L’educazione è il substrato della convivenza, il laboratorio in cui vengono sperimentate le forme di vita possibile. È per questo che il capitalismo cognitivo si è assunto con molta serietà il compito di assaltarne tutti gli ambiti: l’educazione
formale e la informale, le risorse, gli strumenti, le metodologie. Le sue varianti presenziali e virtuali.
L’infanzia e la formazione permanente. L’educazione non è solo un grande affare. È un campo di battaglia in cui la società distribuisce, in modo disuguale, i suoi futuri.
Dicono i pedagogisti che bisogna cambiare tutto, perché il mondo è cambiato per sempre. Questa affermazione
nasconde le domande che ci fanno più paura: a cosa serve sapere se non sappiamo come vivere? Perché apprendere se non possiamo immaginare il futuro? Queste domande sono lo specchio in cui non vogliamo rifletterci. Non avere risposte ci fa sentire vergogna ed è sempre più facile sparare contro maestri ed educatori.
Come vogliamo essere educati? Questa è la domanda che una società che voglia guardarsi in faccia deve avere
il coraggio di condividere. Ci riguarda tutti. Siamo tutti apprendisti nel laboratorio in cui si sperimentano le forme
di vita possibili.
Ancora una volta Garcés legge i grandi problemi del nostro tempo attraverso la lente dell’analisi filosofica. E il risultato
è stupefacente e illuminante.
Marina Garcés: biografia
Marina Garcés (Barcellona, 1973) è filosofa e docente ordinaria all’università.
Attualmente è professoressa alla Uoc (Universitat Oberta de Catalunya), dove dirige il Master di Filosofia sulle sfide del
mondo contemporaneo. Ha pubblicato diversi libri per una lettura filosofica di molti problemi dell’attualità. Per Nueva
Ilustracion radical (Il nuovo illuminismo radicale, Nutrimenti, 2019) ha ricevuto il Premio Città di Barcellona di saggistica.
Dal 2002 promuove il progetto di pensiero collettivo “Espai en blanc” (Spazio in bianco). Il suo pensiero è la dichiarazione di un impegno nei confronti della vita come problema comune. Per questo sviluppa la sua filosofia come un’ampia sperimentazione con le idee, l’apprendimento e le forme di intervento nel mondo attuale.
Il libro sarà disponibile nelle librerie a febbraio.
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Tempi Moderni presenta la grande mostra fotografica Sguardi. Lelli e Masotti
Continua, fino al 4 giugno prossimo, la grande mostra fotografica Sguardi. Lelli e Masotti che abiterà le stanze e i saloni di Palazzo Fruscione (Salerno). Organizzata dall’associazione Tempi Moderni e curata da Silvia Lelli con Tempi Moderni, Sguardi racchiude le opere frutto di oltre 40 anni di carriera di Silvia Lelli e Roberto Masotti la coppia – nella vita e nel lavoro – di fotografi ravennati di nascita e milanesi d’adozione, che ha saputo raccontare il mondo delle performing arts e della musica attraverso la sensibilità del loro sguardo.
Come scrive il direttore scientifico Alfonso Amendola:
Lavori fotografici che nascono per specifiche occasioni o eventi o accadimenti ma che nel tempo si condensano dentro uno spazio di visione che davvero ha capacità di sfidare gli orizzonti del tempo. Un lavoro poderoso e infaticabile, quello di Lelli e Masotti, che ha dato origine a un archivio di immagini talmente esteso, ricco e importante da avere indotto il Ministero dei Beni Culturali a dichiararlo, nel 2018, “bene di interesse storico”.
La mostra Sguardi si suddivide in tre sezioni: Musiche/Kontakthof-Kontrapunkt/Nucleus che a Palazzo Fruscione saranno declinate nei tre piani:
Musiche (fotografie di Lelli e Masotti). In questa sezione si scava nell’archivio di Lelli e Masotti che, come scriveva Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale di Milano che nel 2019 ospitò la grande mostra:
È una miniera inesauribile di conoscenza e di memoria che consente di ricostruire e rivivere quasi mezzo secolo di storia del teatro, della musica, della danza, di performing arts, di vedere “all’opera” migliaia di personalità, di avere una visione puntuale anche dei cambiamenti sociali e culturali che si sono verificati. Una sezione composta da 109 fotografie e un’installazione video dal titolo Musiche Revisited.
Kontakthof – Kontrapunkt (fotografie di Silvia Lelli). La sezione è composta da 20 opere fotografiche e ripercorre la storia di 3 rappresentazioni in 30 anni, del celebre lavoro dedicato alla complessità dei rapporti uomo-donna della coreografa e regista tedesca Pina Bausch.
