Incastri imperfetti è il primo libro di Ludovica Russo, presentato a Caserta, a Palazzo Paternò, con Luigi Ferraiuolo, Marilena Lucente, Piero Grant. Interventi a sorpresa del prefetto di Caserta Raffaele Ruperto e della saggista internazionale Loretta Napoleoni
Giunta all’altare spezza le sbarre della gabbia dei formalismi e delle costrizioni borghesi e ha il coraggio di cambiare tutto, perché sa scegliere. Ha imparato a scegliere. È una delle chiavi di lettura dei cento frammenti di «Incastri imperfetti», il primo libro di Ludovica Russo, venticinquenne dottore in giurisprudenza, che mentre si avvia sulle orme dell’avvocatura trova il tempo di dedicarsi alla letteratura, la sua passione fin da piccola, per scoprire «Le impronte che i sentimenti lasciano nell’animo umano».
Tenutasi nella magnifica cornice di palazzo Paternò, nel cortile giardino dell’antica dimora nobiliare nel centro di Caserta, la presentazione del volume, una delle prime post pandemia, è stata presa d’assalto dalle amiche di Ludovica Russo e dai curiosi.

Incastri Imperfetti
Spiega Ludovica Russo:
Sono sempre alla ricerca della verità, assolutamente della verità: è il mio imperativo.
Non a caso nel libro, edito da Graus, racconta che, senza volerlo, ogni giorno raccontiamo piccole bugie, anche innocenti, anche per essere cortesi. Invece deve vincere la verità se si vuole essere in pace con se stessi.
I frammenti – più o meno lunghi – sono un caleidoscopio di emozioni, frutto del diario personale della giovane autrice ma anche delle riflessioni e delle emozioni che ha messo in fila durante il Covid. Proprio durante la malattia che l’ha colpita ed è divenuta fattore scatenante della sua scrittura, anche pubblica.
L’incontro si è sviluppato come un dialogo tra la giovane scrittrice, Luigi Ferraiuolo, giornalista e saggista; e Marilena Lucente, scrittrice e docente di lettere.
Ma ci sono state anche le letture del giovane ma già affermato attore Piero Grant e le incursioni tra il pubblico, folto e ricco di personalità. Infatti, pungolati dal moderatore, sono intervenuti il prefetto di Caserta Raffaele Ruperto; l’analista internazionale Loretta Napoleoni, ospite di Caserta in questi giorni; ma anche una amica di Ludovica, Simona, che ha confermato di essersi rivista – come i giovani della generazione 2020 – nel libro e nelle emozioni suscitate da Ludovica. Presente, tra il pubblico, anche il Sindaco di Caserta, Carlo Marino.
Incastri Imperfetti è anche una storia d’amore, verso sé stessi: un romanzo di formazione; ma anche verso gli altri. Non a caso è dedicato ai lettori. Al viaggio che faranno, confrontandosi con una ragazza perfetta del mondo 2020: quelle che si sono scoperte nella pandemia. Un caso più unico che raro.
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Modalità aereo di Fausto Brizzi: uno spaccato ironico sulla modernità virtuale
Modalità aereo è la nuova commedia firmata Fausto Brizzi. Il lungometraggio affronta con ironia il cambiamento sociale che ci vuole perennemente connessi ai social. La società moderna si muove velocemente così come il mercato e il mondo del lavoro ad esso connesso: tutto gravita intorno ai social e agli smartphone. Cosa ne consegue? La possibilità di poter fare qualsiasi cosa con un semplice click: riusciamo ad essere ovunque restando a casa.
