In occasione dell’anniversario del terremoto che colpì l’Irpinia il 23 novembre 1980, Laika project proporrà alla città di Atripalda “6.9”, una performance artistica di Andrea Matarazzo. L’artista riprodurrà in modo originale quei tragici novanta secondi utilizzando un carboncino che si consuma sulla carta per l’intera durata del terremoto. Il foglio bianco, quindi, si trasformerà nel medium che connette terra e foglio, come un sismografo.
L’emozionante evento – patrocinato dal Comune di Atripalda e reso possibile anche grazie alla collaborazione del Collettivo Amataria e di Mood Records Srl – si svolgerà il 23 novembre, alle ore 19:34, a Piazza Di Donato (alle spalle della cattedrale di Sant’Ippolisto).
Andrea Matarazzo: chi è?
Andrea Matarazzo è incisore e performer. Dopo il Diploma Accademico di II livello in Grafica d’Arte, partecipa a numerosi premi di grafica e incisione, come il Premio Nazionale delle Arti di Torino, la XIII Biennale di Grafica e Arti di Castelleone e il III Concorso Xilografia Ugo Maffi Città di Lodi. È tra i vincitori della terza edizione de “I giardini di Via Caravaggio” allo YAG Garage di Pescara. Dal 2019 è membro del collettivo Regno di Amataria insieme ad altri artisti e performer irpini.
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Avellino: Davide Morganti incontra
il pubblico al PartenioCaina (2016) è un film di Stefano Amatucci tratto dall’omonimo romanzo di Davide Morganti.
Per il ciclo La voce dell’autore, promosso dallo Zia Lidia Social Club, lo scrittore ed il regista hanno incontrato il pubblico al cinema Partenio, dopo la proiezione del film.
Caina è un film che affronta la tematica dell’immigrazione da un punto di vista diverso e in cui non c’è spazio per la pietà o per la compassione. I protagonisti non crescono umanamente, restando fedeli a loro stessi dall’inizio alla fine perché non ci sono vinti e vincitori. La fotografia è cupa ed essenziale, aderisce perfettamente nel dare quella chiave di lettura lontana dalla catarsi e vicina al distacco emotivo.
La trama di Caina nasce dalla fusione de Il trovacadaveri (2010), un monologo di Davide Morganti e del romanzo sopracitato. L’intento con cui prende vita il lungometraggio non è quello di affrontare il tema dell’immigrazione ma è quello di mostrare lo scontro razziale, evitando il classico cliché narrativo con persecutori e vittime.
Altro tema presente in Caina e molto caro a Davide Morganti è quello religioso: la fede spesso viene vista e percepita come un elemento che supporta il dolore. Nel film, invece, la diversità di orientamento religioso associata all’ignoranza e alla povertà d’animo porta alla diffidenza e alla xenofobia.
Protagonista del film è Caina (Luisa Amatucci), una trovacadaveri, che incarna alla perfezione tutti i luoghi comuni beceri, esistenti nella società di oggi. È una donna che crede di essere sempre nel giusto, non mette mai in discussione il proprio pensiero, restando chiusa nel suo microcosmo fatto di supposizioni infondate e profonda non conoscenza di ciò di cui sta parlando.
Caina rispecchia l’essere umano medio, convinto di sapere e conoscere tutto senza studiare o senza approfondire argomenti di cui intende parlare o per cui intende battersi.
Il film, sotto alcuni aspetti, è disturbante perché scuote senza lasciar spazio alle domande, mostra senza voler essere sovrainterpretato ma semplicemente desidera essere osservato per ciò che è e che sta mostrando in tutta la sua datità.
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Gite fuori porta con il MEC a Morimondo per la Festa del Latte
Dopo due anni di pausa forzata causa Covid, torna domenica 24 e lunedì 25 Aprile 2022 in quel di Morimondo l’attesissima Festa del Latte: una due giorni che, all’ombra di delle più belle abbazie romaniche d’Italia, offre l’occasione per acquistare direttamente dai produttori latte, yogurt e formaggio oltre che assistere alla produzione.
Giunta alla dodicesima edizione, la Festa riprende dal Calendario Ambrosiano una tradizione molto antica che vede la celebrazione, il 23 Aprile, di San Giorgio patrono dei lattai. Una data importante per allevatori e caseari perché in quel giorno dell’anno si usavano siglare i contratti di fornitura del latte. Come? Con la dolcezza del pan de mej ai fiori di sambuco preparato per l’occasione e accompagnato dalla panna liquida preparata dai lattai per i clienti.
