrizione domestica ci abbia fatto migliorare, in termini umanistici o peggio, ci abbia fatto accelerare la folle corsa verso l’agognato e utopico traguardo che ci siamo prefissati a discapito del prossimo. La vista all’orizzonte di un tracollo economico, di un abbattimento morale per tutte quelle donne e quegli uomini morti in solitudine, di una paura collettiva non potranno certo farci rialzare con un certo orgoglio, certamente, tenendo conto che ognuno dovrà vedersela con le proprie perdite, in primis valutando anche la scomparsa dei propri cari, o comunque di tutti coloro che hanno pagato con la vita.

Successe qualcosa di analogo nel Decameron, la raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio tra il 1349, l’anno successivo alla peste nera che si abbatté sull’Europa, e il 1353.

Fu proprio la peste nera, che allora si dichiarò come una pandemia, che provocò quasi venti milioni di vittime, dai nobili alla povera gente, quest’ultima di certo non pronta a eventuali motivi di difesa, né a possibilità di fuga, data la situazione di estrema miseria.

Giovanni Boccaccio, nell’introduzione del Decameron, descrisse gli effetti della pandemia, orrido cominciamento, e ne offre una spiegazione in termini di stravolgimento dei costumi, senza tralasciare la scarsa influenza delle leggi, l’esaltazione del sesso come materia di fuga e frutto di ogni freno inibitore, sconvolgendo il comportamento del genere umano, che inizia ad avere un contatto più diretto con la morte. La fine dell’esistenza non è che una parte dell’esistenza stessa, e le sepolture iniziano a susseguirsi a ritmi incredibili, fino a che pèrdono dell’anche possibile sacralità del rito stesso, e i defunti vengono ancorché umiliati con le sepolture di massa, con le fosse comuni.

Giovanni Boccaccio scrive:

…ma per ciò che, qual fosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno avvenissero, non si poteva senza questa ramemorazion dimostrare, quasi da necessità costretto a scrivere mi conduco.

Nel Decameron esiste però anche una giustificazione ad una reazione più intellettualmente sensata.

La peste viene raggirata da un gruppo di dieci giovani, sette donne e tre uomini, tutti di elevato spessore sociale, che pensano ad una soluzione: affrontare una quarantena insieme e ritirarsi in campagna, offrendosi ognuno come narratore, e nel cui contesto vengono raccontate le cento novelle che fanno parte dell’opera.

Racconti che spesso contengono visioni di una materia sessuale vista come un ritorno alla natura umana, più che ad una provocazione, e anche se c’è comunque da dire che il sesso non è l’unico argomento trattato nelle novelle, il Decameron fu soggetto a critiche e a censure.

L’incredibile freschezza morale che contiene quest’opera del ‘300 è, innanzitutto, l’affermazione della libertà sessuale delle donne, che viene descritta al pari di quella degli uomini, e dove alle donne viene concessa la completa libertà delle parole, quindi il loro valore espresso a pieno anche in maniera verbale, dato che, come lo stesso Giovanni Boccaccio ritiene, alle donne il molto parlar si disdice.

Giovanni Boccaccio includerà nell’opera vari riferimenti alla sua città più amata per eccellenza, Napoli, che gli ricorderà sempre i trascorsi in cui incrementò la passione per la letteratura, a dispetto della professione del padre, mercante fiorentino, che voleva un ovvio erede per i suoi commerci.

Il Decameron è forse l’opera letteraria con più trasposizioni cinematografiche in assoluto, e basta citarne qualcuna, per averne un’idea chiara: dal più recente Maraviglioso Boccaccio (2015) dei fratelli Taviani, partendo dal Boccaccio (1940) di Marcello Albani, passando per Notti del Decamerone (1953) di Hugo Fregonese, e tutto ciò solo per nomenclarne alcuni, la cui origine su pellicola prende spunto forse dal primo film tematico in assoluto, ossia un muto, Il Decamerone (1921).

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini e Napoli

Non si esclude, certo, che l’adattamento più celebre in assoluto fu Il Decameron (1971), trasportato al cinema da Pier Paolo Pasolini, e che ebbe, forse  a maggior ragione, più effetto perché fu interamente girato con dialoghi in dialetto napoletano, e questo dice molto, ma di sicuro ancora non tutto.

