È stato pubblicato il terzo video estratto da “Teresa”, quarto album solista Marcello Giannini. Il chitarrista torna con un lavoro solista dove la ricerca musicale, specie chitarristica, è dettata dalla voglia di ritornare ad un suono più crudo e primitivo, più legato al rock, al blues e alle chitarre morriconiane.
Dichiara Marcello Giannini:
Ogni disco che pubblico a nome mio è come un diario di viaggio sulla mia personale ricerca musicale e sugli ascolti e incontri musicali che faccio durante gli anni. Quest’ultimo lavoro nasce dalla necessità di riscoprire il lato più semplice della composizione dopo le collaborazioni con Nu Genea (Nu Guinea) e il produttore Seb Martel in occasione del disco 31Salvitutti di FLO.
Questi incontri mi hanno ispirato e ho avuto il bisogno di creare una musica meno legata al mondo jazz-rock ed elettronico e di lavorare ad una musica fatta di armonie semplici e strutture più simili alla forma canzone.
Teresa, pubblicato dalla label NoWords in formato digital e vinile 180gr., gode della collaborazione dei migliori musicisti del circuito jazz rock napoletano: Marco Castaldo, che ha registrato il 90% delle batterie, Andrea De Fazio e Stefano Costanzo alle restanti batterie, Michele Maione alle percussioni, Pietro Santangelo al sax, Derek di Perri all’armonica, Riccardo Villari al violino, Paolo Petrella al contrabbasso e Stefano “Mujura” Simonetta al basso elettrico.
La copertina dell’album è a cura di Andrea Bolognino artista che ha creato l’opera video che accompagna il brano “Elementi“.
Bolognino è un poliedrico artista napoletano che ha fatto della sperimentazione il suo credo. Da sempre a contatto con il polimorfo campo di indagine della creatività, ad attrarlo fatalmente verso l’arte è stato un incessante bisogno di sperimentazione e produzione nell’ambito del visivo. Molte le collaborazioni, residenze artistiche e impegno Accademico come nel mondo dell’illustrazione e fumetto.
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Nazisti a Cinecittà di Mario Tedeschini-Lalli
Quattro nomi e almeno una dozzina di film, legati tra loro dalla storia e in parte dal caso, in un gioco di specchi tra ciò che è veramente stato e ciò che si rappresenta, tra vita, morte e intrattenimento.
Il pomeriggio del 24 marzo 1944 nelle cave di pozzolana della via Ardeatina, alle porte di Roma, si consumò la più grave delle stragi naziste in Italia.
Trecentotrentacinque ostaggi furono uccisi, cinque a cinque, con un colpo alla nuca. Per dare “il buon esempio” ai subalterni, con il primo gruppo entrarono il comandante delle SS di Roma, il tenente colonnello Herbert Kappler, e il maggiore Borante Domizlaff. Diciassette anni dopo, il nome di Domizlaff comparirà nei titoli di testa di uno dei più celebri film italiani del dopoguerra “Una vita difficile” di Dino Risi: a lui è affidata la parte di un militare tedesco fucilatore di partigiani.
In quello stesso pomeriggio del 1944, entrò per sparare nelle cave ardeatine anche il responsabile della rete spionistica delle SS a Roma, il maggiore Karl Hass. Diciannove anni dopo, anche lui reciterà nella parte di un ufficiale delle SA in un altro celebre film del dopoguerra, “La caduta degli dei” di Luchino Visconti.
Dalle Fosse Ardeatine a Cinecittà, dalla divisa nazista indossata per uccidere alla divisa nazista indossata per fare cinema. Borante Domizlaff e Karl Hass, due ufficiali delle SS che il 23 marzo 1944 spararono agli ordini di Herbert Kappler, riappaiono, con altri ex ufficiali tedeschi, nella produzione di alcuni dei più celebri film italiani del dopoguerra. Il primo, assolto nel 1948, resterà negli anni fedele a Kappler, aiutandolo nella fuga dall’Italia nel 1977. Il secondo, sfuggito al primo processo arruolandosi nei servizi segreti americani e italiani, sarà raggiunto dalla giustizia solo cinquant’anni dopo e condannato all’ergastolo.
