Oreste ha ucciso la madre Clitemnestra e dal giorno del delitto giace malato e ormai al limite della follia accucciato in uno scatolone.
La sorella Elettra lo assiste.
Entrambi attendono che la città pronunci il suo verdetto di morte.
Unica speranza: Menelao, fratello del padre.
Quando questi si rifiuta di aiutarli e la città li condanna, fratello e sorella, cui si è aggiunto l’amico Pilade, decidono di tentare il tutto per tutto.
In questo Oreste di Daniele Timpano, filologicamente reinventato a partire dalle traduzioni ottocentesche e novecentesche dell’originale euripideo, albeggia quella stessa movenza profondamente anti-catartica, nella quale la catarsi si rivela uno scaltro dispositivo di mistificazione collettiva, che si ritroverà nella gran parte dei testi successivi del drammaturgo romano.
Completano l’edizione la prefazione di Maddalena Giovannelli e una postfazione di Attilio Scarpellini.
Daniele Timpano: biografia
Nato a Roma nel 1974, è uno dei più apprezzati drammaturghi italiani contemporanei.
Con Elvira Frosini fonda la compagnia Frosini/Timpano nel 2008.
I loro lavori sono stati rappresentati nei più importanti teatri e festival in Italia e all’estero.
Tra gli spettacoli della compagnia ricordiamo: la trilogia Storia cadaverica d’Italia, che comprende Dux in scatola, Risorgimento pop e Aldo morto, Ecce robot!, Sì l’ammore no, Zombitudine, Alla città morta, Acqua di colonia, Digerseltz, Carne.
Con i suoi lavori Timpano è stato finalista e vincitore di numerosi premi: Premio Scenario (2005), Premio Vertigine (2010), Premio Dante Cappelletti/ Tuttoteatro.com (2008) e Premio Ubu (2017).
Nel 2014, Rai5 ha realizzato un documentario sul lavoro di Frosini/Timpano nel ciclo Roma: la nuova drammaturgia.
You Might also like
-
Volturara Irpina celebra l’eccellenza del fagiolo Quarantino
Dal 6 fino all’8 settembre Volturara Irpina apre le porte per la nona edizione della Festa del Fagiolo Quarantino della Valle del Dragone, un evento volto alla valorizzazione dei prodotti gastronomici d’eccellenza del territorio.
All’interno di questo evento ci sarà l’inaugurazione della Strada Ferrata e delle Vie di Arrampicata, un’area dedicata alle attività alpinistiche, realizzate dal gruppo Campania Mountains Guides e finanziato dall’Amministrazione Comunale di Volturara Irpina.
La zona è composta da vie ferrate e itinerari di arrampicata aperti a tutti, bambini e adulti, perché è suddiviso in diversi gradi di difficoltà: ben 8 percorsi monotiro per i bambini e per gli esordienti e due percorsi multipich per chi già è esperto di arrampicata alpinistica.
Festa del Fagiolo Quarantino della Valle del Dragone
Venerdì 6
Dalle ore 18:00 si inizia con giochi per i bambini.
Alle ore 20:00 è prevista l’apertura degli stand gastronomici.
Alle ore 21:00 appuntamento con Mix Harmony e Beta Folk 2.0.
Sabato 7
Ore 09:30 inaugurazione della Strada Ferrata e delle Vie di Arrampicata.
Ore 11:00 i8ncontro e discussione su Irpinia, prodotti di eccellenza e ambiente.
Ore 13:00 pranzo in piazza.
18:40 degustazioni del Fagiolo Quarantino a cura di Slow Food.
Ore 20:00 apertura ufficiale della festa con il taglio del nastro a cura dell’Amministrazione Comunale.
Ore 21:00 live con Rock e i suoi fratelli, Pratola Folk e le Ninfe della Tammorra.
Domenica 8
Ore 09:00 escursione in montagna a cura del CAI di Avellino.
Ore 10:00 Maratona della Valle del Dragone.
Ore 13:00 pranzo in piazza.
Ore 16:30 live Aria Nova.
Ore 20:00 consegna della Cittadinanza Onoraria al giornalista RAI Rino Genovese.
Ore 21:00 live Banana Split, Popolo Vascio e Mulieres Garganiche.
-
Licenziare degli Elettrojoyce: l’alienazione vista come una salvezza
Cosa ci insegna una canzone quando siamo certi di averla individuata come fonte d’ispirazione dei nostri pensieri più reconditi? Qual è la reazione che ci spinge a pensare che ciò per cui siamo nati e cresciuti non possa coesistere col pensiero comune, quello vincolato in maniera troppo forzata?
Vent’anni fa, nel 1999, una rock band romana, gli Elettrojoyce, pubblicano per la prima volta con la Epic (Sony Music) la loro definitiva versione dell’interazione di un pensiero, che forse trae in inganno, se comparato all’azione ludica che un brano punk può ispirare, proprio perché siamo certi che stiamo per rilassarci in un ascolto e non stiamo allargando gli orizzonti alla crescita sociale.
Niente di più sbagliato.
