Sarà l’effetto della primavera o la favella senza freni degli avellinesi, di certo Avellino è la città del sorriso in questo giorno che precede le elezioni.
Su Avellino splende il sole, un sole che ride. Dai dati raccolti dall’Osservatorio socio-economico è possibile già stilare la top 10 delle località più sorridenti della città, ovvero luoghi dove accoglienza, cortesia e disponibilità sono di casa, a partire da piazza Libertà.
A rispondere alla ricerca un campione di età compresa tra i 18 e i 64 anni, prevalentemente composto da donne (62%), con titolo di studio universitario (55%), libero professionista (58%).
L’ottimismo, la simpatia e la passione per il basket sono i valori indicati come prioritari da tutti gli intervistati.
Nello specifico, è proprio il sorriso il valore aggiunto dei rapporti umani che i candidati costruiscono con gli elettori, seguito dalla disponibilità ad offrire informazioni sulle attività proposte per la città. Il 32% del campione si è detto pienamente soddisfatto su questo punto.
Tra gli strumenti scelti per indirizzare la preferenza al primo posto si attesta il passa parola, ovvero i giudizi di amici e conoscenti sul candidato.
Infine una nota di costume, per due intervistati su tre il candidato individuato e scelto sulla base di foto e informazioni pubblicizzate, si è rivelato all’altezza delle aspettative iniziali.
Il sogno di un paese più giusto, più solidale e più tollerante; il sogno di un paese più riformista e innovatore, non è forse il sogno di una vita più bella e sorridente?
Ed ecco che Avellino ritrova il sorriso nella concordia pacifica e operosa dei cittadini che si preparano a fare festa nelle urne.
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La disobbedienza civile
Ad iniziare l’anno in bellezza, in un Paese nel quale nessuno si preoccupa più di svolgere le proprie funzioni, ma tutti si sentono in dovere di esprimere giudizi su vicende che escono dalle proprie competenze, ci hanno pensato in maniera egregia Leoluca Orlando e la variopinta armata di Sindaci che, a lui accodatisi, hanno annunciato l’intenzione di non applicare la parte del D.L. Sicurezza relativa ai migranti.A condannare con sicura severità democratica, invece, le perplessità di quanti avevano immediatamente giudicato almeno come anomala l’annunciata decisione da parte dei già ribattezzati sindaci ribelli, di non applicare una legge dello Stato, ci ha pensato solerte l’intero mondo dell’informazione omologata, col conforto dell’onnipresente Associazione Nazionale Partigiani e di altre rappresentativissime quanto necessarie sigle associative, che, con fiero richiamo al principio della disobbedienza civile, tosto ha consacrato, nelle scorse 48 ore, i vari Orlando, De Magistris e compagnia cantante, quali italici Ghandi e Luther King.Per quanto suggestivo tale richiamo possa apparire, vorremmo però sommessamente far notare a questi signori Sindaci ed a quanti hanno corso a celebrarne le gesta, che l’uscita di Leoluca & C. sta al concetto di disobbedienza civile, come i proverbiali cavoli a merenda.L’espressione disobbedienza civile (Civil disobedience) proviene dal titolo del famoso saggio del 1849 dell’americano Henry David Thoreau, nel quale l’autore descrive la sua scelta di rifiutare di pagare le tasse, ed il suo conseguente arresto, come forma di protesta contro lo schiavismo praticato negli stati del Sud e la guerra di conquista in Messico, tenuta ai tempi dal governo del suo Paese.Nel suo scritto Thoreau teorizza che è ammissibile non rispettare le leggi quando queste vadano in direzione contraria alla coscienza ed ai diritti dell’uomo, gettando così le basi di quei principi di resistenza non violenta destinati a caratterizzare tante tra le più importanti lotte politiche del secolo scorso.Da allora in poi, non a caso, il termine disobbedienza civile viene utilizzato per indicare tutte le azioni che prevedono la consapevole e plateale violazione di una data norma di legge, considerata particolarmente iniqua, da parte di un singolo, o più spesso, da parte di un gruppo di persone, finalizzata a rendere immediatamente visibili ed operative le sanzioni previste dalla legge per i trasgressori della stessa.Un tipico esempio di questa forma di lotta politica era rappresentata, ad esempio, nel secolo scorso da tutti gli antimilitaristi che si facevano arrestare come renitenti alla leva, non presentandosi alla chiamata militare.Il concetto quindi può riassumersi nella scelta da parte di un individuo, di essere sanzionato personalmente, trasgredendo una norma, per una finalità dimostrativa.Si tratta dunque di un singolo che sceglie di compiere un’azione individuale (anche se contemporaneamente ad un gruppo di altre persone) e di pagarne in maniera pubblica le conseguenze.Quando un sindaco, che è, per definizione, l’organo monocratico a capo del governo di un comune, ordina ad i propri uffici di non applicare una legge dello Stato, non sta compiendo un atto di disobbedienza civile: al contrario si sta avvalendo del principio di autorità derivante dalla propria carica nei confronti dei propri sottoposti per mettere in discussione un altro principio di autorità a lui superiore.Nel caso specifico non c’è un cittadino che disobbedisce alla norma per protestare, ma c’è un’istituzione che si oppone ad un’altra gerarchicamente superiore mettendo in discussione l’ordinamento.Più che ai principi di democrazia richiamati in questi giorni, riteniamo quindi che l’uscita di Orlando possa iscriversi più tranquillamente alla lunga tradizione di insofferenza nei confronti dell’ordinamento democratico, che, atavicamente caratterizza la sinistra di questo Paese, in omaggio all’antico adagio secondo il quale la democrazia ed il suo ordinamento sono sacri solo quando a governare siamo noi.Sabino Morano -