Il regista crea una situazione paradossale, mostrando cosa potrebbe succedere se una persona, che vive e lavora attraverso i social, dimenticasse il telefonino e quest’ultimo arrivasse in mani poco Vip. Il trailer di Modalità aereo ce ne mostra un piccolo assaggio.
modalità aereo
Modalità aereo: la trama
Diego (Paolo Ruffini) è un giovane imprenditore ricco e famoso, la sua vita ruota intorno alla miriade di attività e contatti che sono dentro il suo smartphone. La sua vita scorre placida, serena e piena di notorietà fino a quando un giorno dimentica il suo prezioso telefonino nel bagno di un areoporto. A trovarlo è Ivano (Pasquale Petrolo), un inserviente che rispecchia in tutto l’antitesi di Diego: non è bello, non ha fascino ed è povero. Quando Ivano si rende conto della fortuna che ha tra le mani, decide di vivere la vita di Diego ma a modo suo. I due uomini hanno avuto modo di conoscersi in aeroporto e da questo breve incontro non è nato nulla di buono. Diego è stato importunato da Ivano che voleva una foto con lui a tutti i costi ma l’imprenditore non ha gradito il gesto, decidendo di farlo licenziare in tronco.
Diego è su un volo che lo porterà a Sidney, in Australia, ci vorranno 24 ore prima di poter cercare di bloccare e recuperare tutti i dati del suo smartphone. Ivano quindi ha a sua disposizione tutto il tempo per poter comprare, vivere e conoscere persone che avrebbe solo sognato. L’inserviente, non dimenticando la “simpatia” del giovane imprenditore, farà del suo meglio per mettere in difficoltà Diego. Come andrà a finire questo impreviso tragicomico lo scopriremo solo il 21 febbraio, data d’uscita del film.
Modalità aereo è una commedia che, oltre all’ironia, si sofferma sul modo in cui ciascuno di noi vive la propria quotidianità e su come sia cambiato il nostro modo di dare importanza a determinati aspetti invece che ad altri. I social per molti sono diventati un lavoro, una forma di guadagno mentre altri ne subiscono il fascino dell’effimero che trasuda potere e denaro. Il lungometraggio non vuole essere una condanna morale su cosa stiamo diventando ma è una parodia del mondo che stiamo vivendo.
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I quattro dell’Ave Donato Zoppo: 1969, Beatles, Harrison ed una canzone
Zebra Crossing in verticale sulla copertina di questo suo ultimo libro, come una foto in negativo, dati i colori invertiti, e quattro strisce nere in tutto, come a significare le quattro distinte personalità che furono i Beatles alla fine dei frizzanti anni 60.
Something di Donato Zoppo
John, Paul, Ringo e, soprattutto, lui, George, alias The Quiet One, il tipo più tranquillo dei quattro, dove dietro quella pacatezza si nascondono in realtà delle qualità ineccepibili, soffocate dall’incombenza creativa del duo Lennon- McCartney.
L’ultimo lavoro del giornalista e scrittore sannita Donato Zoppo, Something – Il 1969 dei Beatles e una canzone leggendaria (G.M. Press), per la collana Songs, consiste in una delicatissima ricerca nell’interiorità del chitarrista e compositore George Harrison, ed in particolare nella storia che interessò quest’ultimo durante la composizione del brano Something, compreso nel celebre disco Abbey Road – e rieccole le strisce!-, un album che pose davvero fine, anche se in una maniera stilistica davvero notevole, alla tormentata parentesi che interessò i Fab Four durante l’ultimo periodo della loro faticosa convivenza.
Sta in una tasca, questo libro, e se posso permettermi, la ridotta dimensione, insieme all’artwork molto minimal della copertina, donano a questo saggio una preziosità che ha bisogno però di essere svelata con la stessa destrezza con cui si legge un libro di ricette “finger food”; la sua ridotta mole di cento pagine racchiude in realtà un mondo che allo scrittore musicologo avrebbe occupato una considerevole porzione di tempo, e se si pensano alle meticolose ricerche svolte, e all’incredibile capacità di comprimere il tutto in una soluzione da “easy reading”, può far venire in mente, a qualche appassionato dell’età del jazz, l’eleganza con cui Pietro Citati descrisse nell’altresì piccolo saggio La Morte della Farfalla la focosa e infine tormentata vicenda di Francis Scott Fitzgerald e della sua Zelda.
