caina Stefano Amatucci

Avellino: Davide Morganti incontra
il pubblico al Partenio

Caina (2016) è un film di Stefano Amatucci tratto dall’omonimo romanzo di Davide Morganti.

Per il ciclo La voce dell’autore, promosso dallo Zia Lidia Social Club, lo scrittore ed il regista hanno incontrato il pubblico al cinema Partenio, dopo la proiezione del film.

Caina è un film che affronta la tematica dell’immigrazione da un punto di vista diverso e in cui non c’è spazio per la pietà o per la compassione. I protagonisti non crescono umanamente, restando fedeli a loro stessi dall’inizio alla fine perché non ci sono vinti e vincitori. La fotografia è cupa ed essenziale, aderisce perfettamente nel dare quella chiave di lettura lontana dalla catarsi e vicina al distacco emotivo.

La trama di Caina nasce dalla fusione de Il trovacadaveri (2010), un monologo di Davide Morganti e del romanzo sopracitato. L’intento con cui prende vita il lungometraggio non è quello di affrontare il tema dell’immigrazione ma è quello di mostrare lo scontro razziale, evitando il classico cliché narrativo con persecutori e vittime.

Altro tema presente in Caina e molto caro a Davide Morganti è quello religioso: la fede spesso viene vista e percepita come un elemento che supporta il dolore. Nel film, invece, la diversità di orientamento religioso associata all’ignoranza e alla povertà d’animo porta alla diffidenza e alla xenofobia.

Caina: il film

Caina la locandina

Protagonista del film è Caina (Luisa Amatucci), una trovacadaveri, che incarna alla perfezione tutti i luoghi comuni beceri, esistenti nella società di oggi. È una donna che crede di essere sempre nel giusto, non mette mai in discussione il proprio pensiero, restando chiusa nel suo microcosmo fatto di supposizioni infondate e profonda non conoscenza di ciò di cui sta parlando.

Caina rispecchia l’essere umano medio, convinto di sapere e conoscere tutto senza studiare o senza approfondire argomenti di cui intende parlare o per cui intende battersi.

Il film, sotto alcuni aspetti, è disturbante perché scuote senza lasciar spazio alle domande, mostra senza voler essere sovrainterpretato ma semplicemente desidera essere osservato per ciò che è e che sta mostrando in tutta la sua datità.

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