Tartufo è la satira più feroce che sia mai stata scritta contro l’ipocrisia.
Molière, attraverso la perversità del protagonista, intese colpire il moralismo fanatico ostentato da molti personaggi influenti a corte, coinvolgendo anche le pratiche religiose ed i fedeli. La traduzione di Carlo Repetti – rispettosa dell’originale – è piena di ritmo e di gioia: suona come un inno al desiderio di vivere liberi.
L’azione si svolge in una grande cucina, dove si incontrano personaggi tipici della commedia all’italiana. Con loro, assistiamo a un fallimento collettivo. Ma la forza della vita e il rinnovamento aprono uno spiraglio nell’oscurità. In questo spettacolo, dove la risata è un’arma contro la stupidità, scopriamo che Molière canta anche il piacere della vita e la gioia di stare insieme, ad ogni costo.
Tartufo di Molière dal 20 aprile al 1 maggio Teatro Mercadante.
Traduzione Carlo Repetti
Regia Jean Bellorini con Federico Vanni, Gigio Alberti, Teresa Saponangelo, Betti Pedrazzi,
Ruggero Dondi, Daria D’Antonio, Angela De Matteo, Francesca De Nicolais,
Luca Iervolino, Giampiero Schiano, Jules Garreau.
Collaborazione artistica Mathieu Coblentz
Scene e luci Jean Bellorini
Costumi Macha Makeïff
Assistente alle scene Francesco Esposito
Assistente ai costumi Anna Verde
Sarta realizzatrice Luciana Donadio
Trucco Emanuela Passaro
Direttore di scena Antonio Gatto
Capomacchinista Fabio Barra
Macchinista e attrezzista Nunzio Romano
datore luci Giuseppe Di Lorenzo
Fonico Daniele Piscicelli
Sarta Daniela Guida
Foto di scena Ivan Nocera
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Beauty: il nuovo singolo di Rayan Seventeen17
Dopo un’incredibile serie di release di successo, sfociata nelle oltre 10 milioni di views su YouTube e nell’iconico videoclip di “Barbie” – con protagonista la splendida Carlotta D’Este -, Rayan Seventeen17 torna nei digital store con “Beauty”, il suo nuovo singolo.
Il brano, scritto dallo stesso artista romagnolo e prodotto da Paolo Paone, è una dedica d’amore a cuore aperto posata sull’intreccio armonico tra il bianco e nero dei tasti di un pianoforte e l’incalzare di un beat delicato e avvolgente, meravigliosa analogia tra i ricordi che attraversano i pensieri dell’autore – «non mi basti più dentro i pensieri» – e lo scandire, il sussulto ritmato del suo cuore, sospeso tra malinconia, passione e dubbi- «cerco il motivo del perché il mio cuore non si illumina» -.
In un sorprendente susseguirsi di rimpianti e desideri, il testo mette in luce un’autentica e profonda analisi di se stessi, scandagliando senza maschere né orgoglio ogni vibes che pervade e permea la dimensione emozionale di un sentire che si interroga, ponendosi quesiti e trovando sempre e solo un’unica risposta, la vivida speranza di un riavvicinamento con colei che, nonostante lo scorrere del tempo – «ti cerco da mesi» -, resta e vive «più sotto, nell’anima».
Beauty è il terzo inedito del mio secondo album in lavorazione, il sequel di “Baby” e “Barbie”. Tutti e tre i pezzi, sono dedicati alla stessa persona. “Beauty” parla di quella volta che “fumavamo coockies”, di quando l’ho rivista ad un party e l’ho riaccompagnata a casa. Insieme a “Barbie”, è il brano a cui tengo di più, perché le storie che racconto sono in perfetto sync con quello che sto vivendo in questo momento.
Una forma canzone che dona forma a ciò che a volte le parole non sanno e non possono descrivere, profilando sogni, sentimenti e quelle falle, quei vuoti interiori, che come e vere e proprie crepe nella parte più intima di noi, interrompono il fluire naturale e disinvolto di ciò che siamo, imponendoci di riflettere, di fare i conti con tutte quelle fragilità – «solo come sopra i Go-Kart» – e quelle ferite – «nel torace ho cicatrici delle bitches» – che spesso ci portano ad agire in netto contrasto con la nostra vera essenza – «ho tutte le donne mio hermano, tranne quella che amo» -, per la paura di essere giudicati – «se una parte di me va in pezzi, non mostro quel lato» -, da chi ci circonda, ma soprattutto, da noi stessi.