Donato Zoppo
Sì, signore e signori seguaci del rock ‘n roll: “l’amour fou” come quello dei Fitzgerald c’entra eccome in questa ultima fatica di Donato Zoppo: il brano che emerge dai delicati momenti di tensione, ma anche di straordinarie capacità interpretative e musicali degli ultimi Beatles, partorito dalla mente di George Harrison, Something, è in realtà una canzone d’amore, e probabilmente una delle più belle del secolo scorso, riadattata in qualcosa come altre centocinquanta cover interpretate da artisti famosi e non. La stupenda dedica che il chitarrista dei Beatles fece in onore di Patricia Anne Boyd, meglio conosciuta come Pattie, allora sua moglie, considerata come una delle muse ispiratrici del rock. Anche Layla di Eric Clapton fu scritta per lei, ma questo avvenne qualche anno dopo, e fu un’altra storia…
Quasi come a immaginare Brian Jones dei Rolling Stones, oggi pressoché dimenticato, che proprio in quel 1969 perse la vita a ventisette anni in circostanze misteriose, e rivalutarlo come se non avesse voluto mai soccombere ai fumi delle droghe e ai cocktail di farmaci e alcolici, e si fosse fatto rivalutare come la vera stella tra i mostri sacri Jagger e Richards, rinascendo a nuova vita.
Così George Harrison, per davvero, lavorò strenuamente per la paura che i suoi brani venissero rifiutati, tra la ragguardevole lista delle canzoni funzionalissime di John Lennon e Paul McCartney, e non si perse troppo d’animo, come Brian Jones – quest’ultimo però licenziato dagli Stones- , e senza dar spazio alle frustrazioni che gli suggerivano scarsa autostima, s’intromise con la forza delle sue ottime capacità inventive già nel mastodontico White Album dell’anno precedente.
Eravamo nel 1968 e gli scontri sociali incombevano, mentre i Fab Four davano vita al disco che ispirasse una “rivoluzione”, sia in termini di long playing che di iniziazione all’importanza dei Working Class Heroes lennoniani. Proprio lì il nostro George Harrison vi inserì un suo pezzo che conquistò un 45 giri, il lato B di Lady Madonna, ossia The Inner Light.
Altri ce ne furono in passato, e tutti accentuarono il tocco espressivo in continuo mutamento che gratifica ed intensifica gli album in questione, come la Taxman di Revolver del 1966.
Riaccostandoci ancora un’ultima volta al mito di Brian Jones, come quest’ultimo, anche George Harrison sviluppò la tecnica del sitar, particolare strumento a corde dal suono avvolgente, e Donato Zoppo, in tale occasione, ci ricorda quanto sia stato importante il suo avvicinamento alla cultura indiana, soprattutto se si prendono in considerazioni le “liaisons”che intercorrono tra questi esempi di artisti particolarmente ispirati e le altre culture, anche quelle all’apparenza più lontane, che in qualche modo hanno condizionato il loro modo di scrivere, e di porsi, soprattutto, intensificandone il riflesso ai più curiosi e organizzandone una vera e propria cultura di massa.
Donato Zoppo applica un ragionamento sano e funzionale, anche se volutamente sintetizzato al meglio, per irradiare la giusta luce su un personaggio chiave come George Harrison, che con la sua forza emotiva e il suo carisma, quest’ultimo però svelatosi in conseguenza alle rotture interne dei Beatles causate anche da scartoffie legali per i diritti d’autore da tutelare, arrivò addirittura a minacciare l’uscita dalla band, se gli altri non avessero tirato dritto e badato anche alle sue, di richieste. Lo fece anche Ringo, a suo tempo, l’anno precedente, e stranamente la data coincise perfettamente con l’istanza di divorzio di Cynthia Lennon nei confronti del marito.
Spiega Donato Zoppo:
Harrison è un po’ più distaccato rispetto alla fama, è attento a quello che gli accade intorno, dai guru indiani che inanella con devozione sulla copertina di Sgt. Pepper agli aspetti economici del suo lavoro, dall’interesse per la soul music e il folk rock all’amicizia con Bob Dylan. Mentre gli exploit individuali di John e Paul sono percepiti come interni al microcosmo Beatles (…), gli episodi firmati Harrison risultano come suoi, non organici al gruppo. In pratica un solista all’interno della sua band, le cui canzoni sono scatti d’individualità.
