Dio odia le donne di Giuliana Sgrena: lo sguardo di una donna atea

Dio odia le donne (2016) di Giuliana Sgrena, edito da Il Saggiatore, è un libro che analizza, da un punto di vista ateo, il rapporto tra religione e mondo femminile.

La scrittrice si sofferma particolarmente sulle religioni monoteiste, l’intenzione dell’autrice non ha la pretesa di esaurire un argomento così vasto ma desidera sollevare un dibattito, soprattutto in un momento particolare come il nostro, in cui la crisi dei valori conduce ad un bisogno esasperante di spiritualismo e che, molto spesso, sfocia nei fondamentalismi a scapito di spiritualità più moderate.

Se pensiamo al concetto della spiritualità e lo incanaliamo all’interno delle religioni, ragionando criticamente e oggettivamente, ci si rende conto che le religioni di moderato nelle loro ideologie hanno ben poco.

Giuliana Sgrena si sofferma nell’osservare come la sudditanza e l’espiazione appartengano prevalentemente alle donne, basti pensare ad Eva.

Perché sono solo le donne a dover espiare? Perché i credenti – in base alla Bibbia – ritengono che il male sia una conseguenza del peccato originale. Ed essendo stata Eva a cadere in tentazione e a mangiare il frutto proibito offerto poi a Adamo, è la causa di tutti i mali.

Il libro mostra come le donne vengono oppresse dall’integralismo dei tre monoteismi, che seppur diversi in molte pratiche e credenze, tendono a limitare e cancellare i loro diritti.

In Dio odia le donne più volte viene menzionato, ad esempio, l’emancipazione dal velo che costituisce un elemento sociale per poter cercare un lavoro e quindi di una vita indipendente dignitosa e non subalterna.

Non bisogna guardare molto lontano o ad altre religioni, basti pensare allo svuotamento progressivo della legge 194 sull’interruzione di gravidanza, agli anatemi sull’aborto e alla sempre eterna condanna verso ogni forma contraccettiva.

Dio odia le donne di Giuliana Sgrena

Copertina del libro di Giuliana Sgrena

Dio odia le donne: trama

Dio odia le donne pone l’accento sull’importanza e la stretta connessione vigente tra società e religione e già dall’inizio del libro, infatti, si parte con un paradosso.

Siamo nel 1954, a parlare è una bambina, Giuliana Sgrena da piccola, che frequenta le elementari in una scuola pubblica. Il padre era stato partigiano, all’epoca non era una cosa apprezzata.

Suor Natalina, sua maestra, non condivide l’orientamento politico del padre o ciò che avesse fatto, per lei è semplicemente comunista. Questa sua disapprovazione si manifesta attraverso azioni collettive attuate in classe dalla maestra quindi sulla bambina che osserva con queste parole ciò che quotidianamente le accade:

A me piaceva andare a scuola e studiare, ero anche la prima della classe, ma ogni volta che entravo in aula mi sentivo male: la suora faceva sempre recitare una preghiera prima dell’inizio delle lezioni (mattino e pomeriggio) e chiedeva a tutti i bambini di pregare per me.

Per me che, secondo la maestra, vivevo in un inferno, che avevo per padre il diavolo in persona. Era un incubo per una bambina di sei anni. Io stavo bene con la mia famiglia, avevo un buon rapporto con mia madre – probabilmente solo una vittima secondo la maestra, che infatti non infieriva mai contro di lei – e anche con mio padre; come poteva essere un demone? L’essere comunista non gli aveva mai impedito di mandarmi a scuola dalle suore e nemmeno di battezzarmi, anche perché senza battesimo sarei stata discriminata.

Dio odia le donne si snoda come una sorta di “romanzo enciclopedico” in cui vengono unite esperienze personali a citazioni e dettami religiosi. Questo tipo di lavoro fatto dalla scrittrice serve appunto per indurre ad un ragionamento critico. Il suo vuole essere un invito a soffermarsi non solo sui paradossi religiosi ma sull’influenza che questi hanno nella società tutti indipendentemente che si abbia o meno un orientamento religioso e non lo si abbia affatto.

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