Nel frattempo, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tutti e due sbarcarono il lunario anche interpretando ‘sé stessi’, in parti da militare tedesco, in film come Una vita difficile di Dino Risi, La ciociara di Vittorio De Sica, Tutti a casa di Luigi Comencini, La caduta degli dei di Luchino Visconti. E non furono i soli.
Nazisti a Cinecittà nasce da una scoperta casuale che ha dato il via a una lunga ricerca tra carte di servizi segreti, cineteche, archivi privati e interviste a famigliari. Un racconto che a tratti si tinge di giallo, una finestra su una realtà paradossalmente ‘normale’ dell’Italia del dopoguerra: il ‘nazista della porta accanto’ tornava utile per raccontare il nazismo.
Mario Tedeschini-Lalli: biografia
Mario Tedeschini-Lalli si è a lungo occupato di giornalismo digitale e multimediale all’interno del gruppo Espresso. Storico contemporaneista di formazione, è autore di saggi sugli anni italiani di Saul Steinberg e sui rapporti tra
fascismo e mondo arabo. Ha scritto, con Pietro Del Re, In viaggio con Poirot (Minotauro, 1995), guida letteraria ai romanzi di Agatha Christi -
La foresta invisibile è il nuovo romanzo di Maria Elisabetta Giudici
La foresta invisibile è il nuovo romanzo di Maria Elisabetta Giudici pubblicato da Castelvecchi Editore all’interno della collana Tasti. Protagonista del libro è una preziosa collana nata da un ramo che è stato strappato via da una foresta sottomarina.
La collana è un prezioso dono d’amore di un pescatore siciliano alla sua donna che, dopo un viaggio di cento anni fatto in tutta Europa, giunge a Parigi. Giovanni è uno dei protagonisti de La foresta invisibile, è un uomo prigioniero delle sue indecisioni che si ritrova all’interno di un complotto.
Giovanni rimase qualche istante con il respiro sospeso e alzò gli occhi verso Shimon che l’osservava compiaciuto. Con un rapido gesto della mano, l’uomo scansò bracciali e spille e in silenzio estrasse dal fondo una collana di preziose sfere di corallo, tenute insieme da un sottile filo intrecciato.
Un cameo pendente e alle estremità due manine d’oro che si agganciavano tra loro, come in un’affettuosa stretta di mano, completavano quello splendido gioiello.
È il pezzo più economico che ho, anche se il corallo è purissimo e il cameo sembra uscito dalle mani di un artista. Non conosco la storia di questa collana né la provenienza ed è mia abitudine sbarazzarmi velocemente di oggetti di razza sconosciuta anche a costo di svenderli. Che io sappia potrebbe essere portatrice di sventura o addirittura di morte… comunque devi avere un bel gruzzolo per portarla via, oppure possiamo fare un baratto.
La foresta invisibile: la trama
Intanto il 29 maggio del 1796 una corallina di tre fratelli stava procedendo lentamente nelle acque di Capo San Vito. Salvo, Alario e Pinuzzo Incandela tirarono una grande foresta di corallo dalle acque.
La grossa partita di corallo fu venduta ad un ricco corallaio Tano Giacalone, ericino di origine ma cittadino da anni di Torre del Greco.
Salvo si innamora di Immacolata Schiavone, una ragazza bruna e bellissima, fabbricava unguenti di bellezza per la pelle, sapone alle mandorle e polveri da trucco che vendeva alla prostitute del porto.
Tra i due nasce una forte passione che spinge Salvo a giurare amore eterno a Immacolata. Tornato a Torre del Greco il pescatore si reca dal corallaio Tano.
La piccola cassaforte di ferro si aprì con un giro di chiave. Tano ne estrasse un cofanetto di velluto rosso melograno.