Insieme alla storia di una canzone, che è l’apoteosi del pensiero di un chitarrista mito; il 1969, anno di meraviglie musicali, concerti cult e di utopie figlie della fu Summer of Love; i Beatles, che attraversarono tutti i Sixties, influenzandoli con il loro stile in continuo mutamento; George Harrison, figlio di un’apertura musicale e culturale che avrebbe innalzato lo stendardo di più culture condivise; tutto ciò si affronta nel saggio Something.
Mi chiedo: questo percorso biografico sui Beatles, probabilmente iniziato da Donato Zoppo già nella prefazione al libro Revolution di Francesco Brusco, saggio che racconta il ’68 dei Fab Four, avrà dunque un sequel, così come ha affrontato negli anni le sue ricerche su Lucio Battisti?
Io spero di sì, considerando la qualità dei suoi lavori precedenti su Area, King Crimson, PFM, o Genesis, e spero davvero che ancora possa focalizzare l’attenzione su un musicista in particolare, valutandone la sua ottica all’interno di un microcosmo di una rock band, sottolineando gli effetti di un successo senza limiti, azzerandone le potenzialità d’immagine, ed acutizzando la valutazione caratteriale e comportamentale, e di quanto possa essere quest’ultima distorta dagli onori dell’Olimpo dei più Grandi.
Carmine Maffei
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Intervista a Lello Pisacreta
Quando nel lontano 2003 incontro per la prima volta Raffaello “Lello” Pisacreta è in occasione del music contest avellinese Restate Rock.
Lello Pisacreta con la sua band
Lello Pisacreta si esibisce con la sua band ed è quasi al centro del palco, probabilmente non per sua scelta, considerando la timidezza che trasmette. Non guarda mai il pubblico, è concentrato sulla chitarra che porta decisamente troppo in alto, fin sullo stomaco, ma è preciso e sorride, soprattutto, ma resta immobile sulla sua mattonella. La sua serenità però trasmette tutta la passione che conserva dentro.
Lo rivedo di nuovo circa due anni dopo, mentre partecipa a un festival, sempre in veste di chitarrista, e la scena che mi si presenta è totalmente diversa da quella che ricordo: il suo strumento ora è posizionato molto più giù, come Keith Richards insegna, quasi sul femore, e il suono che produce è qualcosa di molto più vissuto, sofferto quasi. Il sorriso è sostituito da uno sguardo assorto, mentre gli occhi sono quasi sempre chiusi, la bocca semiaperta e le dita che si muovono da sole sulla tastiera. Spesso si sbatte a destra e a manca come un cavallo imbizzarrito; alla fine dello show, mentre gli altri componenti della band si preparano a lasciare il palco, lui si cala sulla pedaliera dinanzi a sé e maneggia i potenziometri degli effetti mentre la chitarra guaisce i feedback che vengono modificati dalle sue modulazioni effettuate all’istante: ne esce fuori qualcosa di spaziale e psichedelico. I tecnici del palco non gli vietano la bizzarra esecuzione: quello è il suo spettacolo, s’intende, ed ha qualcosa di davvero stupendo.
Cosa era successo a Lello Pisacreta nel giro di pochi anni e, soprattutto, perché il suo sorriso era stato sostituito da uno sguardo trasognato? Tranquilli:è una delle persone più lucide d’Europa.
Lello Pisacreta aveva inglobato tutto dentro, e quel mondo che era imprigionato nella sua testa veniva fuori durante le esecuzioni, ed era talmente potente che esplodeva con tutta la sua forza emotiva e fisica, anche. Come recita quel brano dei Queen interpretato dal batterista Roger Taylor:
Combatti dall’interno, ma quando attacchi, fallo per davvero!
Eppure Lello Pisacreta sta inseguendo in parallelo anche quella passione che gli ha trasmesso il padre e sta studiando architettura; i risultati sono sempre eccellenti, eppure nel corso degli anni e della maturità egli si accorge che quel qualcosa di mostruoso che resta imprigionato dentro chiede di uscire e trovare un luogo, un rifugio in cui affilare gli artigli. Così si trasferisce a Roma e studia come ingegnere del suono, mentre nel frattempo mette in pratica le lezioni lavorando nei locali capitolini e suonando di continuo con le sue band. Da allora in poi curerà la produzioni di tutti i suoi album, e appena pronto ritorna nella sua città d’origine, in Irpinia, ad Atripalda per la precisione, per servire le svariate band che circolano e curarne i suoni e i dischi. Quest’anno il suo sogno più bello prende forma quando apre i battenti il rifugio della sua creatura che da sempre chiede di esporsi: Mood Records.