Capire quanto sia importante la comprensione sta esattamente nell’azione che una linea melodica (non necessariamente sempre accoppiata con un testo) può, nel momento dell’ascolto, farci aprire a nuove condotte di pensiero, che forse non risultano sempre tangibili con le materie umanistiche studiate a scuole, né con l’induzione che ha un nucleo familiare su un soggetto più propenso ad una fuga più morale che prossima.
Il branoLicenziare degli Elettrojoyce esce per la prima volta, come singolo, nel 1998, suggella il loro rapporto con un’etichetta major e anticipa il secondo album della band romana, Elettrojoyce (2°), del 1999.
Il gruppo, capitanato da Filippo Gatti (oggi ancora musicista e autore all’attivo), voce e basso, ha un ruolo fondamentale nell’elevazione di una musica colta che si cela negli ascolti forse più scontati. La musica d’autore già in quel periodo va scemando, e il commercio che deriva da un introito guidato da un discutibile pensiero unilaterale guida una comunità di ragazzi a concentrarsi sulla scia del momento, a farsi coinvolgere da nulla di troppo coinvolgente, da un accumulo di oggetti di uso comune con scadenza prossima.
Nel 1999 il vecchio secolo e il vecchio millennio stanno per terminare, e la paura che tutto troppo presto non possa più funzionare incombe sulla capacità (o forse sull’incapacità) di poter coesistere con una pagina nuova, con una parentesi che inizia tale, poi diventa periodo. Nessuno, forse, sa che stiamo per affacciarci alla resa definitiva delle nostre pretese esistenziali, e tutti, nel frattempo, erroneamente, cadiamo nella matematica certezza che giungerà qualcosa di nuovo, di inaspettato, così come sia ovvio che dopo uno 0 ci sia il numero 1.
I calcoli non erano troppo sbagliati, in effetti, se riuscissimo solo un momento a guardarci indietro e a capire quante sostanziali differenze possano esistere rispetto ad un ventennio fa, quando ( ad esempio) ciò che state leggendo in questo istante non sarebbe stato alla portata di un click in qualsiasi posto vi sareste trovati con una connessione internet wi fi sufficiente, e con uno smartphone. Gli ascolti musicali, i più influenti, di quel periodo combaciano alla perfezione con la decadenza complessiva che avrebbe condizionato le persone che, oggi, si considerano adulte e guidano i servizi, i pensieri e i partiti politici, e indirizzano i propri figli all’ibernazione morale, culturale, stimolante, reazionaria che una cultura personale può regalare, in un mondo dove “regalo” significa sempre un interscambio economico, o una prestazione da restituire con interessi.
Nel 1999 gli Elettrojoyce capiscono che qualcosa nell’equilibrio di un’autenticità sta per spezzarsi, e scrivono un testo che sa dell’incredibile, una poesia semplice che invita ad una scelta forse più complicata, più estrema ma giustificabile:
prendimi la mano
usciamo dal vagone in corsa
vite cancellate da un’oscillazione in borsa
ho sentito i nostri battiti del cuore accelerare
meglio che restare intrappolati nella foto ad invecchiare
Colui che parla, in questo testo, è un soggetto che s’impegna a far rimarginare ferite inferte dal tempo che non s’arresta, che corre imperterrito, e che detta le leggi che secondo i suoi esecutori, gli individui cloni che lo circondano, sono alla base di una convivenza forzata, dove la capacità che può pervenire da un tentennamento dei mercati può trascinarci in un vortice di pessimismo collettivo.
Eppure basta soffermarsi, darsi del tempo, lasciare che i nostri ritmi non marcino necessariamente all’unisono con tutto il resto, perché è proprio quando il nostro cuore che accelera i battiti, scaturiti da un’emozione, che si ha più capacità di sentire il suo tumulto emergere dal caos circostante. Una sorta di foto che ci ritrae identifica nei solchi della nostra pelle la cadenza del tempo così come ci viene dettato, e in tali linee si demarcano, alla stessa maniera, obbligatori cambi di direzione, così come quest’ultima sta ad indicare a seconda delle esigenze, il vecchiume che contrae le grinze sul nostro Dorian Gray peccaminoso e corrotto, intrappolato nel suo ritratto, mentre il suo avatar corre sotto dettatura.
Cambia forma il male
cambia nome
cambia di colore
pensa sempre al resto
mentre chiudi gli occhi
e salti, amore e ogni giorno si allontana
mentre noi dimentichiamo
non avere mai paura
mentre andiamo
Il nostro protagonista ha trovato un’affinità elettiva con colei che lo seguirà in questa alienazione curativa, quindi le dà coraggio, la incita a intraprendere il grande salto, ad affrontare la grande sfida che condurrà entrambi all’olimpo dell’individualità, dell’originalità. Le malvagità cambiano identità a seconda dei suoi coordinatori; i loro portavoce a doppio petto incitano all’obbligo e alla disciplina, mentre essi stessi, dal loro canto, infrangono di nascosto le regole, come in 1984 di George Orwell. Per questo il nostro uomo vuole inimicarsi i vari ministeri; vuole superare concetti che questi ultimi dettano, le regole che vengono fatte rispettare dalla “psicopolizia”. La paura alimenterebbe soltanto il pretesto di una persecuzione, e scacciarla via è solo il primo passo verso un concreto successo dell’ammutinamento, e della successiva alienazione.
