Alessandra Prete, in arte Priestess, è una cantante e rapper pugliese che si sta affermando nel panorama rap italiano. Nel 2015 viene scoperta dal produttore Ombra perché stava cercando una ragazza che cantasse in inglese alcune tracce del rapper Mad Man. Da quel momento entra nella Tanta Roba, etichetta di musica rap indipendente.

Priestess
Ad aprile 2019 esordisce con il il concept album Brava composto da 14 tracce, ciascuna intitolata con nomi di personaggi femminili che hanno segnato ed influenzato la sua vita. Brava è anche il nome della traccia autobiografica in cui Priestess racconta:
Nata a metà dei ’90
Voce incanta
È un mantra
Ninna nanna
Echi di sirene
Sbirri, sgamano le mie compagne
Compagnie malate beverdì champagne
Sveglia con l’hangover
Mamma le lasagne
Il mio ex in giro, sì, con certe cagne
Lucido le Jordan
Non chiamarle scarpe
Tutte queste Barbie Mattel
Sembrano rifatte
Borsa sotto gli occhi
Borsa Prima Classe
Porto il mondo a spasso
Le mie amiche pazze
Non le vedo più
Priestess, hostess
No stress, relax
Bitches, dress code
Black list, collage
Cartier, Cartdor
Collant, mi amor
Hotline
Eyes wide shut
Kidman Nicole
Takada Kenzo
Tagadà, moon walk
Sto andando a cento
In strada motor sport
Annientamento
Natalie Portman
Caschetto nero
Come Mia Wallace
Scusa se rispondo ma mi trilla l’iPhone
Guarda quante cose nella borsa Vuitton
Sì, ti sto rubando il cuore come Margot
E tu stasera mi vuoi bella e sbronza
Meglio di no
Bomba nella bocca, Listerine
Nella stanza sola lingerie
Faccio un’altra foto identikit
Peccatrice dieci ave Marì
Amen
Tu non credere alle stelle se non sai desiderare
Cuore freddo siderale
In auto Trevis Scott a cento venti
Sulla provinciale
Dai non correre così
…
Non basta essere brava
Non basta essere me
Priestess: Brava audio ufficiale
Priestess tocca temi attuali come l’abuso dell’aggettivo brava perché oggi, per la cantante, non serve poi a granché essere brave in un mondo in cui viene dato risalto ed importanza all’apparenza e alla superficialità.
In Alice, ad esempio, la cantante sottolinea l’importanza di accettarsi per come si è e non per i dettami modaioli del momento, che ci vogliono magre fino all’osso. Lei che rientra nel target delle curvy, ribadisce questo concetto anche nei confronti di chi la vorrebbe diversa, dicendo che il suo desiderio è quello di farsi ricordare per il peso delle sue parole e non per il peso del suo corpo.
Priestess: Alice audio ufficiale
I live di Priestess sono un mix perfetto tra trap, hip-hop e r&b; il suo flow è capace di affascinare anche chi non ama questo genere musicale.
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Gli spaiati di Ester Viola: la recensione
Gli spaiati (2018) è il secondo romanzo di Ester Viola, pubblicato da Einaudi. Il libro è il sequel de L’amore è eterno finché non risponde (2016). Gli spaiati è un romanzo che, per chi si fosse perso il primo libro, ha senso anche da solo perché nonostante i personaggi principali sono gli stessi per entrambe le opere, ciascun libro racconta un mood sentimentale fine a se stesso.
Ester Viola riesce a descrivere il mondo sentimentale femminile odierno, scandito dai social e da quella voglia d’interpretare il minimo dettaglio ovunque e sempre, anche quando non c’è.
Gli spaiati conduce il lettore nella vita sentimentale di Olivia Marni, avvocatessa divorzista, cinica nel valutare le questioni sentimentali dei suoi clienti ma quando deve fare i conti con la proria, di vita sentimentale, sprofonda in un baratro denso di ipocondria sentimentale.
