Blue summer di Jim Nichols è un romanzo che ha il ritmo e l’andamento di una ballata; un musicista che insegue il tempo passato come una melodia jazz, ricordando le estati azzurre, la giovinezza, le perdite e il potere magico della musica e dell’amore.
Il romanzo vincitore del Maine Award Fiction Prize 2021.
Blue summer: trama
1997, Penitenziario di Bolduc, Maine. Calvin Shaw, un musicista fallito quarantenne, decide di raccontare la propria storia come solo lui la conosce. La sua versione. E nell’unico modo in cui lo sa fare, seguendo le note. Una storia di ascese e cadute, di salvezza, ma anche di estati, affetti e musica, tanta musica, che si intreccia con il passato e con le sue perdite. Una melodia che diventa il titolo del libro, Blue Summer.
Dal passato vengono rievocati il fratello, Alvin, l’amata sorella Julia, la piccola città di Baxter nel Maine, quegli anni che lasciavano presagire una vita felice e poi il fatale 4 Luglio, con la città in festa, le bandierine rosse, bianche e blu, i ferri di cavallo, i barbecue, le cavalcate sui pony, quel 4 Luglio in cui il padre di Cal, Jack, uscì per andare a giocare a poker con gli amici e non tornare mai più.
Cambiare la storia: quanto è possibile tornare indietro? Quanto le circostanze fortuite riescono a deviare il corso delle nostre vite?
In uno stile dolcissimo, denso, accattivante, Jim Nichols ci guida in un viaggio di redenzione, partendo dal suo Maine per arrivare fino in Florida.
Jim Nichols: biografia
Jim Nichols è nato e cresciuto a Freeport, nel Maine. Appassionato di scrittura, pur svolgendo negli anni molti altri lavori; i suoi testi sono apparsi in numerose riviste fra cui Esquire, Narrative, American Fiction.
Ha vinto due volte il Maine Award Fiction Prize (2012 e 2021). È stato nominato più volte per il premio Pushcart.
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Fabrizio De André: le origini e la scoperta dell’uomo ancor prima dell’artista
Uno dei più grandi filosofi e sociologi mai esistiti, Friedrich Engels, in una lettera al suo amico Karl Marx, espresse il suo disagio nell’ammettere che essendo lui un benestante, figlio di un grande imprenditore tessile tedesco, non riuscisse a cimentarsi perfettamente nel ruolo di chi avrebbe preso le difese della classe operaia o comunque meno abbiente.
Intanto fu grazie a lui e alle sue risorse, se alcune delle opere che conosciamo, come Il Manifesto del Partito Comunista o Il Capitale, riuscirono ad ottenere una pubblicazione, applicando cambiamenti radicali al mondo economico.
Non deve disturbare, dunque, la certezza che spesso, se facciamo un passo indietro nel tempo, è toccato alla borghesia applicare cambiamenti con scopo benefico per la società, sia nel campo dello sviluppo sociale, economico, nella filosofia e infine nell’arte. Questo perché chi aveva più facile accesso allo studio, quando quest’ultimo non era ancora un diritto per tutti, aveva oltremodo la possibilità di ottenere un ruolo importante nelle istituzioni, e tra i più fortunati c’erano animi più sensibili che avrebbero apportato evoluzioni a favore di tutta la società, contemporanea e futura.
Fabrizio De André
Il giovane Fabrizio De André, nato a Genova nel 1940, era anch’egli figlio di una famiglia benestante: il padre Giuseppe era un imprenditore molto facoltoso; fu vicesindaco e presidente dell’Ente Fiera; anche la madre, Luisa, aveva origini nobili.
Fabrizio De André ebbe modo quindi di frequentare le migliori scuole, e nonostante i suoi risultati non fossero eccellenti, perché si definiva pigro, soprattutto nello studio, amava invece soltanto sostare tra i libri di suo gradimento, leggendo i classici della letteratura e della poesia. Di quest’ultimo campo amava François Villon, Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud e Bertolt Brecht.
Era un appassionato degli chansonnier francesi, tra cui Georges Brassens, Gilbert Bécaud, Charles Aznavour e Jacques Brel, e aveva un predilezione per le ballate medievali, a cui spesso si divertiva ad applicare della musica di sua invenzione, creandone delle melodie con quei versi antichi.