In quello stesso anno i Bluvertigo pubblicano l’album Zero, e la qualità che vi si enuncia è la stessa. Anzi, nel caso del gruppo di Morgan e soci la produzione volge già alla garanzia di una prestanza che mette sicurezza e ci prepara al nuovo millennio, e l’elettronica, che corre sul binario parallelo di un’esecuzione ancora suonata con strumenti, sembra voglia convivere con qualcosa di superato, un po’ come restare sospesi a mezz’aria tra un ciglio e l’altro di un dirupo.
Gli Elettrojoyce, dal loro canto, ed in questa canzone, restano affezionati al filone rock che più sconvolse i canoni di fine millennio. Ricordiamoci che la scena musicale italiana di quel genere aveva vissuto momenti felici in quel decennio stesso, e basterebbe citare i Timoria, i Marlene Kunz, Movida, etc.
Oggi non esistono più, e di certo anche noi domani dovremo cedere il posto, ma appunto per questo, la nostra eredità sarà più preziosa se legata ad una lezione ai nostri posteri, ad una preparazione che possa consistere nel rispetto della propria linea d’ombra e coesistere con quelle altrui, seppur non combaciando alla perfezione, ma trovando i punti di sutura necessari a crearne una immensa che possa oscurare ostacoli collocati da chi è sullo scranno del potere da duemila anni.
Carmine Maffei
-
Gilda Ciccarelli ci parla del ruolo della donna nel teatro napoletano
Rieccoci con una nuova puntata di un caffè a teatro con Gilda Ciccarelli della compagnia teatrale La Fermata. Questa è la prima puntata che realizziamo post Covid e abbiamo deciso di parlare di donne nel teatro ma in modo diverso e guardando il ruolo della donna da un’altra prospettiva.
Con Gilda Ciccarelli avevamo già parlato, in una puntata precedente di un caffè a teatro, di storie di donne a teatro e al cinema passando da Eleonora Duse a Meryl Streep.
Oggi non parleremo soltanto dell’evoluzione storica che hanno avuto le donne all’interno del teatro napoletano ma anche di come si sono evoluti determinati stereotipi femminili nel teatro partenopeo e lo faremo da un punto di vista più femminista, lasciateci passare questo termine.
Quello che andremo ad analizzare con la prima attrice della compagnia teatrale La Fermata è il ruolo della donna in determinati periodi che hanno fatto la storia del teatro napoletano. Ci soffermeremo, soprattutto, su un personaggio abbastanza controverso, per certi aspetti.
La figura femminile di cui stiamo parlando è quella di Filomena Marturano ma procediamo con ordine partendo dal teatro napoletano prima di Eduardo De Filippo.
Il ruolo della donna nel teatro napoletano spiegato da Gilda Ciccarelli
Il ruolo della donna nel teatro napoletano si è evoluto insieme al ruolo che, in quel periodo, il gentil sesso aveva nella società. Infatti all’inizio, nel primo teatro napoletano, il personaggio femminile non ricopre un ruolo drammaturgicamente rilevante perché era un personaggio che faceva da spalla ai ruoli principali che erano quelli maschili. I ruoli interpretati dalle donne in questo periodo erano quello della moglie, della figlia o della zitella ed erano personaggi che, all’interno del canovaccio, non avevano una crescita o un’evoluzione. I personaggi femminili di questo periodo infatti rappresentano i tre classici stereotipi sociali del tempo e le aspettative che si riponevano in lei.
La donna nasceva come figlia e doveva diventare moglie ma, per diverse ragioni, poteva non avere pretendenti e quindi restare zitella a vita e da qui i personaggi prendevano i classici connotati di moglie tradita, figlia obbligata a sottostare ad imposizioni familiari e così via. In breve quella proposta è una donna derivante da una società e cultura maschilista.
Gilda Ciccarelli afferma:
L’evoluzione della donna nel teatro napoletano la iniziamo a intravedere in alcune commedie, non popolari e quindi meno famose, di Salvatore Di Giacomo in cui la donna inizia a ricoprire un ruolo differente: quello della femmina napoletana portavoce di una società matriarcale.
In realtà questo ruolo, quello matriarcale, è sempre esistito solo che si tendeva a schiacciarlo per dare spazio agli stereotipi della donna succube.
L’evoluzione più grande nel teatro napoletano l’abbiamo con Eduardo De Filippo. Infatti il primo personaggio che viene in mente è quello di Filomena Marturano. Una donna costretta, per necessità, a doversi prostituire.
Filomena Marturano è una donna che lotta per i suoi diritti e lotta rivendicando il suo essere donna ma per scoprire alcuni aspetti di questo personaggio controverso non vi resta che guardare il video in home.
3 comments on Oreste di Daniele Timpano
Comments are closed.