Per definire questa sensazione interiore, prendiamo in prestito le parole di Olivia Marni:
Per me la felicità è sempre stata una cosa a orologeria. Una specie di pericolo, dove gli altri vedono l’ordinaria amministrazione dell’esistenza. Le persone hanno relazioni, io ho l’organizzazione della difesa. Quando sono felice sprofondo. Per me felice è solo un avvertimento, sempre l’anteprima di qualcosa. Della catastrofe, è chiaro. Perciò faccio quello che mi riesce meglio, sospettare delusioni in agguato. E mi preparo per la guerra, non so nemmeno bene contro chi. Insomma, non mi entrano questi vestiti felici.
L’amore è eterno finché non risponde
Olivia Marni: come l’abbiamo lasciata ne L’amore è eterno finché non risponde
Olivia Marni dopo tante vicissitudini sentimentali fatte di illusioni, storie sospese e con cui faticava a mettere un punto, scopre di essere innamorata di Luca Ardenghi, il suo capo.
Forse i grandi amori arrivano per sfinimento. Io ho sprecato quindici anni della mia vita a struggermi per qualcuno che non telefonava. Quindici anni buttati alle ortiche. Mi sono serviti per stancarmi di tutto. È stato allora che è arrivato Luca, e tutto il resto. O meglio, Luca c’era già, ma non in quel senso. Era il mio capo da qualche anno ormai. Comunque, tutto il resto è quel lungo sentiero delle Relazioni Adulte e Funzionanti su cui trovi stabilità. E la stabilità è quel minuto che passa tra la felicità e la domanda: “Tutto qui?”
Ne L’amore è eterno finché non risponde abbiamo lasciato Olivia e Luca con la voglia d’iniziare una relazione che, in fin dei conti, tanto semplice non è: Luca ha moglie e figli. Olivia sa bene che il divorzio serve a definire situazioni patrimoniali, gestione dei figli e rabbia di uno dei due ex coniugi e che lei, in qualche modo, ne subirà le conseguenze.
Gli spaiati di Ester Viola
Olivia Marni ne Gli spaiati.
Luca ha divorziato dalla moglie e quando uno dei due coniugi vede andare il proprio matrimonio in pezzi, nella maggior parte dei casi, le soluzioni sono due: vendicarsi e far soffrire il maggior numero di persone possibili che gravitano intorno alla vita del lasciato e a quella del lasciante o vendicarsi di tutti indistintamente, cambiando totalmente vita.
Carla, la ex moglie di Luca ha optato per la seconda opzione, decidendo di trasferirsi a Milano con i figli per cambiare vita e lavoro.
Ovviamente questa scelta ha toccato anche la riorganizzazione della vita di Olivia che da Napoli si è trasferita con Luca a Milano.
Olivia è felice? Si sente in coppia o una spaiata? Si può essere spaiati anche in coppia?
Lei risponderebbe così:
I felici sono quelli che non si ricordano neanche la data del matrimonio. Gli spaiati sono quelli che in coppia sanno i giorni di immeritata felicità pure senza ricordarsi di contarli.
La vita di Olivia procede normalmente anche se deve ancora abituarsi al clima di Milano, le manca Napoli e quei punti fermi, amici compresi, che ancora non riesce a trovare nella nuova città.
Per quanto riguarda la storia con Luca, loro, sono una coppia che procede come le altre, sono riusciti a trovare dei compromessi e lei ancora non è parte attiva nella vita dei figli del compagno e non sembra preoccuparsene. La vita di Luca è scandita da turni e da tempi che non le appartengono.
Le relazioni con i separati sono un matrimonio al contrario: il nuovo partner subisce l’ordine della vecchia famiglia, deve adattarsi ai tempi degli altri, ai malumori di semisconosciuti. La famiglia di un altro invade la tua esistenza: è come avere una stanza nuova, ma nella loro casa. Un divorzio è solo un amore passato che ha trovato un modo legale di non passare mai. Questo lo capisci quando sei l’altra, la nuova compagna.
Ester Viola descrive uno scorcio di vita vissuta, oggi, da molti: le nuove relazioni all’interno di famiglie allargate, in cui il nuovo arrivato si ritrova a fare i conti con problemi che hanno un peso diverso dai classici e più noti in un rapporto a due. Non si tratta di fare i conti soltanto con le classiche insicurezze e dubbi che nascono in qualsiasi rapporto di coppia ma si tratta di entrare in uno scenario composto da più personaggi che devono intrecciarsi tra loro, cercando di raggiungere un equilibrio che si sintonizza, ogni giorno, su frequenze diverse.