Napoli, città amata sia dal regista, poeta e scrittore friulano che da Giovanni Boccaccio, fu la protagonista dell’intera pellicola, e esattamente nel 1970, cinquant’anni fa, iniziarono lì le riprese per il film che avrebbe visto la luce soltanto l’anno dopo, e che sarebbe stato soggetto a continue modifiche e tagli, che avrebbero ridotto la durata, in principio pensata intorno alle tre ore.

La gestazione e la presentazione al pubblico de Il Decameron ebbero una storia lunga.

Dapprincipio, almeno all’estero, il film ottenne un successo strepitoso, ottenendo l’Orso d’Argento al Festival del Cinema di Berlino, mentre in Italia fu soggetto a sequestro per oscenità, accusa che però decadde dopo poco tempo, con molta probabilità proprio grazie al prestigioso premio ottenuto.

Con Il Decameron si aprirà la cosiddetta trilogia della vita di Pier Paolo Pasolini, che continuerà con I Racconti di Canterbury (1972), e Il Fiore delle Mille e una Notte (1974), finendo poi con l’apoteosi di un cinema che farà della mercificazione del sesso la filosofia di una vita consumistica malata e corrotta, ossia Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).

Il Decameron, invece, illustra una sessualità innocente, del tutto naturale e spontanea, così come viene illustrata nell’opera di Giovanni Boccaccio, e sarà soltanto l’inizio di un percorso che mirerà ad uno scopo: colpevolizzare la società moderna nella scelta di utilizzare la materia sessuale come ritratto proprio di ossessione e contrapposizione ad un’età sì arcaica, ma a suo tempo ricca di valori persi con l’incedere del forte ritratto dell’influenza dei media, come la televisione, che hanno generato una sorta di genocidio culturale, quest’ultimo tema frequente nella filosofia di Pier Paolo Pasolini.

Tornando alla realizzazione, perché la scelta di questa trasposizione cadde proprio su una location particolare come la città di Napoli? E perché la lingua parlata dai suoi protagonisti è quasi sempre il dialetto napoletano?

Come accennavo poc’anzi, la città a cui Giovanni Boccaccio rimase affezionato per sempre fu proprio Napoli, che grazie ai suoi primi amori (Fiammetta, che trovò posto tra i protagonisti del Decameron), ai suoi sbocchi culturali, riuscì a donare allo scrittore fiorentino la giusta aspirazione per le sue passioni, che lo allontanarono dalle ambizioni paterne, dedite al commercio, impegno che per eredità sarebbe stato inoltrato a lui.

Non si discosta la scelta di Pier Paolo Pasolini, seppur per altri ovvi motivi: all’inizio combattuto per le varie ambientazioni che avrebbe considerato per dirigere le varie parti che avrebbero illustrato le novelle boccacciane, si decise infine su Napoli, e su essa soltanto. Per comprendere meglio le motivazioni, eccovi una sua spiegazione:

I napoletani sono l’ultimo momento autenticamente popolare che posso trovare in questo periodo in Italia. Perché ho scelto Napoli? Per una serie di selezioni e di esclusioni. Nel momento in cui ho pensato di fare un film profondamente popolare, nel senso proprio tipico, classico di questa parola, ho dovuto escludere pian piano tutti gli altri possibili ambienti. Mi è rimasto Napoli, fatalmente, perché Napoli, proprio fatalmente, storicamente, oggi, è la città d’Italia, luogo d’Italia, dove il popolo è rimasto più autenticamente sé stesso, simile a quello che era nell’Ottocento, nel Settecento, nel Medioevo.

Murales di Pier Paolo Pasolini

Murales di Pier Paolo Pasolini

Lo stesso Pier Paolo Pasolini rivestirà il ruolo di un attore, l’allievo di Giotto, che si reca in Santa Chiara per realizzare un affresco, e la scelta non sembra casuale, a questo punto, perché il regista pare voglia, in qualche modo, accentuare il ruolo pittorico che ha voluto apportare ad un film essenzialmente colorato dalle varie scene ed ambientazioni popolari del Medioevo a Napoli.

Carmine Maffei

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