Morimondo, città slow e bandiera arancione del circuito Borghi Più Belli d’Italia, ospita da oltre un decennio questa manifestazione che attira sempre un folto pubblico di curiosi e foodies impenitenti.
Tra i protagonisti della manifestazione anche il Mercato Enogastronomico della Certosa con il suo catalogo di eccellenze a chilometro vero presenti in via XXV Aprile a partire dalle 10:00 del mattino: prodotti da forno, pane, frutta e verdura, miele vino, confetture, salumi d’oca e offelle di Parona, solo per citarne alcuni.
Festa del Latte: programma
In programma anche passeggiate in campagne e mercatini degli hobbisti: a partire dalle 12 di domenica e di lunedì apertura dei punti di ristoro (panini con salame, salamella o gorgonzola e risotti alla pilota e della tradizione).
Alle 14:30 di domenica gli organizzatori propongono una camminata di 2 chilometri e mezzo nel verde, destinazione Cascina Fiorentina, luogo del vecchio caseificio; mentre alla stessa ora di lunedì una camminata guidata per i fontanili.
Nel pomeriggio di domenica, poi, una dimostrazione di produzione di formaggio primo sale che lunedì sarà tutta dedicata ai bambini con un laboratorio promosso dall’Associazione Pane e Mate.
Il Corteo per la Festa della Liberazione si terrà lunedì alle 16:00.
Abbazia di Morimondo
Abbazia di Morimondo
L’Abbazia di Morimondo fu fondata nel 1136 dai cistercensi provenienti dal monastero francese di Morimond, i quali, trapiantati in Lombardia, conservarono il nome della loro abbazia madre (da “mora”, parola della bassa latinità = palude). La basilica, sorta in periodo successivo alla costruzione del monastero (dal 1182), è oggi il monumento di maggior importanza di Morimondo.
Rispecchia il disegno delle chiese cistercensi voluto da S. Bernardo: grandiose e solenni in contrasto con l’austerità e la povertà della vita dei monaci, cui è attribuito il merito di aver intrapreso l’opera di bonifica e valorizzazione agricola del territorio. L’esterno in mattoni è in stile gotico francese con elementi romanico-lombardi.
La facciata presenta un taglio a capanna; il portale è preceduto da un pronao (porticato posto davanti alla chiesa) aggiunto nel 1736. Un rosone centrale, bifore, aperture cieche e altre a cielo aperto definiscono la parte superiore, coronata da una fila di archetti che continuano sui fianchi. L’interno di forma basilicale, a 3 navate su pilastri con volte a crociera, con transetto e abside rettangolare. Opere: entrando a destra si nota una magnifica acquasantiera trecentesca con rosoni e teste fantastiche. Degno di nota il coro, commissionato dai monaci di Settimo Fiorentino, stabilitisi a Morimondo nel 1490, all’intagliatore abbiatense Francesco Giramo, che lo concluse nel 1522. Si compone di 70 stalli divisi in 2 ordini; negli scranni sono raffigurati motivi simbolici.
Sul fianco destro della chiesa si apre il chiostro, dove affacciano le varie parti del monastero, più volte riprese e rimaneggiate nel tempo. Il lato est è il più antico, con la sala capitolare, il sovrastante dormitorio, il “parloir” e la “sala di lavoro” dei monaci. Sul lato sud si affacciano il “calefactorium” (unico locale riscaldato) e il refettorio. L’ala dei conversi, lato ovest, è quella che ha subito maggiori trasformazioni.
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Volevo essere una vedova: l’ultimo romanzo di Chiara Moscardelli
La scrittrice Chiara Moscardelli dopo Volevo essere una gatta morta (2011), il suo romanzo d’esordio, nel 2019 cambia prospettiva, pubblicando per Einaudi Volevo essere una vedova.
L’elemento predominante, in entrambe le pubblicazioni, è la sferzante comicità con cui la scrittrice riesce a descrivere dettami sociali universalmente sottointesi, mostrandoli in modo reale e strappando un sorriso nel lettore.
Chi è la gatta morta per Chiara Moscardelli?
La gatta morta per Chiara Moscardelli è quella donna che nella vita sentimentale riesce a realizzare il proprio obiettivo: quello di accasarsi. Nasce con questo scopo da perseguire nella sua vita, crescendo affina le sue arti seduttive e riesce finalmente a portare a casa lo sventurato di turno.