Il secondo romanzo di Ester Viola
Gli spaiati affronta anche il tema dell’ipocondria sentimentale che, in fondo, appartiene un pò a tutti. Viviamo costantemente avvolti nelle nostre insicurezze, abbiamo paura delle relazioni a lungo termine perché, in fondo, lo sappiamo tutti che la felicità è un attimo e che le coppie perfette non esistono.
Come direbbe Olivia:
So che volevo passare da “disperata” a “felice con qualcuno” e non da “disperata” a “persona con famiglia di un altro a carico”. Ma forse dietro ogni grande amore trovi solo grandissimi “nonostante tutto”. Ogni matrimonio, ogni coppia, in fondo è solo una separazione disinnescata.
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Terra di nessuno: il romanzo ambientale di Alberto Di Buono
Il 22 aprile ricorre la Giornata della Terra che rappresenta la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra. La celebrazione di questa giornata nasce nel 1970 e oggi gli ecologisti la utilizzano come occasione per valutare le problematiche del pianeta: inquinamento, distruzione degli ecosistemi e l’esaurimento delle risorse rinnovabili, cercando di promuovere soluzioni che consentano di eliminare o quantomeno attutirne gli effetti causati dalle attività dell’uomo.
Terra di nessuno (2019) è l’ultimo libro di Alberto Di Buono, pubblicato da Graus Edizioni, ed è un romanzo ambientale che porta il lettore a soffermarci proprio su queste tematiche e non solo.
Federico Manfredi è il protagonista del libro e lo incontriamo adolescente mentre curioso cerca di conoscere ciò che lo circonda, attraversando in bici il suo paesino, che si trova in una provincia di Napoli.
Un giorno il ragazzo, in lontananza, scorge un vecchio Castello e inizia a sentire, dentro di sé, un forte richiamo che lo spinge a raggiungere l’antico rudere. Questa sensazione di attrazione si unisce anche ad uno strano timore che il ragazzo non riesce a spiegarsi finché non sente una voce che gli parla con l’accento tipico della sua zona. Quella voce è la voce di Oikos, il vecchio castello, che si rivolge a lui, chiamandolo per nome e invitandolo a non salire per andarlo a trovare perché non è ben disposto nei confronti degli esseri umani.
P’ o’ passato tanti uomini so’ venuti addò me, ma nun m’hanno mai dato problemi. L’hanno fatto sempe cu rispetto. Mo però sò cagnate troppe cose, io nun me fido cchiù ‘e vuje pecché site gente senza valore, me facite paura. Perciò nun voglio avé niente a che fare cu vuje, sto buono accussì, sto buono sul’io.
…
Io vi guardo tutt’ ‘e juorne, saccio buono ‘o rispetto che tenete pe chello ca ve sta attuorno e come v’impegnate a distruggere ogni cosa. Site ‘a specie vivente cchiù pericolosa, riuscite a fà male perfino a vuje stessi. È meglio tenervi ‘a luntano.
Federico Manfredi prende le parole di Oikos come una sfida, si allena strenuamente finché un giorno giunge davanti la vecchia fortezza. Arrivato davanti all’ingresso si sente così piccolo e insignificante e decide di non entrare perché:
Ciò che si ama non si possiede, ma si custodisce.
Dalla sfida superata comprende una lezione che gli sarà utile per il proprio futuro. Il ragazzo apprende che le reali potenzialità dell’uomo si esprimono al meglio solo quando agiscono in armonia con l’ambiente perché assecondare la nostra natura ci rende più forti.
Trascorrono gli anni e Federico Manfredi cresce, abbandona il suo paese e diventa un brillante ingegnere ambientale. Un giorno, all’improvviso, gli giunge un incarico di supplenza proprio in una scuola del suo paese natìo e decide di lasciare la certezza del suo lavoro per avventurarsi nella nuova avventura dell’insegnamento.