Mood Records è una piacevole struttura creata appositamente per vivere, creare, incidere e respirare musica. Offre un’ampia sala prove, una d’incisione e addirittura per rilassarsi durante le pause; offre oltretutto lezioni per aspiranti producer che si accingono a questo delicato mestiere, ed in Irpinia questa è la novità più originale ed entusiasmante, una ricchezza per questo territorio impoverito dalle poche attenzioni degli enti.
C’incontriamo di notte, io e Lello Pisacreta , sull’uscio dell’antro della sua creatura mezzo addormentata, ma che ancora lavora, e mentre di là in sala prove c’è una band che va decisamente per le lunghe, parliamo un pò di sé, del suo sorriso che è ricomparso e che trasmette la gioia della ricompensa, e soprattutto dei suoi progetti e di come si è realizzato il tutto davvero nel migliore dei modi.
Hai iniziato il tuo percorso formativo pensando a tutt ‘altro tipo di carriera. Quando hai deciso di ritornare sui tuoi passi, occupandoti di musica, e soprattutto in prima persona?
Il mio percorso formativo è stato, in effetti, abbastanza poco canonico. Alla fine del liceo ero molto affascinato da tutt’altro settore, quello dell’architettura, ma sin da adolescente ho sempre coltivato la passione per la musica. Ho conseguito, non senza sforzo soprattutto nella fase finale, una laurea in Ingegneria Civile, ma mi sono reso conto nel corso degli anni universitari di dedicare molto più tempo a soddisfare la mia curiosità musicale piuttosto che quella architettonica e così, in maniera molto naturale, dopo la laurea ho deciso di investire il mio tempo esclusivamente in quel settore, quindi ho deciso di frequentare dei corsi di formazione che potessero soddisfare la mia sete di conoscenza nel settore dell’ingegneria del suono.
Come nasce Mood Records?
Il settore dell’audio professionale racchiude numerose figure lavorative che possono essere categorizzate in maniera globale in coloro che lavorano principalmente per eventi dal vivo e coloro che scelgono di lavorare nella dimensione dello studio (anche se, ad onor del vero, una grandissima percentuale, compreso me, si interfaccia costantemente con entrambe le realtà). Personalmente ho sempre trovato più affascinante la seconda realtà e tutti i miei sforzi, anche economici, sono stati sempre indirizzati a poter un giorno realizzare una struttura in grado di poter offrire servizi professionali a chiunque voglia realizzare un prodotto musicale. Da questa idea nasce Mood Records, e direi, nel mio piccolo, di esserci riuscito.
Mood Records
Quanto è stato importante e duro allo stesso tempo, per te, restare nella propria terra d’origine ad esaudire il tuo sogno?
Nei periodi in cui sono stato lontano da Avellino per formarmi in questo settore mi sono confrontato con numerose realtà altamente professionali del campo e ho realizzato che forse tutte le potenzialità della scena musicale irpina non erano valorizzate e supportate nella maniera opportuna per mancanza di strutture in grado di poter offrire uno standard qualitativo adeguato.
Credo che, se si ha la possibilità ed il coraggio di prendersi qualche rischio, sia importante investire nel proprio territorio per poter offrire dei servizi che inevitabilmente verrebbero ricercati altrove o peggio neanche ricercati rischiando di stroncare sul nascere realtà musicali decisamente valide.
Attualmente hanno inizio i corsi per poter diventare producer a tutti gli effetti. Quanto è importante per te la produzione di musica propria a casa propria? Non credi che possa questo minimizzare il lavoro di uno studio discografico serio come il tuo?
