Da compagni di scuola a compagni anche di note.
Sul palco del Trianon Viviani, l’originale incontro di Lorenzo Hengeller e Raiz, che venerdì 11 febbraio, alle 21, suoneranno insieme per la prima volta dopo le prime esperienze musicali comuni al liceo.
Frequentando la stessa scuola, i due artisti e amici partenopei hanno suonato nella stessa band, spaziando dai classici internazionali al cantautorato napoletano e italiano. Hanno poi intrapreso due carriere musicali diverse: il primo è diventato un cantapianista e jazzista; il secondo un cantante impegnato tra reggae, suoni mediterranei e canzone napoletana.
Per gioco e per amicizia, in questa serata intitolata “Compagni di scuola e di note”, i due ragazzi di ieri incontreranno i due artisti di oggi per suonare una musica nuova e inattesa per entrambi.
Racconta Lorenzo Hengeller:
A vederci allora sembravamo solo irrimediabili e accaniti appassionati di musica , ma oggi sappiamo che ci stavamo semplicemente allenando a diventare quelli che ora siamo, due artisti ai quali la musica ha suggerito mondi diversi: immaginarci, quindi, di nuovo insieme su un palco, quello del teatro Trianon, è stata per noi un’idea naturale, accolta con entusiasmo dal direttore artistico Marisa Laurito.
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David Bowie a breve in mostra a Napoli
Successo annunciato e conseguito per le due mostre organizzate dalla società Navigare ed esposte a Napoli a Palazzo Fondi e al PAN.
Il riscontro positivo ricevuto per le esposizioni “van Gogh multimedia e la Stanza segreta”, in via Medina, ed anche per “Andy is back”, via dei Mille, ha indotto l’organizzazione a scegliere Napoli quale sede della rassegna di sua produzione dedicata a David Bowie.
Intanto, tornando alle mostre in corso, la scelta di prolungare sino a fine luglio la multimediale su Van Gogh, prevista in chiusura a fine giugno, è risultata una scelta vincente.
L’acquisto della fotoincisione Homme à la Pipe: Portrait du docteur Gachet(1890), da parte di un collezionista tedesco in vacanza a Napoli, ha scatenato l’interesse della stampa d’Oltralpe che ha realizzato numerosi servizi giornalistici inducendo gli stranieri presenti in città ad andare a vedere, per l’ultima volta, l’opera ancora esposta al pubblico.
Anche la mostra dedicata a Andy Warhol, in corso al Palazzo delle Arti Napoli sino a domenica 31 luglio, ha registrato un interesse notevole.
Ma questa volta, oltre ai turisti, ad accorrere sono stati anche molti napoletani che hanno potuto rivedere, insieme a cimeli e opere, le foto dello stravagante artista durante le sue lunghe permanenze in città negli anni Ottanta.
Ora la società Navigare srl è pronta a portare a Napoli l’esposizione dedicata al Duca Bianco, che dovrebbe arrivare già a settembre.
Dichiara il produttore della società, Salvatore Lacagnina:
Napoli aveva già risposto bene alla nostra prima mostra dedicata a Frida Kahlo proprio a Palazzo Fondi .
La centralità della location è risultata vincente tanto da esporre anche la mostra su van Gogh, un peccato che ora la struttura chiuda per altre destinazioni d’utilizzo. Al PAN Andy is back ha scontato qualche defaillance con l’arrivo del gran caldo, ma i numeri sono stati comunque vincenti.
A settembre, dal 24, sarà proprio il PAN, per accordo con il sindaco Manfredi, lungimirante e attento valutatore dei progetti che gli abbiamo illustrato, ad ospitare la mostra dedicata a David Robert Jones che fu, non solo stupefacente cantautore con i suoi 140 milioni di album venduti, ma anche attore di ottimo livello. Tutti a Napoli ricordano ancora il suo concerto del 1997 nell’area dell’ex Italsider.
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Le parole sono importanti, utilizziamole bene
Occorrerebbe una sana e radicale presa di posizione di fronte all’ormai dilagante abitudine di far propri alcuni termini rendendoli diversi da quello che dovrebbero significare.
Perché, ad esempio, il buonismo è diventato un termine dispregiativo, in uso comune ad una parte politica che ha fatto tesoro di questa attitudine, rendendo ugualmente lontana dal suo significato anche la parola “sovranismo”?