Quando arrivò in paese, nella sua vecchia casa ritrovò i mobili, gli oggetti a lui cari e il quartiere della sua infanzia come se il tempo non fosse mai passato, ma non ritrovò nessuno dei suoi vecchi amici, perché la vita li aveva portati altrove a percorrere chissà quali strade. Erano rimasti solo tanti cari ricordi, che come fantasmi vagavano senza meta in quei luoghi raccontando sottovoce di un tempo che fu.
Il paese era cresciuto tantissimo, ma quasi tutte le periferie erano state urbanizzate in modo piuttosto selvaggio, si vedeva chiaramente la mancanza di un’appropriata programmazione urbanistica.
L’ultimo romanzo dello scrittore partenopeo
Federico Manfredi ben presto si rende conto che il suo paesino fa parte della Terra dei Fuochi. Decide di sfruttare la possibilità dell’insegnamento per poter educare al rispetto ambientale i propri alunni e decide di andare a far visita al suo vecchio amico Oikos che gli spiega, con poche parole, le cause di tutto quello scempio:
Qua ci sta ancora tanta gente per bene che la pensa proprio comme a te, ma s’annasconne. Sono tutti quelli che non accettano ‘e regole ‘e chesta società, pecché troppo spesso sç fatte sulo o vantaggio ‘e chi e scrive. Tu devi cercare questa gente e fargli capì che se ognuno fa la sua parte, assieme s’addiventa na forza.
Ccà t’he sta accorto. Non farti abbagliare da quelli che parlano bene e sventolano troppo vistosamente ‘e bandiere ‘e l’ecologia, pecché spisso sò proprio lloro che fanno i danni peggiori. Statte accorto pure a quelli che fanno i consulenti, gli imprenditori e a tanti tuoi colleghi che cercano di vendere pe forza cose inutili sulo pe fà soldi. Occhio a tutti quelli che cu l’ecologia fanno soldi assai, pecché nun so buone. Gli ambientalisti veri non hanno un colore politico e non fanno na prufessione particolare. Sò tutti quelli che tengono na visione del mondo cchiù larga e cercano ‘e mettere in pratica queste loro convinzioni cu nu stile ‘e vita cchiù intelligente.
Per l’uomo inizia la scuola e questa nuova avventura. Dopo aver ascoltato bene le parole ed i consigli di Oikos, Federico Manfredi si rende conto che la cultura che ha il dovere di trasmettere ai propri alunni non è quella solo racchiusa nei programmi scolastici che, a fine anno, certificano la frequenza scolastica ma è un altro tipo di conoscenza.
Durante la settimana inizia a parlare di ecologia e della stretta connessione che intercorre tra uomo e natura, una sorta di equilibrio che regola il mondo perché ogni piccola particella vivente è interconnessa con tutto ciò che ci gravita intorno.
Riuscirà Federico Manfredi a sensibilizzare i propri alunni? Oikos cambierà idea nei confronti dell’essere umano? Queste ed altre informazioni le potrete scoprire solo leggendo Terra di nessuno di Alberto Di Buono.
Ruderi
Terra di nessuno non è soltanto un romanzo ambientale ma racconta anche di vita quotidiana, di una storia d’amore, di coraggio e della capacità che ha ognuno di prendere in mano le redini della propria vita, trasformandola in altro.
Il romanzo di Alberto Di Buono è adatto a tutti ma, a mio avviso, in particolar modo ai ragazzi perché attraverso la scrittura semplice, diretta e talvolta popolare il romanzo è capace di destare meraviglia, speranza e stupore in quegli occhi giovani che hanno ancora tanto da scoprire e da comprendere sul mondo.
Nonostante la tematica ambientalista il libro ci porta a riflettere anche su ciò che stiamo vivendo in questo periodo di pandemia mondiale perché Terra di nessuno ridimensiona la finitudine dell’essere umano, riportandolo nella reale proporzione, misura e dimensione che ricopre all’interno del mondo.
A prescindere dalla nostra intelligenza e dalla capacità che abbiamo di modificare ciò che ci sta intorno, natura compresa, non siamo altro che una parte millesimale di un meccanismo che, appena ne ha la possibilità, è in grado di riprendersi ciò che gli è stato tolto irrispettosamente.