Uno spaccato autobiografico, indirizzato, come le due precedenti release, alla stessa musa ispiratrice – accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto dall’eleganza figurativa di Marco Cobianhci – reso identificativo ed emblematico grazie alla sensibilità e alla finezza compositiva di Rayan Seventeen17, supportato dalla sua capacità di trascendere dalla mera narrazione personale, per abbracciare l’universalità delle emozioni umane.
Rayan Seventeen17: biografia
Rayan Seventeen17, pseudonimo di Rayan Ramfar, è un cantautore italiano nato a Bologna il 17 Maggio 1996. Appassionato di musica fin da bambino, nel 2017 dà il via alla sua carriera artistica da indipendente, pubblicando una serie di release che gli consentono di farsi conoscere e apprezzare da pubblico e critica e di affinare abilità compositive ed espressive.
Brano dopo brano, grazie ad una capacità unica di rendere universali emozioni ed esperienze personali, trasponendole in testi suggestivi ed emblematici, supera le 10 milioni di visualizzazioni su YouTube e, nel 2021, pubblica l’omonimo debut album, composto da 15 tracce che ne riconfermano attitude, carisma e sensibilità autorale. Al disco, fanno seguito “Baby”, “Barbie” e “Beauty”, apripista del suo secondo progetto full length, la cui uscita è prevista nel corso dei prossimi mesi.
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Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale
Le luci nelle case degli altri (2010) di Chiara Gamberale è un romanzo che ci parla del quotidiano e di inclusività, un argomento che negli ultimi tempi è importante affrontare. Giugno, come sappiamo, è il mese che festeggia il Gay Pride e la comunità LGBTQ+ in tutto il mondo.
La scrittrice attraverso lo sguardo smarrito di Mandorla, una delle protagoniste del romanzo, ci insegna a guardare e scoprire il mondo da un altro punto di vista che è molto più umano, semplice da adottare e profondo.
Il lettore in poco tempo sente di abitare all’interno del condominio in cui vive la ragazza e in qualche modo cresce con lei, si smarrisce insieme a lei che cerca suo padre e il senso della sua esistenza.
Le luci nelle case degli altri: la trama
Maria, la madre di Mandorla, muore all’improvviso in un incidente stradale all’età di trent’anni, lasciando la figlia che, al tempo, ne ha solo sei. La bambina, attraverso una lettera, scritta dalla madre per lei, il giorno della sua nascita, scopre qualcosa d’importante: all’interno di quel condominio di cinque piani c’è suo padre. Nessuno dei condomini vuole sottoporsi al test del DNA così decidono di occuparsi tutti insieme di lei.
Il condominio è abitato da diverse personalità che alla fine arricchiscono Mandorla, anche in quei momenti bui, in cui la ragazza cerca disperatamente di scoprire l’identità di suo padre.
Maria, in vita, svolgeva l’attività di amministratrice condominiale anche in quello stesso palazzo in cui c’è il padre di Mandorla. Tutti i suoi amici e conoscenti, come si evince all’interno delle pagine de Le luci nelle case degli altri, la vedono come una donna libera che ha sempre vissuto senza costrizioni sociali. La donna il giorno in cui mette al mondo sua figlia le scrive una lettera che si rivela una sorta di testamento morale perché c’è scritto molto di lei: come vede il mondo, come vorrebbe educarla e cosa lei ritiene giusto per la figlia.
La libertà è ciò che muove Maria nella vita e in tutti i ruoli che ricopre, il significato che lei da a questa parola trasuda da ogni riga che compone il testo. Nonostante gli errori ortografici e grammaticali si può comprendere che l’apertura mentale, gli ideali sani non sono solo il frutto di studio e di cultura ma appartengono alla sensibilità con cui si guarda il mondo, quella capacità umana che non appartiene solo alla qualità e alla quantità di libri che si sono letti durante il corso della propria vita.
La lettera riassume molto il significato del romanzo, per questo motivo la riportiamo integralmente:
25 ottobre 1993
Amore mio.
Ti ho vista solo di sfuggita, poi un’infermiera ti ha portato via. Avevo così tanta tantissima voglia di conoscerti che evidentemente tu l’hai avvertita e sei arrivata con due mesi di anticipo.
Minuscola come una mandorla, dice il dottore.