Era innanzitutto un ottimo chitarrista, anche se lui si era sempre considerato uno “alquanto scarso”, e si avvicinò giovanissimo al jazz, disciplina che abbandonò presto perché credendola troppo scolastica, preferendo ad esso qualcosa di più spontaneo, più libero.
Fu l’etichetta discografica Karim a scovarlo tra gli ambienti musicali già fiorenti dell’allora Genova dei cantautori più eccellenti, che facevano da scuola al panorama italiano, come Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Sergio Endrigo e Luigi Tenco, quest’ultimo grande amico di Fabrizio De André.
Quest’ultimo però si discosta come originalità dagli altri, e come ci dice Immanuel Kant:
La minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.
Sembra chiaro che il giovane cantautore voglia fortemente creare qualcosa che non si sposi né col contesto benestante da cui proviene, né con il panorama culturale-musicale a cui per diritto appartiene. Fin da subito Fabrizio De André, che già si è sposato giovanissimo ed ha un figlio, il piccolo Cristiano, è amministratore di tre istituti privati e studia giurisprudenza, ci tiene a separare la passione che ha per la musica –che definisce soprattutto un hobby-, dalle più importanti mansioni da uomo responsabile e padre di famiglia. Non cerca il successo e rifugge dalle interviste, perché egli la musica la definisce “una cosa serissima” e oltretutto non si concede facilmente alle masse, è schivo e taciturno, non timido ma risoluto nelle sue idee di spontanea reclusione tra le mura domestiche, e soprattutto si rifiuta nel suonare dal vivo, perché sostiene:
Io appartengo solo a me stesso.
A questa conclusione i Beatles ci sarebbero arrivati nel 1966, un anno prima che uscisse il primo LP di Fabrizio De André, mentre quest’ultimo prenderà la decisione di affrontare il palco soltanto nella seconda metà degli anni Settanta.
Tra il 1960 e il 1961, con la Karim, escono i primi 45 giri, che sottopongono gli ascoltatori a qualcosa di nobile, d’altri tempi quasi, e che sposa le tematiche dell’amato Georges Brassens, da cui spesso si cimenta nelle traduzioni dei testi o nei rifacimenti stessi con riarrangiamenti, che parlano d’amore (La canzone dell’amore perduto) ma anche di morte (La ballata del Michè), che abbracciano tematiche sociali drammatiche come la guerra (La guerra di Piero), che sottraggono le donne all’ingiusto giudizio di una società ancora troppo patriarcale (La canzone di Marinella).
Fu proprio nel 1964, con La canzone di Marinella, affidata alla voce di Mina, che Fabrizio De Andrè ottenne il successo di cui però avrebbe fatto a meno, ma il pubblico approvò, anche grazie al supporto di una cantante straordinaria, e i dischi piovvero ostinatamente, ancor prima di oltrepassare il traguardo di un primo vero long playing, che a dir la verità arrivò presto, ma fu dapprima una raccolta di tutti i singoli che la Karim mise insieme per dar vita al primo disco, Tutto Fabrizio De André.
La svolta però si associa anche con un evento davvero scomodo: la canzone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers fu messa sotto sequestro dal Procuratore della Repubblica di Milano, considerandola oscena e dai toni pornografici. Questa traccia, scritta a due mani con l’amico Paolo Villaggio, parla dell’avventura del re Carlo, condottiero che nelle località di Poitiers fermò l’avanzata degli arabi, nel 732, che avrebbero messo in pericolo il mondo cristiano, oltre tutta la civiltà occidentale. Carlo Martello, nel testo, più che combattente, viene presentato anzitutto come un uomo, con tutte le sue debolezze, prima fra tutte quelle che della carne, e tornando da vincitore, credendo di ottenere tutto e subito per le sue voglie ardenti, resta poi spiazzato quando una concubina gli presenta la parcella alla fine dell’atto sessuale.