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I cinquant’anni del bar Settebello di Napoli con la mostra della pittrice Nadia Basso
E’ sempre lo stesso rito che si ripete. Ogni volta che torno a Napoli, da turista, è come se all’inizio vivessi in una bolla di sapone, e mi anniento nel caos cittadino a cui non sono per niente abituato. Tuttavia, tale barriera viene via appena il traffico si fa meno intenso e salgo per Calata Trinità Maggiore giungendo nella stupenda Piazza del Gesù Nuovo; mi assicuro che la libreria Dante e Descartes sia ancora lì, poi mi reco nell’illustre chiesa di fronte e mi siedo, in preghiera.
Di solito la mia tappa successiva è via San Sebastiano, la strada degli strumenti musicali e dei liutai, quelli che restano e resistono, ma questa volta mi sono fermato proprio all’angolo, tra questa stradina e via Benedetto Croce, per una cedrata ghiacciata al Bar Settebello.
bar con mostra a Napoli
Il Bar Settebello
Ho letto tanto, nell’ultimo anno, di questo luogo piacevole ed originale, ed ho colto l’occasione per entrarvi e respirare quella particolare atmosfera da circolo bohémien, con i tavolini da tipica terrasse francese, piccoli e tondi. Seduti ad essi un’atipica concezione di genere umano, persone tranquille, di qualsiasi età, che parlano di arte, discutono di politica in maniera neanche tanto accesa; c’è chi si tiene per mano e si guarda vicendevolmente in silenzio, chi resta da solo ed osserva la strada piena di turisti, testimoni di un tempo che lì resta sempre all’apparenza immutato ma porta tuttavia piccoli ma catastrofici cambi di stile; c’è chi si siede al pianoforte addossato alla parete e suona una composizione classica; chi addirittura organizza veri e propri concerti, numerosi musicisti che si susseguono e alimentano d’intensità armoniosa un sito accogliente, un buen retiro a pochi centimetri dalla bolgia di corpi che quasi si sfiorano, indifferenti l’uno all’altro.
Di qua una sensazione di essere a casa, di là il ritorno alle faccende, agli stralci di vita.
Pino De Stasio è alla cassa: non mi sorprendo di trovarlo lì, perché sapevo, sentivo che sarebbe successo presto, quindi sorseggio la bevanda fredda servita dal gentilissimo Ciro e con una scaltrezza che non mi appartiene corro a stringergli la mano. Lui si mostra felice del gesto, ci presentiamo, intanto qualcuno corre a fargli gli auguri, e al mio sguardo interrogativo mi spiega che proprio quel giorno il Bar Settebello compie cinquant’anni.
Probabilmente, se non certamente, l’unica realtà commerciale esistente da mezzo secolo lì nei dintorni, a pochi passi dal campanile di Santa Chiara, e mi accorgo che senza volerlo mi sono calato in un’invidiabile storia fatta di un susseguirsi di passioni, di un compendio di stimoli esposti, di un’esposizione di un pensiero di sinistra non sempre maggiormente combattivo e basta, ma ragionato, teorizzato, francamente esposto non solo nei gesti, nelle dottrine, nel rispetto delle scelte sessuali altrui, nella conservazione dei beni culturali, il tutto come in un’ambientazione da film di Ettore Scola.
Qui vi passò Pasolini, con un seguito di attori, mentre girava la novella Elisabetta da Messina, compresa nel suo Decameron; Pino era un bambino, e all’epoca c’era suo padre ad occuparsi del bar. E così, mentre finivo di bere quel toccasana che mi fa dimenticare la calura esterna, mi è saltata in mente una curiosa casualità. Mentre il 5 luglio del 1969 a Londra, in Hyde Park, i Rolling Stones tenevano il primo concerto senza Brian Jones, il loro fondatore, morto in circostanze misteriose appena due giorni prima e sostituito già da un pezzo da Mick Taylor, a Napoli, nel cuore del centro storico, in via Benedetto Croce, il signor Antonio De Stasio inaugurava il suo Bar Settebello, un luogo che probabilmente neanche lui sapeva sarebbe diventato di culto, proprio come gli Stones.