Nel corso degli ultimi 20 anni abbiamo assistito ad una rivoluzione tecnologica davvero imponente. Oggi chiunque con un computer, un sequencer ed un paio di cuffie ha a disposizione possibilità creative quasi sconfinate, ma con una scarsissima cognizione di quello che si sta realmente facendo ed usando. Il risultato è un evidente abbassamento della qualità del prodotto ed un appiattimento della forma espressiva. Avere un’esperienza solida in questo campo richiede molti anni di studio e di lavoro sul campo ed è questo sicuramente il gap che gli studi professionali riescono a colmare, oltre ad avere accesso a dispositivi e tecnologie molto costose che garantiscono alti livelli di qualità.
Inoltre credo che così come per un “tecnico” sia importante avere delle solide basi di teoria musicale, di armonia, ecc. per poter interfacciarsi in maniera adeguata con i musicisti, allo stesso tempo è altrettanto importante che un musicista conosca gli aspetti tecnici della produzione musicale per poter aver un maggior controllo sulle diverse fasi che inevitabilmente lo coinvolgono sia nel lavoro in studio che dal vivo.
Alcuni corsi della nostra struttura, in particolare quello di Home Recording e Music Producer & Live Performer sono indirizzati proprio a fornire una solida preparazione in campo audio per affrontare in maniera professionale anche produzioni realizzate in ambiente home.
Esistono ancora possibilità di poter vivere di musica, secondo te?
Per chi come me ha deciso di dedicarsi maggiormente all’attività in studio è sicuramente un po’ più complicato ottenere il giusto ritorno economico a tanti anni di esperienza, formazione e sacrifici.. Prima dello sviluppo tecnologico di cui ti ho parlato poco fa, andare in studio era l’unico modo per poter realizzare un album e lì si operavano anche le fasi di pre-produzione ed arrangiamento dei brani, fasi che anche grandi artisti oramai riescono a gestire tranquillamente nel proprio home studio.
Ma, come dicevo in precedenza, la necessità di affidarsi a professionisti nasce nella fasi successive, che hanno bisogno di essere effettuate in strutture adeguate che mettano a disposizione ambienti ed attrezzature altrimenti difficilmente accessibili.
Come in qualsiasi settore professionale, il successo, anche in termini economici, risiede sempre nella qualità dei servizi che offri e nel saperti rapportare in maniera adeguata ai tuoi clienti cercando sempre di soddisfare a pieno le loro esigenze; con caparbietà, studio costante ed esperienza si può riuscire a vivere di sola musica.
Credi che la musica possa essere un progetto valido per la salvaguardia di alcuni valori? Considerate le tue preferenze di stampo rock, quanto questo riferimento di benessere può coesistere con le dubbie capacità di ascolto e produzione della mediocre musica home made di oggi?
La musica rappresenta un linguaggio universale nel vero senso della parola perché riesce a trasmettere indistintamente delle emozioni anche senza che ne sia compreso a pieno il messaggio. E’ dunque uno strumento potentissimo di comunicazione che può e deve veicolare anche importanti valori sociali, cosa che peraltro ha sempre fatto e sempre in maniera molto efficace, penso ad eventi storici come Woodstock o il Live Aid.
Ho citato non a caso due eventi strettamente connessi alla cultura rock, genere come dicevi a cui sono molto legato e che ha influenzato parecchio il mio modo di vedere e di stare al mondo, ritornando appunto al discorso dei valori sociali che è in grado di veicolare la musica; facendo il mio lavoro comunque ascolto e mi trovo a lavorare con brani di ogni genere musicale e in tutti, anche quelli più orientati ad ottiche squisitamente commerciali, trovo elementi interessanti che stimolano la mia curiosità e mi conducono ad altri ascolti ed altri ancora. Ecco, la curiosità, credo sia questo l’elemento principale che scarseggia nella società moderna. Avere tutto a portata di mano o meglio di click ci ha reso meno curiosi, meno interessati a soffermarci sulle cose che vediamo, che ascoltiamo.. sono talmente tutte così immediatamente accessibili che le diamo per scontato e questa superficialità di approccio comporta un evidente vuoto di cultura.
Intanto la band continua a suonare in sala prove e io e Lello decidiamo di allontanarci per un drink.
Carmine Maffei
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