Leonetta Bentivoglio, così descrive il lavoro della Lelli:
Le foto che rappresentano il frutto del viaggio di Silvia attraverso i tre “Kontakthof”, definite da una beltà essenziale e vigorosa, mai affettata o patinata, ci danno un’ottica in più sulla sostanza di quella specie di monumento al teatrodanza che è lo spettacolo di Pina nato nel ‘78. Lo sguardo della fotografa non si limita a registrare l’attimo, ma ce lo fa vedere tramite il filtro di una sensibilità per così dire “aggiuntiva”.
Nucleus (fotografie di Roberto Masotti). La sezione è un omaggio al lavoro di Roberto Masotti e al suo rapporto di lungo corso, professionale e umano, con il cantautore catanese Franco Battiato, scomparso nel maggio 2021.
L’esposizione è una anteprima internazionale e si compone di 16 scatti, che, come scrive Carlo Maria Cella, sono un viaggio nel tempo, dai primi anni 70, in cui Battiato si forma e si afferma nel mondo della musica, fino al 1997 dei grandi concerti, in cui i fan di quasi tre generazioni, comprese alcune nemmeno nate quando certe canzoni erano state scritte, lo innalzano nel cielo delle stelle fisse.
Sguardi – Musiche / Kontakthof-Kontrapunkt / Nucleus e Racconti del Contemporaneo VII Edizione, sono ideati, curati e organizzati dall’Associazione Tempi Moderni e promossi e finanziati da Regione Campania, Comune di Salerno, Camera di Commercio di Salerno e sponsor privati, con il patrocinio di Regione Campania, Comune di Salerno, Università degli Studi di Salerno, Università Alma Mater Studiorum- DAMS- di Bologna, Fondazione Ebris e in collaborazione con il Teatro Verdi.
La Mostra fotografica Sguardi è in collaborazione con Marta Cannoni e Livia Corbò – Photo Op, Milano.
Si ringrazia il Ravenna Festival.
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Napoli: Ermione di Rossini in scena al San Carlo
Ermione è una delle opere più difficili di Gioachino Rossini, il cui intento era quello di portare in scena una proposta teatrale drammatica e caratterizzata da un forte realismo. Dopo ben 31 di assenza, era il il 1988, Ermione ritorna in scena al teatro San Carlo di Napoli.
Il 27 maggio del 1819, sempre al San Carlo di Napoli, ci fu il debutto dell’opera di Rossini, che fu un fiasco per l’eccessiva tragicità dell’opera, cui il pubblico non era abituato. Da quel momento Ermione non venne più ripresa in nessun teatro fino al 1977 quando, sotto forma di concerto, la tragedia venne ripresentata dinnanzi al pubblico nella Chiesa dell’Annunziata a Siena.
Dal 7 al 10 novembre Ermione ritorna a Napoli con la regia di Jacopo Spirei e viene ripresentata in occasione dei 200 anni dalla sua prima assoluta.
Come afferma lo stesso Jacopo Spirei:
Ermione è un’opera di scelte: amore, dovere, potere e follia. A che cosa si è disposti a rinunciare pur di ottenere quello che si vuole? Si può sacrificare il bene di una nazione per un interesse privato? E per amore? In quest’opera tutti sacrificano tutto e sono disposti a pagare un prezzo altissimo per le proprie scelte.
Rossini, attraverso Ermione, cerca di mettere in rilievo e interpretare le debolezze dell’uomo, quelle stesse che esasperandolo lo conducono a fare scelte estreme. Protagonista, contrariamente ai classici stereotipi della tragedia classica greca, non è un vincitore ma un perdente sconfitto.
Ermione: l’opera teatrale
Troia è stata sconfitta da Pirro, principe degli Achei, che decide di portare con sé alcuni prigionieri troiani tra cui Andromaca, vedova di Ettore, di cui lui è follemente innamorato. Pirro vuole che Andromaca diventi sua moglie anche se, questi, ha promesso di sposare Ermione, figlia di Menelao, che venuta a conoscenza delle intenzioni del suo promesso sposo viene colta da sdegno e implacabile gelosia.
La tragedia è divisa in due atti.
Il primo atto si apre con un coro di prigionieri troiani che lamentano la sconfitta e la distruzione della loro città. Nel coro c’è Andromaca disperata e inconsolabile per la morte del marito Ettore, di cui rivede continuamente il volto. A tormentarla c’è Attalo, confidente di Piro, che continua ad insinuarle le intenzioni amorose del principe che, in cambio del suo amore, le promettere di salvare la vita a suo figlio Astianatte, accettandolo come figlio, qualora dicesse di sì alle nozze. Se Andromaca dovesse accettare le nozze come la prenderebbero gli Achei nel sapere che il successore al trono diventerebbe il figlio di Ettore, acerrimo nemico dei Greci? La possibilità di una nuova guerra, sarebbe un’ipotesi da tenere in considerazione.