Il filo di perle rosso aranciato che conteneva si chiudeva su se stesso con un fermaglio a forma di due manine d’oro.
Tano lo aveva reso ancor più prezioso con un pendente di piccoli fiori di giglio dello stesso metallo. Vi aveva incastonato un magnifico cameo sfumato di arancione, con su inciso il profilo di Afrodite, stagliato su un panorama marino.
A causa di Rania, un’altra donna, Salvo lascia Immacolata gettandola nella disperazione più profonda. Quale sarà il ruolo della collana e del ruolo di Giovanni lo si potrà scoprire solo leggendo La foresta invisibile.
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Nel corpo della Voce: l’antologia con i quattro poeti irpini
Dite la verità: preferireste, sulla bacheca Facebook, che un vostro amico intellettuale posti un pensiero chiaro e definito di una sua impellente incazzatura o, piuttosto, lo ammirereste di più se pubblicasse le ragioni della sua rabbia attraverso dei versi poetici che lascino intravedere una certa dose di stile, reprimendo così uno sfogo più diretto se non volgare?
Probabilmente non fatichereste a scegliere la prima opzione ed è normale.
Mettiamoci la curiosità, la fretta del manovrare così bene il feed, la voglia di chiarimenti netti e precisi, o più che altro la svogliatezza di andare a comprendere “tra le righe” ciò che il vostro amico stia realmente cercando di spiegarvi, inteso in versi, in una metrica.
Perché in fondo sforzarsi di capire la sua filosofia con un intreccio di rime e periodi smozzati?
Di sicuro se sfogliassimo la raccolta di poesie Foglie d’Erba del poeta americano Walt Whitman, concentrandoci, ci accorgeremmo della sua linea di pensiero, anche se non sempre espressa con chiarezza, semplicemente studiando le sue parole, e ne verrebbe fuori comunque un’incazzatura rivolta sì con un certo stile, così soave da sembrare incanto, ma ciò non toglierebbe che in fondo la sua ira somiglierebbe molto a quella del vostro amico, se tradotta in ermetici sentimenti condivisi.
Tutto sta, dunque, nel sapersi far comprendere, ma con garbo, magari facendosi accettare con uno sfogo poetico.
Ma si sa che tutto ciò risulterebbe troppo difficile, dispendioso per noi che non abbiamo mai tempo, che non ci concentriamo bene su ciò che potrebbero rappresentare davvero un verso, un libro, una foto d’autore, un componimento di musica classica, un romanzo, una poesia.
E a proposito di poesia, nella prefazione all’antologia poetica Nel Corpo della Voce (Controluna), la professoressa Elena Deserventi ha espresso con chiarezza quanto sia stato importante il suo compito nel dover svelare i misteri che dei versi possono contenere, nella musicalità di un periodo, di una “stanza”, come anche negli orifizi che corrono tra una pausa e l’altra, nella capacità filosofica non sempre chiarissima che un autore vuole cercar di far capire e che, eppure, stringe ancora nel suo pugno, indeciso sul da farsi.
E’ così difficile comprendere una poesia?
Elena Deserventi ha iniziato proprio così il suo percorso, il suo compito in questo universo parallelo, “social”, che porta il nome di Facebook, e che molto spesso nasconde più insidie che piaceri. Inchiniamoci, intanto, al pensiero di Umberto Eco, riguardo il mondo social, e l’affermazione che anche un” imbecille”, oggi nel web, possa sentirsi nel diritto di parola quanto lo potrebbe essere un premio Nobel. Proprio per questo occorrerebbero salvaguardie, tutele nei confronti di chi, in una giungla di definizioni volgari e lerce, trova il suo rifugio nella comprensione delle sue composizioni, o addirittura nel riconoscimento di un dono indiscutibile.