È per questo che adesso bisognerà tenerti per un po’ in una scatola di vetro: per trasformarti da una mandorla a una bambina vera! Il dottore mi assicura che tutto andrà bene, però in questo letto d’ospedale che ci stò a fare io, se tu non ci sei?
Allora ti scrivo.
Perché non ce la faccio a pensare ad altro che non sei tu.
E perché sono così tante le cose che da qui a sempre vorrei darti, è così grande la paura di non farcela che almeno, se mai un giorno leggerai questa lettera, saprai che ce l’avevo messa tutta ma tutta tutta quanta.
Vorrei averti qui con me adesso, ma questo già te l’ho detto.
Vorrei vorrei vorrei.
Vorrei trovare trovare per te un nome perfetto, di quelli che le persone quando ti chiedono: “Come ti chiami?”, tu gli rispondi:” Mi chiamo così” e loro ti dicono: “Ma ti sta proprio benissimo questo nome! Sembra creato a posta per te!”.
Vorrei vorrei vorrei.
Vorrei aver studiato un po’ più l’italiano e vorrei aver letto tanti bei libri per scriverti una lettera piena delle parole più preziose del mondo: ma a scuola non ci sono andata mai troppo volentieri.
Poi quando sono morti i nonni ho dovuto sbattermi per cercare un lavoro, e addio cultura! per non parlare del lavoro che alla fine ho trovato, allo Studio Amministrazioni Poggio Ameno: sono sempre alle prese con i conti e le tasse che le persone pagano, altro che parole belle! Ma proprio una ragazza che conosco grazie a questo lavoro, che si chiama
Lidia, un giorno mi ha detto una cosa da rifletterci sù: ha detto “Più sai
usare le parole più ti allontani anziché avvicinarti a quello che vuoi
realmente esprimere”. Quindi sai che che ti dico? Sono felice di non saper scrivere bene per dirti quello che vorrei!
Vorrei vorrei vorrei.
Farti mangiare tutto il cioccolato che vuoi senza che ingrassi (è
buonissimo, il mio preferito è quello al latte).
Che se i compagni di classe ti prendono in giro per qualche motivo, tu pensi che sono sbagliati loro, mica tu.
Fare molti viaggi (io non ho nemmeno il passaporto, ma adesso
me lo faccio perché il mondo là fuori è tantissimo e tu dovrai vederlo tutto, dovrai conoscerlo).
Vorrei che non ti ammalerai mai.
Che non ti spuntano i denti del giudizio (toglierli fa davvero male).
Che ti piacciono i cappelli come piacciono a me, così possiamo collezzionarli insieme.
Vorrei che hai tanti amori di quelli scemi, che fanno girare la testa e
ronzare i calabroni in pancia: tutti non fanno che ricordarmi che l’amore
nella vita non è tutto, e certamente hanno ragione. Ma che ti devo dire? I
giorni più felici che ho passato (senza contare oggi, naturalmente) sono stati quelli che ho passato innamorata. Magari di qualcuno che non ne
valeva affatto la pena, ma che fà? Non c’è cosa al mondo più bella di
svegliarsi in un letto dove non avevi mai dormito prima di quella notte, e
pensare: ecco, in questo momento non mi manca niente.
E quindi vorrei che di quel genere di mattine tu ne vivi tante.
Ma naturalmente che poi, a un certo punto, trovi la persona giusta
(giusta per te: intendo). Io non ci sono riuscita ma ancora ci spero. Il
problema è che gli uomini rimangono incantati quando allo zoo vedono
per la prima volta una giraffa: ma poi a casa preferiscono tenere un cagnolino.
È per questo che vorrei che cresci rara come una giraffa in città, ma con l’istinto domestico del cagnolino: dappertutto c’è del bene, dappertutto c’è del male.
Vorrei pensarti sempre più forte di quello che potrà capitarci.
Insegnarti a cucinare.
A riconoscere i nomi delle piante (anche quelle strane).
Vorrei che trovi un amico come per me è Michelangelo, qualcuno che
mentre tutto il resto gira e cambia, rimane fermo.
Che impari almeno una lingua straniera (io non sò nessuna e mi
sento una deficiente).
Vorrei che leggerai questa lettera quando ne avrai bisogno, così potrà
farti bene come oggi stà facendo bene a me a scriverla.
Vorrei che fino a quel momento tu la tieni con te, in una busta, come
una specie di amuleto magico magico che ti protegge da tutto quello che di brutto
stà là fuori.
