Il borgo di Torrioni si trasforma in “villaggio del vino” in occasione dell’evento “Torrioni Wine House”. Sabato 1 e domenica 2 ottobre musica, arte popolare, teatro e stand enogastronomici all’insegna della qualità e dell’accoglienza.
Sabato 1 ottobre si comincia alle ore 18 con lo spettacolo teatrale “Il Racconto Di…Vino” a cura di Nicola Le Donne, a seguire A Paranza r’o Lione in concerto seguiti da Mimmo Miglionico & PietrArsa. Domenica 2 ottobre dalle ore 12 baccanale in piazza e pigiatura a tempo di musica popolare con il gruppo itinerante Folk Band. Alle ore 16 musica popolare con I Figli di Cibele.
Torrioni Wine House è promosso dal Comune di Torrioni nell’ambito del POC Campania 2014-2020 Azione 4 “Giugno 2019 – giugno 2020”, in partneriato con i Comuni di Chianche, Castelvetere sul Calore, Montemarano, Paternopoli e Taurano, con la direzione artistica di Roberto D’Agnese per Omast Eventi.
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L’arte del vestire di Frida Kahlo
L’abbigliamento per Frida Kahlo era una forma di arte attraverso la quale esprimere non solo la propria personalità e femminilità, ma anche la storia, la tradizione, i valori e perfino l’amore per Diego.
La scelta degli abiti, come degli accessori e dei gioielli, aveva per Frida chiari riferimenti: per l’abbigliamento prediligeva i capi tipici della cultura tehuana messicana, mentre per i gioielli la scelta ricadeva soprattutto su elementi della natura, il tutto sempre rivisitato e riadattato al suo gusto personale e alle esigenze di un fisico ferito.
Gli elementi preponderanti della cultura tehuana messicana nella scelta dell’abbigliamento sono da ascriversi alle origini materne e non stupisce che una donna come Frida potesse amarla.
Quella tehuana, in Messico, fu l’unica cultura matriarcale, in cui le donne erano indipendenti e orgogliosamente lavoratrici. Dopo l’incontro con Diego Rivera, Frida unì allo stile tradizionale elementi della cultura precolombiana di cui il marito era appassionato.
Lo stile di Frida divenne così un melange di elementi in cui si fondavano il vintage con il moderno con un risultato inconfondibile di vivacità, carattere, originalità che non passavano inosservati e che l’hanno consegnata alla storia.
Numerosi anche gli stilisti internazionali che nel tempo le hanno reso omaggio con collezioni di abiti di successo, da Ricardo Tisci, Jean Paul Gaultier, Moschino, Dolce&Gabbana, Missoni, Givenchy, Valentino e Alberta Ferretti, solo per citarne alcuni.
Lo stile di Frida Kahlo esprimeva anche ideali politici, con la fierezza di indossare simboli di una cultura popolare. Allo stesso tempo, l’arte del vestire diventava elemento delle sue opere: negli autoritratti la simbologia della moda tehuana e dei colori trovava una corrispondenza nell’emozione rappresentata.
La mostra a Palazzo Fondi propone una ampia galleria di modelli ispirati al look di Frida, curata dalla fashion designer messicana Milagros Ancheita dopo un attento lavoro di ricerca su fonti testuali e fotografiche.
Si va dal completo in stile più casual, molto usato da Frida e indossato in numerose fotografie, ad abiti per occasioni più formali, fino alla mise indossata a New York, nella sessione fotografica del 1939 con il fotografo di moda e suo amante Nickolas Muray. Di quel lavoro, nel 1992 la rivista Vogue Messico ripropose in una copertina celebrativa una delle fotografie in cui Frida indossava un abito floreale.
Mantelle, copricapi, cinture completavano sempre il look di Frida, insieme a gioielli e accessori di bigiotteria realizzati a mano, molto spesso con grandi pietre naturali e gemme preziose, combinate con oro o argento, altre volte con conchiglie, semi, legno e altri elementi della natura. Molti dei suoi gioielli erano realizzati con gemme o altri oggetti portati in dono da amici dopo qualche viaggio.
L’omaggio degli artisti contemporanei a Frida Kahlo: i busti
La mostra Il Caos Dentro pone anche l’accento sulla fama e la vasta eco che Frida Kahlo ha tutt’oggi nel mondo. Tra le testimonianze raccolte, anche quelle di sette artisti contemporanei autori di altrettanti busti in gesso dipinti. Obbligata dalle condizioni fisiche, Frida dovette usare il busto per tutta la vita, per sostenere la colonna vertebrale. Tra i busti presenti in mostra, anche la riproduzione uno adornato con il motivo della falce e martello e il bambino in grembo.
Altri, invece, sono frutto di una libera interpretazione, come quello che celebra il legame tra Frida e Diego.