La missione della prof.ssa Deserventi, quindi, è stata (ed è) innanzitutto guidare noi lettori nella giusta direzione verso cui una poesia di valore vorrà indirizzarci, e come lei stessa chiarisce il tutto, nella prefazione del libro, ci risulta ancor più semplice poi, saperci misurare con i dieci poeti, ognuno con due poesie pubblicate, e valutarne l’effetto stimolante di un pensiero artefatto, e quanto potrà quest’ultimo impressionarci e in che modo, alla fine, conquistarci.
Ecco cosa ci spiega:
Nelle poesie entrano la realtà del mondo e dell’uomo odierni, con implicazioni negative o positive; la fugacità del tempo e la labilità delle cose umane; la funzione del ricordo, il nostro destino di uomini, l’aspirazione alla libertà, l’amore (e la donna) nelle varie sfaccettature, il desiderio di coinvolgere corpo e anima nel godimento della vita, la bellezza del mito rivisitato e interpretato alla luce di istanze nuove.
Memorizzate bene questi nomi: Federico Preziosi, Maria Gabriella Cianciulli, Armando Saveriano, Davide Cuorvo. Sono i quattro poeti irpini che partecipano con le loro opere nell’antologia “Nel Corpo della Voce”, dando così uno spazio meritevole al nostro panorama, che molto spesso viene misurato con un’identità che non gli appartiene, ma che invece, contiene nella sua autenticità, nei suoi paesaggi, nella sua cultura la giusta sapienza nel saper comunicare in versi, in uno stile che non nasconde, anzi, esalta la carezza che una parola, una composizione in versi, possono far immaginare la ricerca di un compito così responsabile come l’adattamento delle nostre origini nella continuità eterna di una poesia.
Federico Preziosi, originario di Atripalda e docente d’Italiano a Budapest, esprime così i suoi pensieri, nell’entusiasmo della sua partecipazione alla raccolta poetica:
Essere coinvolto in questa iniziativa è stato molto interessante, innanzitutto perché ho sempre pensato che fosse un’ottima idea lanciare un’antologia che raccogliesse alcuni degli autori più meritevoli che si possano trovare su Facebook. Spesso si pensa che da lì non possa nascere qualcosa di buono. Questa è invece un’opera unica nel proprio genere, non è la solita antologia dove i poeti pagano per figurare: rappresenta uno spaccato della poesia odierna che dai social network coltiva l’ambizione di andare tra la gente, attraverso attività che verranno promosse in sedi fisiche.
Il coinvolgimento della prof.ssa Elena Deserventi nasce dalla sua frequentazione di due gruppi Facebook che ospitano numerosissimi poeti contemporanei italiani, molto spesso pochissimo conosciuti ma non per questo meno capaci di altri, Poienauti e Versipelle, in cui ha iniziato il piacevole compito di commentare le opere pubblicate, delucidando così il lettore che si accingeva a leggere i versi e cercare di capirne il senso. Da qui quindi l’idea di una pubblicazione in cartaceo, dove il compito è proseguito ma in cui, bisogna pur dirlo, una realtà parallela come quella dei social ha preso finalmente il sopravvento sulla realtà, coinvolgendo in essa i suoi protagonisti, donando loro la capacità di confrontarsi a tutto spiano con l’autenticità e non con il fittizio, l’inutile inettitudine dei finti educatori, moralisti.
Giuseppe Cerbino, uno dei massimi cultori di poesia e amministratore del gruppo Poeti Italiani del ‘900 e Contemporanei, cura la postfazione e ci illumina con la capacità di farci comprendere l’importanza di quanto un’opera simile possa influire sul panorama culturale italiano, in quella spesso difficile realtà che racchiude personalità molto spesso interessanti, ma già dimenticate ancor prima di essere scoperte, ed è proprio per questo che il progetto Nel Corpo della Voce farà una sorta di tour promozionale, portando i suoi autori tra la gente, e non nascosti dall’apparente sicurezza di uno schermo piatto.
Il poeta salernitano Alfonso Gatto, scomparso nel 1976, amato da Montale e Pasolini, diceva:
Poco può il poeta per l’intelligenza dell’opera sua: là è soltanto la sua chiarezza.
Carmine Maffei
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