Usando le stesse parole della scrittrice:
La gatta morta è una micidiale categoria femminile. Non fa battute divertenti, sta in disparte, non esprime opinioni. Ha paura dei thriller, le pesa la borsa, non fa uscire il suo ragazzo con gli amici, non si concede mai al primo appuntamento, neanche al secondo e al terzo e fin da piccola ha un solo scopo: il matrimonio.
A trent’anni Chiara Moscardelli crede che la gatta morta possa essere l’unica chiave d’accesso più congeniale, per poter trovare quell’equilibrio sentimentale formato da due individui che decidono di condividere gioie e dolori.
A quarantasei anni le prospettive della scrittrice cambiano, insieme all’aiuto del suo analista, e la sua unica aspirazione indotta dalla società con cui si rapporta quotidianamente è quella di voler essere una vedova, per evitare di essere guardata, usando le parole dell’autrice, come si guarda una che è in attesa del trapianto di un organo che non arriverà mai.
Ecco uno, tra i tanti episodi, in cui Chiara Moscardelli si è imbattuta e che le hanno messo l’idea di voler essere vedova.
Ero di fronte all’ennesimo ortopedico.
-Sposata?- mi chiese, non appena mi sedetti di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo.
-No.
-D’accordo- disse pensieroso continuando a digitare.
-Gravidanze?
…
-No.
-Anni?
-Quarantasei, – sussurrai.
-Come?
-QUARANTASEI.
…
-No, scusi, – mi corressi, tornando a respirare, – non ne ho ancora quarantasei! Mi sembrava strano… siccome li faccio tra pochissimo, quarantesei intendo, mi è venuto spontaneo dirlo, ma non è così!
– Allora scrivo quarantacinque. Però gravidanze niente. Mi conferma?
-No, in effetti no. Cioè sì, glielo confermo.
-Mmm.
-Senta, scusi. Ho per caso sbagliato medico?
-Prego?
-Voglio dire, lei è ginecologo?
-Certo che no. Che glielo fa credere?
…
-Proseguendo con le domande, perché niente gravidanze? Qualche malattia? Impedimento? Sa, il tempo è tiranno eh!- E quest’ultima frase la disse facendomi anche l’occhiolino.
…
Ero vecchia. Ecco cosa stava cercando di dirmi. Come tutti.
Come mai? Come mai avevo quarantacinque anni e non avevo figli?
L’ortopedico non si sarebbe accontentato di una semplice risposta. Era un tipo tosto, si vedeva. -Sono vedova! – gridai.
…
-Questo mi addolora. Così giovane…
…
A quaranticique anni ero vecchia, ma in quanto vedova, invece…
Per la sua età (46 anni), infatti, sembra strano anche all’ortopedico che non sia sposata, divorziata, convivente e che, addirittura, non abbia figli.
L’età di una donna nell’immaginario collettivo deve essere scandita da tappe socialmente accettabili e che ne diano un’immagine rassicurante, dunque, anche l’idea della divorziata, paradossalmente, rientra nell’accettazione sociale di questo status sentimentale perché implica il retropensiero che comunque qualcuno l’abbia scelta, storto morto.
Volevo essere una vedova non ha come focus principale quello di puntare il dito contro una società giudicante, sorridendoci semplicemente sopra. Chiara Moscardelli, nelle pagine del romanzo, pone l’attenzione su altro punto da tenere presente, che è quello più importante: l’accettazione di se stessi.
Mi spiego meglio: la società potrà basarsi anche su dettami morali opinabili ma, se questi dettami pesano a tal punto nella nostra vita da simulare un’immagine più congeniale per gli altri, questo è in primis un problema nostro e di quegli stessi retaggi sociali e culturali che non riusciamo a scrollarci di dosso.
L’esempio più banale potrebbe essere quello di credere nel lieto fine dei rapporti sentimentali, che ci è stato inculcato dalle favole mentre la verità è che il lieto fine non va cercato in una seconda persona ma semplicemente in noi stessi.
Citando le parole di Chiara Moscardelli:
La lezione più importante è proprio questa: siamo noi il nostro lieto fine, il nostro ballo di Cenerentola. Il vissero per sempre felici e contenti esiste, solo non è quello che ci hanno raccontato. Ecco la vera favola.
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