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Appuntamento al Gaveli con Lontano da qui,
film d’essai di Sara ColangeloContinuano gli appuntamenti al Gaveli multisala con i film d’essai: mercoledì 13 marzo verrà proiettato Lontano da qui (2018) di Sara Colangelo. La rassegna dei film d’autore è stata curata da Velia Giannuzzi e da Donato Cella e permette ai cinefili di avere un approccio meno convenzionale e più impegnato con film considerati di nicchia o che non sono stati distribuiti adeguatamente nei cinema della zona.
Lontano da qui è un lungometraggio che riesce a toccare varie tematiche come quella della disillusione sociale, della speranza perchè c’è sempre qualcuno capace di ovviare i qualunquismi, facendo la differenza.
La pellicola ruota intorno a Lisa Spinelli (Maggie Gyllenhaal), una maestra d’asilo mediocre con la passione per la poesia e dotata di una sensibilità interiore capace di scorgere il talento altrui. La maestra intravede delle potenzialità artistiche in Jimmy Roy (Parker Sevak), un bambino dell’asilo che ogni tanto sembra cadere in una sorta di trance e inizia a recitare poesie.
Lisa Spinelli decide di spronare la capacità artistica del bambino, cercando di educarlo e in qualche modo di difenderlo da una società troppo superficiale per poter comprendere il suo talento.
Questa lotta ideale di Lisa la condurrà ad oltrepassare i limiti della sua professione e, molto spesso, si ritroverà sola e incompresa.
Cosa si nasconde dietro tutto questo ardore che sfocia in esasperazione e accanimento contro tutti? La disillusione che anima la maestra è nei confronti dell’età adulta o riguarda l’insoddisfazione di una vita personale che lei avrebbe voluto vivere in tutt’altro modo rispetto a ciò che è?
Per scoprirlo bisognerà guardare il film.
Lontano da qui riesce a mostrare allo spettore sia la speranza che la disperazione di alcune situazioni, senza mai cadere nel patetico o nello scontato.
Il lungometraggio si sofferma sulla poesia, genere letterario che oggi si apprezza sempre meno, perché sembra esserci poco spazio per l’immaginazione o per la sensibilità dell’effimero. È un lavoro cinematografico che vuole dare importanza alle pieghe della vita, analizzando le zone d’ombra e trasformandole in immagini disturbanti e malate.
La solitudine è sempre tempo passato con il mondo?
Sara Colangelo con Lontano da qui ha vinto il Premio per la Miglior Regia al Sundance Film Festival 2018.
Gaveli d’essai: prossimi appuntamenti
Ippocrate di Thomas Lilti: 2o marzo
L’incredibile viaggio del fachiro di Ken Scott: 27 marzo
La donna elettrica di Benedikt Erlingsson: 3 aprile
Troppa grazia di Gianni Zanasi: 10 aprile
Il complicato mondo di Nathalie di David e Stéphane Foenkinos: 17 aprile
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Rattatata di Alfredo Speranza
Rattatata è un mosaico di storie che transitano da Porto Giordano, un minuscolo lembo di terra insediato in un’ansa del Tevere, dove si spalanca una Roma poco nota e dalle molteplici facce.
A Porto Giordano vivono personaggi che conosciamo attraverso i racconti dello Scrittore, il protagonista, che decide di osservare, scoprire, e appartenere a quell’umanità: la coppia di anziane e memorabili sorelle, Lidia e Faustina, Bruno lo sfasciacarrozze, Pryma la badante fuggita dalla Costa D’Avorio, Carina e il marito Bacchisio, il cameriere anziano del bar Pedrelli, ritrovo di intellettuali e pseudo tali.
Porto Giordano è anche lo scenario che fa da sfondo ad una potente epica dei ratti, impegnati in un’impietosa lotta per la sopravvivenza, spinti – nella loro immediatezza e istintività – dalle stesse ragioni prime che da sempre muovono il genere umano.
Rattatata è un testo curioso e innovativo, un romanzo circolare – o come preferisce definirlo l’autore orbicolare – dove le varie vicende, di uomini e ratti, si inanellano e s’intrecciano l’un l’altra. Una scelta narrativa coraggiosa, che ci conduce nel paradosso di due esistenze che per un momento corrono in parallelo, quella di uno scrittore intento a cercare una nuova forma del suo romanzo e quella di una Ratta impegnata a salvare il suo popolo.
Le storie di Speranza sono storie di migrazione in un’accezione molto ampia – di uomini, di topi, di scrittura – in una Roma sorprendente, descritta con linguaggio allusivo e attento.
Quella di Alfredo Speranza è un’architettura narrativa che intreccia sapientemente passato e presente, geografie e storia: una scorribanda tra realismo e fantasia che, senza mai cedere a facili didascalismi o moralismi, sceglie piuttosto l’ironia, il paradosso, la dolcezza, la musica della lingua: tutto per guardare in faccia cos’è migrare di chilometri o millimetri per noi umani.
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