Comunità, Singolo e Contesto
L’art. 3 della Costituzione chiarisce il concetto di comunità intesa come luogo di sviluppo, crescita e compensazione sociale:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».La comunità va analizzata, quindi, attraverso i suoi quattro fattori identitari: culturale, economico, sociale e territoriale. Il fattore culturale è un sentimento morale innato e ben radicato all’interno. Il fattore economico, invece, risente della crisi e dell’impotenza dello Stato di fronte ai grandi processi finanziari, creando un processo a catena. La crisi del fattore economico, infatti, si ripercuote sul sociale, provocando una crisi di rappresentanza politica. Unico argine alla crisi di rappresentanza è dato dalla domanda di diversità legata ai luoghi: fattore territoriale. La comunità territoriale è legata all’identificazione nel luogo. Ognuno, pur nella propria diversità di interessi, è legato a uno stesso contesto. Ogni comunità, in sintesi, per essere tale deve avere un’ispirazione territoriale, un bisogno di materializzarsi. Per risolvere la crisi della comunità intesa come luogo occorrono due approcci: uno economico e l’altro compensativo rivolto alle aree più svantaggiate. Un terzo approccio, definito processo innovativo, punta a un comunitarismo metodologico: comunità come luogo di identificazione e trasformazione. Dal confronto, dal conflitto e dai principi costitutivi dello Stato riparte la comunità e si trasforma.All’interno di una comunità, gli intellettuali pensano e i politici agiscono. Il voto è l’unico vero rito formale della comunità. Il singolo non è solo all’interno di una comunità se la politica riesce ad associare al rigore del comando una funzione di servizio.La comunità viene studiata dagli intellettuali come programma e fenomeno. La Comunità può essere intesa come fabbrica, comunità non fatta per vivere ma per creare sviluppo. La comunità viene studiata anche come luogo di gruppo: comunità fondata sulla socialità e sul vivere bene. La comunità italiana ha scelto di essere fabbrica. Seguendo il mito dello sviluppo, ha lentamente ceduto il passo al primato del singolo. L’imprenditore privato si è sostituito allo Stato per creare sviluppo. Il processo di privatizzazione è ormai compiuto e irreversibile. Chi crede ancora nell’interventismo statale, resta imbrigliato in logiche politiche. La Comunità deve essere intesa come luogo in cui vivere bene e creare sviluppo. La riscoperta dell’altro porta alla fuga dalla gabbia del soggettivismo e innesca il processo di ricomposizione del tessuto sociale.Erminio Merola -
Tatarella, Caldoro e il centrodestra in Campania
Il centrodestra in Campania è alla ricerca di una guida che, in tempi non certo facili, dovrebbe provare a tenere unite le varie anime della coalizione per condurle fuori dalla minorità. Al centrodestra campano, insomma, serve un uomo, un politico, che si rifaccia all’insegnamento di Pinuccio Tatarella: il politico che negli anni ’90 riuscì a unire il 65% degli elettori italiani dichiaratamente non di sinistra, l’uomo che in Campania spianò la strada a Stefano Caldoro, cucendogli addosso la coalizione di centrodestra.
Molto presente a Napoli negli anni di “Mani pulite” e animatore instancabile del “Roma”, che rilevò da Achille Lauro per associarlo all’attività politica di Alleanza Nazionale, Tatarella pensava di andarsi a riprendere i voti in libera uscita del mondo socialista e per questo chiamò il giovane Stefano Caldoro.
Come ci riportano le cronache del Tempo, fu proprio nella sede napoletana del quotidiano, in via Chiatamone 7, che Tatarella e Caldoro si incontrarono per la prima volta:
Faceva già caldo quella mattina alle sette. Stefano Caldoro arrivò un po’ furtivamente in via Chiatamone 7, a Napoli e citofonò all’appartamento dove riservatamente si stava mettendo su, nell’agosto del 1996, la redazione del Roma.
«Chi è?», gli chiese una voce. «Sono Stefano Caldoro, ho un appuntamento con Italo Bocchino».
Il portone si aprì e arrivando all’ingresso di quella casa, l’ex deputato socialista non fece in tempo nemmeno a suonare al campanello che gli si spalancò la porta.
Gli apparve Pinuccio Tatarella che gli disse: «Prego, s’accomodi. L’onorevole Bocchino sta ancora dormendo. Io sono l’uomo delle pulizie».
Fu quello il primo passo. Il centrodestra era uscito sconfitto dalle urne e l’era dell’Ulivo e di Romano Prodi erano al massimo dello splendore. Tatarella si mise in testa di rifare la coalizione. Lanciò il partito unico e pensò di fare al contrario l’operazione che aveva provato Bettino Craxi: il primo sdoganamento della destra con il socialismo tricolore.
Partendo da un partito minoritario e anti-sistema come il Movimento Sociale Italiano (Msi), Tatarella inventò il Polo di Centrodestra e lo rese maggioritario in Italia. E poi, subito dopo, andando oltre il Polo, riuscì a recuperare tutti quei moderati che erano al confine tra centrodestra e centrosinistra per costruire la Casa degli Italiani, il Popolo delle Libertà.
Nel 1999, Pinuccio Tatarella lanciò la candidatura del giovane Stefano Caldoro alla presidenza della Provincia di Napoli ponendo le basi per la successiva e vittoriosa cavalcata del centrodestra in Campania alle Regionali del 2010. Il resto è storia contemporanea.
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