Attaccando questa accezione, concettualmente semplice e che dovrebbe essere connaturata al concetto stesso di Stato, alla ideologia dell’affermazione della Nazione come autonoma, autarchica e staccata dalle decisioni sovranazionali, dall’apparato di politiche economiche e sociali che, nel bene o nel male (e qui non siamo di fronte ad un discorso economico, ma ideologico) reggono la comunità degli Stati.
Chi va contro questa realtà, idealizzando il concetto dello Stato autoritario e che mostra i muscoli più di altre nazioni, rema in direzione contraria alla storia.
Oggi non è più pensabile una Italia che viaggi a schiena dritta per la sua strada, senza tenere conto del fatto che si muove in una comunità di Stati che interagiscono e dialogano, che si coordinano sulle questioni più rilevanti di politica internazionale.
Per i sovranisti tutto questo è un male. Dimenticandosi che sovranità non si esprime con atti di forza e tenendo il timone a barra dritta, senza rendersi conto di andare a sbattere contro uno scoglio.
La sovranità andrebbe espressa con una politica economica e sociale efficace, la sovranità dovrebbe consentire alla nazione di crescere anche nella comunità internazionale, perché non è sbattendo la porta che si acquisisce prestigio.
La teoria del padre padrone è tramontata da anni.
Il sovranismo vuole che si alzi la voce blaterando solo nel salotto di casa propria, quando sarebbe il caso di dialogare ad una platea internazionale che recepisca e rispetti la forza dello Stato, la sua sovranità, appunto. E non si dimentichi che la sovranità, in Italia, appartiene al popolo, come recita l’articolo 1 della Costituzione.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Dunque chiudere le porte al dialogo significa tappare la bocca proprio al popolo sovrano.
Ecco: sarebbe il caso di cominciare a parlare di un sovranismo diverso, nella sua accezione più reale e più pura.
Il sovranismo lo si lasci alla storia e alla filosofia politica. Chi non comprende questo, parli magari di “sovranesimo”, come di una nuova religione da abbracciare, scegliere e predicare.
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Claudia Gerini e Mauro Gioia rendono omaggio a Pasolini
Per rendere omaggio a Pier Paolo Pasolini, a cento anni dalla nascita, Mauro Gioia e Francesco Saponaro puntano i riflettori su uno degli aspetti della sua produzione un pò meno indagato ma decisamente interessante, quello legato al profondo rapporto che ebbe con la musica. Intorno agli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini si dedicò alla scrittura di testi per canzoni che lo portarono a intrecciare relazioni con artisti quali Piero Umiliani, Ennio Morricone, Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Laura Betti, Grazia De Marchi, Gabriella Ferri.
Canzoni che sono storie a tutti gli effetti, con personaggi veri, ironici, coraggiosi, ribelli, forti ma soprattutto pieni di vita come quelli dei suoi romanzi.
Le canzoni del poeta di Casarsa sono stelle di una galassia che sta al corpus dell’intera opera pasoliniana come una predella alla sua pala d’altare. Più che canzoni d’autore, sono Lieder sbocciati dall’inguaribile spleen di un Tiresia nostro contemporaneo. Piccole storie in cui riverberano i temi più cari allo scrittore corsaro, al cineasta assetato di realtà, di mito e poiesis, in cui si innesta la disperata vitalità dei suoi versi al piglio giocoso del fanciullo friulano dallo sguardo malinconico.
Per cantare Pasolini bisogna attraversarne il corpo narrativo e poetico, crearsi uno spazio tra gli anfratti e far scorrere musica e parole, come nell’alveo di un fiume.
Nelle sue canzoni soffia il vento della protesta, perché il mondo è ancora preda braccata dalla furia consumistica e la fatica di vivere resta la stessa. Non suonano datate le musiche perché nei versi che le accompagnano Pasolini seppe immaginare i mali che affliggono la nostra società; e perché i compositori che si prestarono a metterle in musica erano parte di una comunità di artisti e intellettuali molto attenta ai contenuti e che mai avrebbe preferito la forma del semplice consumo ‘melodico’. Si chiamavano Giovanni Fusco, Sergio Endrigo, Domenico Modugno che in quel capolavoro per immagini che è Che cosa sono le nuvole? canta di due patetiche marionette agonizzanti, finite in una discarica a guardare il cielo, “straziante, meravigliosa bellezza del creato”.
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