Ermione incontra finalmente Pirro, che la umilia e proprio in quello stesso momento viene annunciato l’arrivo di Oreste, capo dei condottieri greci e innamorato di Ermione ma non corrisposto dalla donna, che vuole far ragionare il principe acheo, ricordandogli di rispettare i patti.
Pirro afferma con veemenza le sue intenzioni anche ad Oreste e annuncia il suo matrimonio con Andromaca, che però rifiuta la mano del principe. Pirro infuriato ritorna sui suoi passi, decidendo di sposare Ermione e di consegnare Astianatte ai condottieri greci.
Nel momento stesso in cui Pirro sta per consegnare il bambino, Andromaca gli supplica di darle del tempo per cambiare idea. Pirro si rallegra mentre l’ira pervade Ermione, che ha come unico sentimento quello di vendicarsi dell’affronto subìto.
Il secondo atto si apre con Attalo che comunica a Pirro che Andromaca ha deciso di sposarlo. La notizia giunge anche ad Ermione che, in preda al delirio e alla rabbia, approfittando dell’amore che Oreste nutre per lei gli chiede giustizia per il torto infertole da Pirro. Ermione vuole che Oreste uccida Pirro e che le porti, come prova dell’uccisione, il pugnale intriso del sangue della vittima.
Il giovane innamorato segue alla lettera le parole di Ermione, uccidendo il principe. Pilade, infuriato per la morte di Pirro, minaccia il linciaggio per vendicare l’omicidio. Ermione maledice Oreste mentre viene portato via in preda al delirio.
Ermione: direzione e interpreti
La tragedia che verrà presentata al Teatro San Carlo di Napoli si avvale della seguenti figure direttive:
Direttore: Alessandro De Marchi
Maestro del Coro: Gea Garatti Ansini
Regia: Jacopo Spirei
Scene: Nikolaus Webern
Costumi: Giusi Giustino
Luci: Giuseppe Di Iorio
Assistente alla Regia: João Carvalho Aboim
Per quanto concerne l’interpretazione teatrale
Ermione, Angela Meade / Arianna Vendittelli (10 novembre)
Andromaca, Teresa Iervolino
Pirro, John Irvin
Oreste, Antonino Siragusa
Pilade, Filippo Adami / Julian Henao (10 novembre)
Fenicio, Guido Loconsolo / Ugo Guagliardo (10 novembre)
Cleone, Gaia Petrone
Cefisa, Chiara Tirotta
Attalo, Cristiano OlivieriOrchestra e Coro del Teatro di San Carlo.
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La coerenza di Ulisse
Chi è l’uomo spinto dal suo demone interiore? Quel demone rappresenta quell’inclinazione che costringe l’essere umano a proseguire la sua strada, restando fedele a se stesso nonostante il dolore che arreca a sé e agli altri. Nell’immaginario collettivo questa capacità è rappresentata dall’autogovernarsi e dunque la condizione esistenziale ad essere responsabile delle proprie decisioni è raffigurata dal mito di Ulisse.
Durante il suo pellegrinaggio, durato dieci anni, Ulisse incontra creature bellissime che, però, deve sempre abbandonare per seguire il suo destino. È come un richiamo inconscio ma troncare gli affetti rappresenta un modo di voltare le spalle al mondo che ciascuno si costruisce e ciò, se vogliamo, è terribile perché non c’è altra giustificazione se quella di restare fedeli a se stessi. Dunque questa modalità di agire equivale ad un tradimento. Ciò a cui Ulisse si sottrae, voltando le spalle alle persone che incontra durante il suo viaggio, rappresenta il pensiero collettivo perché tradisce il pensiero comune e le aspettative della gente. In situazioni come questa può subentrare il rimorso, si può essere assaliti dai sensi di colpa ma la recriminazione peggiore per Ulisse sarebbe quella di non fare la cosa giusta.
Nel momento stesso in cui nasciamo, veniamo eterodiretti prima dai progetti dei nostri genitori e, successivamente, dall’ambiente in cui viviamo. Solo quando operiamo delle scelte personali diventiamo autodiretti e le cose intorno a noi iniziano a cambiare perché noi iniziamo a cambiare.
La nostra capacità di riuscire a trasformarci consiste, soprattutto, nell’ascoltare la voce dell’inconscio che custodisce l’irriducibile desiderio della realizzazione individuale. Per questo motivo, ogni essere umano è unico, ogni conflitto interiore è personale. Di fronte al conflitto, la persona implicata si ritira dal mondo, chiudendosi dal mondo e dagli altri.
