Favolacce recensione

Favolacce dei fratelli D’Innocenzo è una pellicola senza sconti sulla società

Favolacce di Fabio e Damiano D’Innocenzo è un film che sarebbe dovuto uscire nelle sale l’11 maggio ma che, per ragioni che conosciamo bene, è disponibile su diverse piattaforme online.

Il lungometraggio si discosta dal classico cinema italiano ma si avvicina, soprattutto per la fotografia, a quei film internazionali d’essai o a quella fotografia ricercata e curata, come quella di Matteo Garrone e di Mario Martone, che ritrae la realtà con la luce naturale e senza giocare con l’eccessiva brillantezza delle immagini.

Il film dei fratelli D’Innocenzo non si ispira a romanzi o a storie realmente accadute ma è un lavoro cinematografico che come racconta la voce narrante all’inizio:

Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata.

I registi conducono lo spettatore nei quartieri periferici di Roma ma non quelli degradati mostrati in Amore Tossico da Claudio Caligari. Ci si trova in una periferia composta da villette a schiera nuove dove ci si incontra nei giardini privati, per fare cene tra vicini di casa e sottolineare, probabilmente, il riscatto sociale e culturale attraverso la lettura collettiva delle pagelle scolastiche dei propri figli.

Da alcuni particolari del quotidiano dei protagonisti del film si nota una sorta di evoluzione sociale ma che ha, nonostante tutto, notevoli lacune comportamentali dettate da un’educazione in cui si è lottato e in cui si fanno sacrifici per poter vivere nelle villette.

Favolacce: la locandina

Locandina del film

È palese, nei protagonisti di Favolacce, il senso di frustrazione e l’aspirazione vana di poter raggiungere uno status sociale diverso da quello ottenuto nella realtà.

Non c’è un argomento principale che compone la trama di Favolacce: il film sembra quasi voler riprodurre su pellicola problematiche familiari, sociali e interpersonali che fanno riflettere. Il primo che salta agli occhi è il ruolo genitoriale, il personale concetto di saper educare i propri figli meglio degli altri ma che si rivela fallimentare con l’epilogo di alcune scene che sono davvero emblematiche e che evito di descrivere, per non rovinare un’eventuale visione della pellicola.

Tra i diversi gruppi familiari che animano Favolacce i registi si soffermano su una famiglia in particolare, quella che in apparenza sembra la più solida, serena e normale ma che, in realtà, è quella psicologicamente ed emotivamente più fragile e che si sgretolerà in un attimo.

I ruoli maschili e femminili dei protagonisti di Favolacce sono standardizzati e realistici in un modo che, a volte, infastidisce per la sincera schiettezza, che mostra senza metafore la nostra pochezza e povertà d’animo.

Favolacce: trailer

L’ultimo film dei registi italiani con Elio Germano

Le donne sono figure passive, dedite alla casa, al lavoro per chi lo ha e ai figli.

Le mogli sono passivamente compiacenti nei confronti dei loro mariti, sono delle figure marginali che non hanno molto acume, come se avessero abbracciato quel ruolo che è stato tramandato loro, impartito dalle loro madri e che, senza alcuno spirito critico o moto di evoluzione, hanno accettato con tranquillità e consapevolezza.

Gli uomini invece sono propensi alla violenza verbale e fisica, si nutrono d’invidia verso gli altri, in particolar modo nei confronti di chi vive una condizione più agiata della propria. Il loro senso di frustrazione è costante e, spesso, trascende nel cameratismo adolescenziale che, probabilmente, non hanno ancora superato a prescindere dall’età e dalle esperienze di vita.

Il film dei fratelli D’Innocenzo è una favola realistica del nostro tempo, che sottolinea il nostro senso di inadeguatezza che, spesso, sfocia nella frustrazione e nel sentimento negativo verso l’altro. Dalla pellicola fuoriesce la poca umanità che contraddistingue l’essere umano, proiettato non sul miglioramento interiore ma sull’ostentazione inutile di un’apparenza inconsistente e vuota.

Favolacce ha ricevuto alla Berlinale 2020 l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura.

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