Dichiarò Fabrizio De André al Messaggero, nel dicembre del 1965:
Noi siamo perseguitati da personaggi come lo sterminatore degli arabi, tanto che finiamo per dimenticarci che sono uomini. Ebbene, io ho voluto ricordare che Carlo Martello era un uomo con il suo meraviglioso coraggio, ma anche con il peso della sua carne vogliosa. Che cosa c’è di male in tutto ciò? Forse perché nella canzone c’è la parola puttana per giustificare un sequestro?
La canzone sopracitata sarà, per volontà stessa dell’artista in accordo coi discografici , l’unica edita in una raccolta di canzoni inedite che faranno parte del primo disco, Volume 1, pubblicato dall’etichetta Bluebell nel 1967. La causa, i cui imputati sono lo stesso cantautore e i due titolari della Karim (ma non il coautore Paolo Villaggio), si concluderà nel luglio del 1968, quando si pronuncerà la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Nello stesso tempo la separazione con la Karim non avviene nel migliore dei modi, dato che il cantautore viene denunciato dai suoi titolari perché Fabrizio De André si sarebbe accordato con una nuova etichetta discografica e con essa avrebbe iniziato le sessioni di registrazione per il primo LP ufficiale di inediti. La separazione avviene però quando ci sono dei dubbi del musicista sulla corrispondenza esatta dei diritti d’autore su tutti i dischi venduti.
La definizione che si possa dare al primo periodo di Fabrizio De André è quella di considerarsi, soprattutto, un uomo ancor prima di auto dichiararsi artista, affermazione che gli fu scomoda.
La svolta che avvenne, neanche molto presto, col grande pubblico fu una causale del tutto giustificata, in quanto egli si presentò con un’originalità che in Italia, allora come oggi, non aveva eguali, con la sua ostentata cultura, con le passioni per le ballate d’altri tempi e gli chansonnier francesi, con la dichiarazione di un mondo ora ironico, ora ingiusto e ipocrita, accompagnato da una musica nobile, seppur leggera, con dei testi poetici che ricalcano la sua smisurata devozione agli autori che ha amato e che lo hanno inebriato, aiutandolo nella giusta direzione che si sarebbe presto definita, con la quale sarebbe stato riconosciuto come un personaggio storico che non avrebbe mai perso di vista le sue smaniose volontà di sentirsi innanzitutto un essere pensante filo anarchico, lontano da ogni direzione politica, e solo infine, come un cantautore.
I tempi difficili che stiamo vivendo ci insegneranno a definirci dapprima come esseri messi a nudo, con le nostre debolezze (come Carlo Martello) e le nostre giustificate incapacità, messe di fronte a emergenze di una portata epocale impressionante. L’importanza di considerarci dapprima nella pienezza delle nostre risorse umane (come in Marcia Nuziale) ci aiuterà nella scalata complicata per la riconquista di una più miserevole dignità, ancor prima di considerarsi importanti, indistinguibili o addirittura inarrivabili. In questo momento, l’ascolto di un artista che ha cantato l’uomo, anzitutto perdente, può essere di un’importanza fondamentale per la riuscita di una società che rinasca migliore di prima, e si faccia forza con la rivalutazione di sentimenti più importanti.
Carmine Maffei
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Messia: intervista al freestyler bolognese
Alberto Pizzi, in arte Messia, classe 1991, è cresciuto in un piccolo paese di provincia. Durante l’adoscenza si trasferisce a Bologna dove alcuni maestri hanno iniziato a notare le sue capacità.
Messia è un rapper freestyle che improvvisa a suon di beatbox ed, ha anche registrato un album: il primo singolo uscito a marzo 2019 si chiama Matondo.
Messia: intervista
1. Perché hai scelto di chiamarti Messia?
È il nome che uso quando faccio musica, quando salgo sul palco e incarno il ruolo del performer. Se posso scegliere di essere chiamato con un nome, allora preferisco essere chiamato Alberto.
2. Come ti definiresti?
Sono qui per superare le categorie. C’è molta offerta di arte e le persone hanno bisogno di etichette per orientarsi dentro al supermercato. Ci vuole coraggio per fare musica senza inseguire il trend del momento. E questo coraggio ultimamente mi sembra manchi a molti.
3. Fai freestyle in real time ed hai registrato un album: queste due attività sono collegate?
Il freestyle è un ottimo strumento creativo, utile per per abbozzare un’idea di getto o per uscire dagli schemi che, quando scrivi, tendi a ripetere. Ma ci sono idee che per essere sviluppate richiedono un lavoro di scrittura mirato. Dal mio punto di vista sono attività complementari.