A Pino spiego la mia idea di scrivere un articolo in occasione del mezzo secolo di vita, e gli chiedo notizie dettagliate, ma lui con un sorriso taglia corto:
scrivi ciò che ti racconta il tuo cuore.
A pochi passi da noi due c’è una mostra temporanea di quadri, di ritratti per l’esattezza.
Sono di un’ammirevole bellezza, di un’esplosione di chiaroscuri colorati, e lì dove c’è luce o ombra c’è l’intensità di uno sguardo, di una vita che vi corre attraverso, del carattere che vi è esposto nel suo mutismo, nella fissità dell’immagine che sembra tuttavia parlarci, interrogarci.
Dipinto di Nadia Basso
Le Icone di Napoli, la mostra dei ritratti di Nadia Basso
“La pittrice è Nadia Basso” chiarisce Pino, poi mi passa degli inviti, mi suggerisce di scriverle.
Ammiro le opere che sono esposte, che abbracciano il pianoforte al di sotto, al centro; in tutto sette, in acrilico su tela 50 x 70 e vi sono ritrattii l’attrice Puella Maggio, il musicista James Senese, l’attrice Sofia Loren, il maestro Roberto De Simone, autore dell’opera lirica La Gatta Cenerentola, Titina De Filippo, Peppino De Filippo, e Totò.
La mostra s’intitola Le Icone di Napoli; a telefono la pittrice è molto contenta del mio interessamento, pur non conoscendomi, mi parla di sé, della sua avventura nel mondo dell’arte, dell’idea della mostra al Bar Settebello. E’stata fortemente voluta anche da Pino De Stasio, oltre che dai coniugi Pasquale Ferrara e Maria Giovanna Visconti, i quali, avendone apprezzato il talento nella precedente mostra interamente dedicata a Totò, in occasione del Maggio dei Monumenti del 2017, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, hanno iniziato a seguirla nelle tappe successive, come la mostra a Palazzo Venezia, sempre dedicata al Principe del Sorriso, accolta con successo dai media e dalle recensioni; una sua opera da street art la si può ammirare al Vico Buongiorno, sempre a Napoli; ha lavorato a ritratti storici e di particolare importanza come, ad esempio, quando ha trattato in una sua esposizione il tema della legalità con i ritratti di Salvo D’Acquisto e Giancarlo Siani; oltretutto lavora in veste di scenografa nel campo del teatro e del cinema; ha insegnato Arte e Immagine in varie scuole del capoluogo.
L’idea dei volti noti della Napoli degli artisti, Le icone di Napoli, sarà in continua evoluzione, mi spiega, e comprenderà, nel giro di sei mesi per volta, un cambio dei sette ritratti esposti precedentemente, per dare valore a chi si merita un posto di riguardo nella mostra, quindi chi giungerà al Settebello, fino al prossimo anno, potrà ammirare ancora questa sorta di esposizione a lungo termine, in tutto il suo splendore, e in un’atmosfera senza pari.
Nadia Basso mi dice con una certa emozione e con un trasporto davvero notevoli:
La mia passione per il ritratto nasce da sempre. Ho sempre amato i volti, immortalandoli nei ritratti, soprattutto quando hanno qualche particolare caratteristica, come nel caso degli attori, che hanno questa espressione sulla quale c’è sempre da indagare, la maschera e il volto umano, tutto insieme.
Vedi Napoli e poi…
Prima di lasciare la Città del Sole passo sempre a Portalba, tra i libri nuovi e vecchi, poi faccio una lunga passeggiata fino a Piazza dei Martiri, per una bevanda al Gran Caffè La Caffettiera e una sosta alla Feltrinelli, per rifiondarmi tra i libri, quelli però delle ultime uscite, e da lì porto a casa qualche disco, che ascolterò in auto mentre correrò a lavoro nella settimana successiva.
Questa volta però, come per evocare un ricordo, sono ritornato in Piazza del Gesù Nuovo, e tra la folla ho riconosciuto Pino De Stasio, indossava occhiali da sole ed era uscito per una breve commissione.
E’sembrato felice di rivedermi. Non ho esitato a dirgli un sincerissimo “grazie”.
E grazie a te, Napoli.
Carmine Maffei