Vorrei vorrei vorrei.
Che litighiamo quel poco che basta per capire che siamo davvero
importanti l’una per l’altra.
Che ti crescono i capelli lisci (quelli ricci pare che sono una
scocciatura).
Vorrei che tuo papà fosse un astronauta che cammina sulla luna ma
pensa sempre a noi, e non un uomo come tanti, che abita in via Grotta
Perfetta 315 e una sera di marzo, forse per noia forse per curiosità, nell’ex
lavatoio del sesto piano ha fatto l’amore con me.
Vorrei vorrei vorrei.
Che le infermiere ti portano al più presto qui.
Perché so che tutti i giorni che qualcuno nasce, così come purtroppo
qualcuno muore. Ma che ci vuoi fare? Quando tocca a te credi che è la
prima volta che capita, in assoluto. E oggi mi sembra che nessuna donna,
oltre a me, è mai diventata
Le luci nelle case degli altri ci mostra un modo di guardare il mondo che è scevro da pregiudizi ma che è anche difficile da attuare. Un genitore dovrebbe rispettare gli ideali e le propensioni di un figlio, come il suo orientamento sessuale ad esempio, rispettando a 360 gradi ciò che pensa.
Un genitore dovrebbe avere la forza di comprendere e rispettare un figlio a prescindere da ciò che individualmente si ritiene giusto perché ogni essere umano è un mondo a parte, un insieme di valori, sensibilità e modo di giudicare il mondo che è soggettivo e personale.
La cosa più importante che emerge dalle pagine del romanzo di Chiara Gamberale è che qualsiasi scelta personale non contiene all’interno il sinonimo di giustizia o normalità perché senza azioni che ledono fisicamente il prossimo tutto è giusto, contemplabile e praticabile.
Questo è il senso profondo dell’inclusione cui dovremmo arrivare socialmente e umanamente.
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La Biblioteca di mezzanotte di Matt Haig: i tentavi e i rimpianti di una vita imperfetta
La Biblioteca di mezzanotte è l’ultimo romanzo di Matt Haig edito da e/o edizioni. Il libro affronta il tema della depressione, le occasioni per rimediare agli errori che hanno impedito di condurre la vita per come ci si aspettava o per come se l’aspettavano gli altri per noi.
Nora Seed è la protagonista delle pagine de La Biblioteca di mezzanotte, una donna di 34 anni che tenta il suicidio ma, al risveglio dal fallito gesto, si risveglia in una biblioteca che le offrirà la possibilità di stravolgere la sua vita. È a lei che viene offerta la possibilità di scoprire cosa sarebbe accaduto nella sua vita se avesse fatto scelte diverse, scegliendo tra i diversi volumi all’interno della biblioteca. Ciascun volume, infatti, corrisponde ad una scelta mancata, diversa da quella compiuta in passato.
La Biblioteca di mezzanotte offre a Nora la possibilità di rimediare a tutti gli errori che lei pensa di aver fatto nella sua vita.
Ogni singolo rimpianto che tu abbia mai provato, dal giorno in cui sei nata, è registrato qui.
…
I rimpianti ignorano la cronologia. Vagano qua e là. La sequenza di queste liste varia in continuazione.
Ben presto Nora si rese conto che i rimpianti andavano da quelli quotidiani e di poco conto (“Rimpiango di non aver fatto ginnastica oggi) a quelli più importanti (“Rimpiango di non aver detto a mio padre che gli volevo bene prima che morisse”).
C’erano rimpianto ostinati, la tenti, che si ripetevano su svariate pagine.
…
Alcuni rimpianti erano un pò più sbiaditi di altri. Ce n’era uno che passava dall’essere praticamente invisibile al grassetto per poi sparire di nuovo, come se andasse e venisse, proprio mentre lo guardava.
Prima di poter cambiare i suoi rimpianti, Nora, deve fare i conti con ciascun elemento importante e fondamentale della sua vita di cui si pente. La donna si trova ad essere travolta da un vortice che ha le sembianze di un caos interiore.
Ciascuna cosa che rimpiange la protagonista è realmente qualcosa che avrebbe voluto fare in modo diverso?
E se le nuove scelte che Nora ha a disposizione fossero più sbagliate di quelle intraprese? C’è qualcosa che riesce a spiegare come si può vivere al meglio la propria vita? Esiste davvero una scelta giusta?
Lo potrete scoprire solo leggendo La Biblioteca di Mezzanotte.
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