4. Qual è il leitmotiv del tuo album?
Nel progetto C’è dell’Altro è incentrato sul rapporto tra identità e linguaggio. In tutta la tracklist del progetto si nota l’esistenza di un filo rosso, una rete di collegamenti interni. La medesima cosa accade anche esternamente, tra i vari progetti. Un tema che ora mi interessa molto è la relazione tra l’opera e il creatore.
5. La comunicazione orale per te è?
Un’occasione per aprirsi.
Messia il poeta bolognese
6. Cosa pensi della comunicazione oggi?
Ultimamente guardo molto la comunicazione politica: “noi vs loro”, e l’idea che esista una verità unica e oggettiva, che non dipende dai punti di vista e dalla soggettività. Vedo tutto ciò e penso che anche la posizione che appare più assoluta e oggettiva, perché sostenuta da dati e prove, è almeno in parte relativa al punto di vista. Realtà e finzione non si escludono a vicenda, al contrario, sono inscindibili.
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Camminando verso l’Oceano di Domenico Scialla
“Camminando verso l’Oceano” è il nuovo libro dello scrittore e giornalista Domenico Scialla, distribuito su YouTube, Storytel e sulle principali piattaforme audio. Il formato cartaceo ed ebook è disponibile nei principali store, l’audiolibro è letto da Massimo D’Onofrio.
Già tradotto in quattro lingue, tra mistero e realtà, questo romanzo, dove l’elemento visionario metafisico si intreccia col quotidiano, nasce da un’avventura on the road e mentale; un cammino che l’autore e l’amica Gabriella, zaini in spalla e tanta voglia di natura, hanno fatto lungo un percorso di trekking di circa 900 chilometri.
Racconta l’autore:
Vorrei che Camminando verso l’Oceano fosse soprattutto espressione di culture e di autenticità. Nasce sicuramente dal cammino che io e Gabriella abbiamo fatto per motivi naturalistici tra la Francia e la Spagna fino all’Oceano di Finisterre, ma soprattutto nasce da un’esperienza mentale perché quando sei a contatto con tanta natura e storia inevitabilmente ti distacchi dal quotidiano e vivi un’esperienza che oserei definire quasi onirica dove ogni logica, spazio e tempo si annullano e quindi ti trovi a contatto non solo con quello che ti circonda ma anche con l’anima di chi incontri lungo il percorso e con qualcosa di superiore. Ecco, il romanzo soprattutto parla di questo, non solo del cammino in sé.
Camminando verso l’Oceano di Domenico Scialla
Con il sole, il vento e la pioggia, i due protagonisti avanzano calpestando erba e pietre, terreni aridi e fangosi, strade asfaltate che attraversano paesi e città. Vivono situazioni, sia quotidiane che speciali, incontrando ogni genere di persona, dalla più comune alla più stravagante. E in un continuo confronto maturano passo dopo passo. Visioni, fantasie. Ricordi di altre vite? Un testo questo carico di attualità che agile si muove tra il tempo e lo spazio, superandone i confini.
Domenico Scialla: biografia
Domenico Scialla, è scrittore e giornalista. Nasce nel 1972. Conseguita la maturità scientifica, si trasferisce a Bologna e si dedica all’informatica, lettura e scrittura; poi inizia a lavorare come programmatore elettronico in una nota azienda di software. Ha pubblicato nel 1997 la sua prima raccolta di racconti Le mie prime… anta… pagine; sono usciti poi Lettere a Bruno Pietro e A Ruota Libera, entrambi editi da Boopen.
Nel 2010 pubblica Insieme edito da Gruppo Albatros, di cui Camminando verso l’Oceano è la versione riveduta e ampliata. Come giornalista pubblicista ha al suo attivo collaborazioni per le pagine di musica, spettacolo e letteratura con la rivista Orizzonti e il gazzettino I Popolari; ha intervistato anche nomi noti del panorama artistico italiano. Attualmente, impiegato amministrativo, intende dedicare il suo tempo libero ai viaggi, ricerca interiore e scrittura.