La guarigione psicologica avviene attraverso una presa di coscienza della situazione che è utile, a far uscire la psiche dal suo torpore, per arricchire la vita di un senso di cambiamento e di avventura. Per questo motivo tutti noi siamo come Ulisse perché cerchiamo una nuova visione interiore che sia più ampia. Una visione capace d’interpretare e di fornire di nuovi significati il mondo relazionale in cui siamo immersi. Questo avviene quando superiamo gli attaccamenti dell’io e ciò si verifica quando cerchiamo di ampliare ciò che crediamo di essere, andando oltre il personaggio statico nel quale ci siamo identificati.
Quando ci sentiamo infelici è probabile che non stiamo agendo in conformità alle nostre attitudini e facciamo finta di non sapere quali siano. Coltivare le nostre inclinazioni ha un effetto prodigioso sulla psiche e ci fa sentire realizzati ma dobbiamo prima individuarle. Il rischio è quello di negare queste parti nascoste per uniformarci ad una realtà che ci porterà a vivere una vita mediocre perché delineata da ideali che non sono i nostri.
Fare emergere le nostre aspirazioni, significa far emergere i frutti della pianta che siamo ma, per rifiorire e fruttificare, bisogna che il guscio si apra. C’è bisogno di una porta aperta.
Chi è capace di aprire le porte della psiche? È l’eros perché quando lui apre le porte riusciamo a percepire il mondo e le nostre attitudini si possono manifestare. Per aprirsi all’altro l’io deve destituirsi, ha bisogno di laterarizzarsi per potersi rapportare a quegli aspetti oscuri della nostra personalità.
L’io comincia davvero a sapere quando si lascia accompagnare dalle immagini dell’inconscio, nelle quali si esprime la parte tenebrosa e scura della personalità. L’immaginazione quindi diventa un luogo intermedio di incontro e reciprocità, un luogo per superare le resistenze.
Quando superiamo le resistenze, la psiche si apre ed emerge un segreto custodito nel profondo. Il viaggio, quello di Ulisse non può esistere senza coinvolgimento affettivo. Non ci può essere viaggio e quindi creazione di ciò che siamo.
Questo, il talento dell’eros, che grazie al coinvolgimento affettivo sfida la paura, erotizza la paura e la attraversa. L’eros feconda il caos dentro di noi.
Come dice Carl Gustav Jung:
Accettai il caos e l’anima mia mi visitò.
È il processo individuale che implica una visione dell’uomo come essere tendente ad uno scopo che è quello di trovare la sua unicità. In questo tendere, tollerando l’accettazione della nostra ombra per diminuire la coazione difensiva a causa della paura della vita.
L’eros ci mette nello stato d’animo di accettare e rischiare tutto.
Jung affermava:
La trasformazione si ottiene con la follia dell’amore, che è una dimensione dinamica capace di portare l’inconscio alla luce.
E allora è piuttosto l’incapacità di amare che ci impoverisce, rendendoci sterili. Chi non ama vede il mondo come insignificante, ecco perché Freud arriva ad affermare che la libido conferisce alla realtà vitalità e bellezza. D’altra parte sempre Freud ci ricorda che l’umanità ha sempre sacrificato un pò della felicità in cambio di un pò di sicurezza.
Capovolgere gli assunti per vedere l’invisibile a caccia del desiderio inconscio.
L’intento è quello di aprire una finestra sulle dinamiche inconsce e ricordare che dall’atteggiamento creativo nasce il coraggio di vivere, che implica la consapevolezza della propria particolarità e di quell’incolmabile particolarità e di quell’incolmabile distanza che ci separa dall’altro ma che nello stesso tempo ci rende unici.
Il fine ultimo non è la meta il viaggio.
Si cambia quando ci si accosta al simbolico perché l’inconscio è poetico e si mostra metaforicamente. Solo allora possiamo revisionare e rileggere il nostro essere nel mondo. L’atteggiamento affettivo di tipo artistico esiste e conta veramente tanto. Se l’inizio del pensiero è il disaccordo, non solo con gli altri ma anche con noi stessi, bisogna dubitare di se stessi e del proprio pensare.
Dovremmo domandarci quale istanza in noi governa il nostro pensiero? Sarebbe il primo passo verso la verità e sciogliere così i falsi nessi tra le cose.
Gli schemi mentali non portano a qualcosa di costruttivo, la sfida di Ulisse è quella di andare oltre. Ulisse naviga per andare altrove, parlando e raccontandosi in un modo rinnovato supera se stesso.
One comment on “Scuola di apprendisti di Marina Garcés”
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